- Metà degli incassi dalle sanzioni devono essere spesi per la sicurezza. Molti Comuni non se ne preoccupano. Ma continuano a farla franca.
- Rischi sempre più alti per chi guida auto e moto. Nel 2020 il costo dei sinistri con danni alle persone è stato di 11,6 miliardi di euro.
Metà degli incassi dalle sanzioni devono essere spesi per la sicurezza. Molti Comuni non se ne preoccupano. Ma continuano a farla franca.Rischi sempre più alti per chi guida auto e moto. Nel 2020 il costo dei sinistri con danni alle persone è stato di 11,6 miliardi di euro. Lo speciale comprende due articoli. Multe stradali: un pozzo di San Patrizio avvolto nel mistero più fitto. La legge 120 del 2010 impone che il 50% dei proventi derivanti da multe stradali e autovelox venga destinato «alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti» e obbliga a rendicontare ogni annuo in forma telematica l’ammontare degli importi incassati e gli interventi realizzati con tali risorse. Ma sono pochissimi gli enti locali che rispettano la legge, siano essi Comuni, Unioni di Comuni, Città metropolitane e Amministrazioni provinciali. Nel 2020, secondo i dati ufficiali del Viminale, 1.556 Comuni non hanno inviato al ministero dell’Interno la rendicontazione, compresi i 347 che lo hanno fatto in maniera incompleta o contenente errori. A questi si aggiungono 317 Unioni di Comuni, 3 Città metropolitane su 14 (Catania, Messina, Reggio Calabria) e 15 Province. Nel 2021 questi numeri sono addirittura aumentati. I Comuni inadempienti sono saliti a 2.258 su 7.904, tra i quali 187 hanno inviato una rendicontazione incompleta o scorretta. Il numero dei sindaci trasgressori è dunque cresciuto del 45%. Le Città metropolitane sono passate da 3 a 5 (Genova, Napoli, Catania, Messina e Palermo); crescita anche per le Unioni di Comuni disobbedienti: 361. Come si spiega questo menefreghismo rispetto agli obblighi di legge? Semplice: non esistono sanzioni per chi sgarra.«Puntare sulla sicurezza stradale». Lo hanno sbandierato negli anni tanti ministri delle Infrastrutture, da Danilo Toninelli, che in più occasioni ha parlato dell’utilizzo dei proventi derivanti dalle sanzioni per la manutenzione stradale, a Graziano Del Rio, che propose di dedicare sempre più risorse per la sicurezza. Peccato che nessuno abbia mai controllato né sanzionato gli enti locali inadempienti. Senza rendiconto, è impossibile sapere quanti soldi entrano nelle casse delle varie amministrazioni e come vengono spesi. Ma un interrogativo riguarda tutti i consuntivi inviati al governo: chi controlla se le autodichiarazioni sono veritiere? Non esiste infatti un monitoraggio né delle attività di manutenzione svolte né delle spese. E viene così tradito un dovere almeno morale di trasparenza verso gli automobilisti colpiti dalla raffica di sanzioni.L’opacità sull’utilizzo delle multe stradali alimenta l’eterno sospetto: che quei soldi servano ai sindaci non a far rallentare i conducenti e migliorare la sicurezza stradale, ma semplicemente a fare cassa per coprire le spese della normale amministrazione. Questo vale soprattutto per i proventi degli autovelox. L’Italia il Paese europeo con il più alto numero di rivelatori di velocità: ben 8.000, due volte e mezzo in più della Germania (che ne possiede 3.813), il triplo della Francia (2.406), addirittura 25 volte più della Norvegia, dove se ne trovano appena 311.Gli ultimi dati Openpolis attestano che l’eccesso di velocità, con 564.352 contravvenzioni all’anno, è l’illecito stradale più multato. Seguono quelli legati al mancato uso della cintura di sicurezza (74.996) e al mancato utilizzo dell’auricolare o del vivavoce durante le conversazioni telefoniche (39.323).Tra i Comuni con più di 200.000 abitanti, Firenze è quello che nel 2020 ha incassato di più dalle multe: in media 138,33 per ogni cittadino. Seguono Bologna (106,54), Padova (92,95) e Milano (86,72). Tutto all’opposto Genova (43,08 euro pro capite), Bari (29,15) e Trieste (26). In proporzione, gli aumenti maggiori negli ultimi 4 anni si sono registrati a Verona (+44,8%), Firenze (+21,3%) e Bologna (20,1%). Chi certifica che metà dei proventi di multe e sanzioni siano davvero finiti nella messa in sicurezza delle strade, come prevede la legge? Nessuno. «Le buche, la segnaletica ammalorata, le radici, le piste ciclabili pericolose e inagibili di Roma sono sotto gli occhi di tutti e basta poco per capire che non tutti i soldi sono stati spesi come dovrebbero»: a denunciarlo è Fabrizio Premuti, presidente nazionale di Konsumer Italia, che si occupa da anni della sicurezza stradale della capitale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/multate-chi-ci-fa-le-multe-2656749278.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="rischi-sempre-piu-alti-per-chi-guida-auto-e-moto" data-post-id="2656749278" data-published-at="1645391407" data-use-pagination="False"> Rischi sempre più alti per chi guida auto e moto La cattiva manutenzione delle strade, che dovrebbe essere finanziata con il 50% dei soldi incassati dalle multe, ha ripercussioni dirette sul numero di incidenti stradali. Ecco che cosa ne pensa l’avvocato Piergiorgio Asumma, presidente dell’Osservatorio nazionale per la tutela delle vittime di omicidio stradale. «Purtroppo molti incidenti dipendono dalle cattive condizioni di marciapiedi, piste ciclabili, manto stradale», dice il legale. «I Comuni spesso sottovalutano le responsabilità civili o penali che possono derivare dalla mancata o carente manutenzione. La caduta di una moto su una buca può generare una responsabilità, sia per danni in sede civile, sia una responsabilità penale per lesioni gravi o gravissime o addirittura omicidio stradale, sempre che venga accertato il nesso causale tra l’evento e la mancata manutenzione». La Cassazione, sottolinea Assumma richiamando l’articolo 14 del codice della strada, ha già confermato la responsabilità dell’ente locale se viene dimostrato che, con l’opportuna manutenzione, il sinistro non si sarebbe verificato. E non si tratta solo di chiudere le buche, ma anche di ridipingere le strisce pedonale sbiadite e sostituire i segnali deteriorati. I rischi per gli utenti della strada possono essere elevati: «Il manto stradale incidere innanzitutto sulla frenata», chiarisce Assumma. «Sulle strade con asfalto “a pelle di coccodrillo”», il coefficiente di frenata di una moto può essere reso più scarso, in quanto i saltellamenti della forcella ne possono allungare lo spazio. Ma non dimentichiamo la scarsa illuminazione sulle strade o la visibilità ridotta di strisce pedonali cancellate dal tempo e dalla percorrenza: anch’esse incidono sulla possibilità che si verifichi un sinistro». In Italia il numero di vittime della strada è stabile, almeno secondo gli ultimi dati disponibili che risalgono al 2020 perché il consuntivo del 2021 deve ancora essere elaborato. Assmma spiega così le statistiche: «Nel 2019 le vittime sono state 3.173 con 241.384 feriti, nel 2020 i morti 2.395 e i feriti 159.248. Si nota una diminuzione in termini assoluti, ma non dimentichiamo i lunghi mesi di lockdown totale e gli altri periodi caratterizzati da pesanti limiti alla libertà di circolazione». Nonostante questo calo, nel 2020 il costo sociale degli incidenti con danni alle persone su tutto il territorio nazionale è stato di circa 11,6 miliardi di euro. In media, circa 195,5 euro pro capite, oltre il 6% dei soldi in arrivo con il Pnrr. Resta il fatto che i Comuni continuano a non rendicontare i proventi derivati da multe e autovelox e, quando lo fanno, nessuno controlla se ciò che hanno dichiarato (soldi spesi in sicurezza) equivale alla realtà. «Noi non siamo in possesso di questi dati», ammette Assumma, che comunque, per evitare equivoci, propone di cambiare l’ultimo capoverso del comma 12 bis dell’articolo 142 del codice della strada, attribuendo obblighi specifici agli enti locali dai quali non ci si possa esimere.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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