2022-05-12
Musulmano salta la fila per la tomba mentre in mille marciscono senza
Feretri in attesa di sepoltura al cimitero di Palermo (Ansa)
Palermo: per la sua religione la salma deve essere inumata in breve tempo e ha parenti minacciosi. Così il dirigente comunale autorizza la sepoltura prima di altri defunti. Alcuni dei quali attendono una lapide da marzo 2020.A Palermo ci sono più di mille bare in attesa di sepoltura. Da mesi è così e le famiglie dei defunti sono allo stremo. Non è l’unica città in Italia ad avere questo problema. Uno scandalo vero e proprio dei nostri cimiteri, sempre meno curati e sempre meno frequentati. Triste faccia di un’Italia poco capace di rispettare i propri morti. Mal comune mezzo gaudio, verrebbe da pensare, ma purtroppo anche in queste drammatiche situazioni, c’è chi riesce a saltare le file. Con lo stupore di tutti, la famiglia di un signore deceduto a Palermo alla fine di marzo è riuscita molto velocemente a ottenere un posto dove tumulare il proprio caro. Riposi in pace naturalmente. Eppure, è legittimo porsi qualche interrogativo: com’è stato possibile? La Verità ha ottenuto traccia di una corrispondenza decisamente inquietante avvenuta tra il direttore del cimitero e l’ufficio preposto ad autorizzare l’inumazione dei defunti. Si legge: il 28 marzo scorso è morto un uomo «di etnia rom e di religione musulmana. Tale religione richiede l’inumazione della salma nel più breve tempo possibile. Essendosi rese disponibili due fosse di inumazione e considerata l’animosità dei molti parenti del defunto, si chiede di volerne autorizzare, con estrema urgenza, la tumulazione». Firmato, il direttore del cimitero di Palermo. L’ufficio ha dato il via libera rispondendo dopo circa 30 minuti, quando di solito ci vogliono due settimane per l’autorizzazione. Dopo altre due ore, sempre lo stesso giorno, un’ultima mail riportava già il numero di sezione della fossa dedicata.Inutile dire che il fatto è gravissimo e non perché riguarda un musulmano, non perché si tratta di un rom, ma perché si concede un privilegio per paura o per specialità dovuta a un credo, a un morto piuttosto che a un altro. La situazione del cimitero di Palermo è abbastanza disperata. Al Santa Maria dei Rotoli il problema delle bare in attesa di sepoltura va avanti da mesi, la situazione, però, invece di migliorare, peggiora. Le salme insepolte sono attualmente 1.010, di queste 970 sono in attesa di ricevere un posto. Altre 40, il posto lo avrebbero nelle tombe di famiglia, ma non c’è nessuno che possa far spazio mineralizzando i resti dei corpi. Inoltre mancano i sacchi dove mettere i resti dei defunti. La disperazione delle famiglie è grande, ma con pazienza ognuno attende il suo turno. I primi della lunga fila attendono di essere tumulati da marzo 2020. Igor Gelarda, capogruppo Lega-Prima l’Italia al Comune di Palermo, ha presentato una richiesta di accesso agli atti il 4 aprile 2022. Si chiedeva di conoscere i motivi per i quali a questo signore fosse stato concesso di saltare la fila. Non avendo ricevuto risposta, il consigliere palermitano, il 9 maggio, ha inoltrato un sollecito. Si legge: «Preso atto che ad oggi non è pervenuto alcun riscontro in merito alla richiesta di accesso agli atti sopra riportata, si sollecita, con urgenza, riscontro della suddetta richiesta poiché sono trascorsi più di 30 giorni, oltre i termini previsti dalla normativa vigente, per l’adempimento amministrativo». Ad oggi, però, ancora non è arrivata nessuna riposta. Tra gli atti presentati da Gelarda c’è anche un esposto alla Procura della Repubblica di Palermo. «Innanzitutto è assurdo che ci sia stata una corsia preferenziale per qualcuno», spiega il consigliere, «a prescindere dalle ragioni che hanno finito per favorire il defunto. Ancor più grave sarebbe se venisse confermato che si tratta di una prelazione dovuta al fatto che fosse di religione islamica o che si temesse una reazione dei parenti. Ci sono più di mille persone al deposito, con relative famiglie, che gridano vendetta nei confronti di queste ingiustizie». E proprio di ingiustizia si tratta, soprattutto considerato che tra i motivi della richiesta urgente c’è il credo religioso. La religione musulmana prevede una inumazione veloce ma non esiste nel cimitero di Palermo una zona dedicata ai musulmani per la quale, evidentemente, potrebbe esserci meno lista d’attesa. L’uomo è stato sepolto insieme a tutti gli altri. La fila è unica, a prescindere dalla propria religione. Il tema più odioso, però, è il riferimento che il direttore del cimitero fa nei riguardi dei parenti della vittima che definisce «animosi». Il riferimento è chiaro. Sostanzialmente lascia intendere che potrebbero aver utilizzato metodi particolarmente convincenti per fargli avere la premura di presentare la richiesta con «estrema urgenza», come scrive. Non sappiamo se abbia subito delle intimidazioni e, naturalmente, ci auguriamo che non sia così. Non si spiegano, però, i motivi del cedimento a tale prepotenza. Un gesto di viltà, probabilmente, nella speranza di non esser scoperti. Peccato che a subire questa prepotenza siano tutte le famiglie dei cari insepolti. Persone che non hanno un posto su cui andare a portare dei fiori, su cui piangere se ne hanno voglia. Come vuole la religione cristiana. Religione che per il direttore del cimitero di Palermo forse vale un po’ meno. Davanti alla morte siamo tutti uguali, ma non al Santa Maria dei Rotoli.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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