2023-12-09
Protesse i suoi dall’albanese in ruspa. Dopo un anno resta sotto indagine
San Polo (Arezzo). Il braccio della ruspa di Gezim Dodoli contro la casa di Alessandro Mugnai (Ansa)
La pratica è finita in un limbo: non c’è alcuna archiviazione, né rinvio a giudizio.Nel gennaio di un anno fa fu costretto a sparare quattro colpi di fucile perché il suo vicino di casa, dopo aver ammassato le auto dei suoi familiari in un angolo del piazzale, con la benna di una ruspa tentava di abbattere la sua abitazione. Alessandro Mugnai era a cena nel suo casolare di campagna appena ristrutturato sui colli di Arezzo con i figli, la moglie, la famiglia del fratello e l’anziana madre. E ha temuto per la loro vita. Prima di sparare, spiegò al gip durante il suo interrogatorio di garanzia, tentò anche di far desistere l’aggressore, Gezim Dodoli, albanese, col quale da tempo c’erano delle ruggini. «Legittima difesa», invocarono i difensori di Mugnai, gli avvocati Marzia Lelli e Piero Melani Graverini. «Da allora Mugnai è in un limbo», spiega, contattato dalla Verità, l’avvocato Melani Graverini. «Il procedimento risulta in fase di indagini». Da quasi un anno. «Né una richiesta di proroga né alcuna comunicazione è mai arrivata», afferma. Non c’è una richiesta di archiviazione e neppure di rinvio a giudizio. Il caso è rimasto appeso. Ma l’uomo che si è trovato davanti all’improvviso un mezzo di irresistibile forza qual è una ruspa da movimento terra si è visto pure intimare dal Comune qualche tempo dopo di mettere in sicurezza l’abitazione e anche l’area circostante che, peraltro, era ancora sotto sequestro. Quello di Mugnai fu definito subito dai giuristi un caso di legittima difesa «da manuale». Uno dei figli, per esempio, spiegò che il vicino «aveva cominciato ad accatastare le auto una sull’altra con la ruspa, sentivamo il rumore del metallo mentre cenavamo. E quando gli abbiamo gridato di fermarsi si è invece accanito sulla finestra della stanza dove ci eravamo affacciati. Abbiamo tentato di scappare ma con la benna ha danneggiato anche la porta d’ingresso al piano terra, impedendoci la fuga. Tremava tutto, avevamo paura, a quel punto mio padre ha iniziato a dirgli di fermarsi e poi ha iniziato a sparare. Era l’unico modo per fermarlo». I colpi inferti dalla ruspa al tetto della casa hanno infatti reso inagibile l’abitazione, che sarebbe potuta crollare da un momento all’altro uccidendo chi era all’interno. I vigili del fuoco accertarono che la struttura aveva subito danni notevoli. Tant'è vero che il Comune non ha perso tempo nel chiedere a Mugnai di intervenire per evitare crolli. Dopo le prime attività investigative coordinate dal pubblico ministero Laura Taddei, però, si sono perse le tracce del procedimento. Mugnai fu arrestato subito con l’accusa di omicidio volontario e scarcerato poco dopo dal gip Giulia Soldini per l’assenza di esigenze cautelari. Il giudice valutò che Mugnai aveva agito chiaramente per difendere le sei persone che erano in casa con lui e che, non potendo fuggire all’esterno, sarebbero potute morire nel crollo del tetto o della struttura muraria lesionati dalla benna dell’escavatore. Si accertò anche che la versione fornita da Mugnai corrispondeva alle attività balistiche. Mugnai dichiarò di aver sparato prima un colpo di avvertimento e poi mirò al vicino di casa mentre manovrava ancora il mezzo da cantiere, premendo per quattro volte il grilletto del fucile da caccia regolarmente detenuto. Nel piazzale fu trovato solo uno dei pallettoni. Gli altri quattro, ha stabilito l’esame autoptico, erano conficcati nel corpo della vittima. E anche la posizione del cadavere, che era ancora sul mezzo quando arrivarono i carabinieri, sembra riscontrare le parole dell’indagato. Neppure le polemiche innescate dalla condanna a 17 anni per Mario Roggero, il gioielliere che il 28 aprile 2021 uccise due dei tre rapinatori autori di un colpo maldestro nel suo negozio a Grinzane Cavour, hanno riacceso i riflettori sul caso di Arezzo. Che è rimasto in un limbo della giustizia penale. Nonostante le prove sulla legittima difesa.
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