2025-01-28
Mps, via libera Ue alla scalata di Mediobanca
Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Siena, vista la discesa del Mf, «non è più vincolata a non fare acquisizioni. Può intraprendere le azioni che riterrà appropriate». Oggi il cda di Piazzetta Cuccia. Il titolo del Monte scende. Secondo vari analisti, possibile un rialzo dell’Ops con una parte in contanti.Bruxelles toglie i paletti sulla strada di Mps: la banca senese non dovrà più sottostare ai vincoli europei sugli aiuti di Stato e quindi avrà le mani libere l’Ops appena lanciata su Mediobanca. Il riferimento è ai cosiddetti commitments, ovvero quei vincoli - tagli dei costi, chiusura di filiali, vincoli sulle politiche commerciali e sulla distribuzione di dividendi e soprattutto il divieto a fare acquisizioni - che erano stati imposti nel 2017 dalla direzione Concorrenza (Dgcomp ) della Ue in cambio dell’apertura della ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato, diventato così azionista. Ora che il Mef ha ceduto gran parte della quota ed è rimasto con in mano solo l’11,7% di Rocca Salimbeni, vengono meno i paletti sugli aiuti di Stato. «Mps non è più vincolata dal suo impegno ai sensi della decisione sugli aiuti di Stato di astenersi dalle acquisizioni e ciò le consente di intraprendere le azioni aziendali che riterrà appropriate per perseguire i propri interessi commerciali», ha detto ieri una portavoce dell’esecutivo comunitario. Aggiungendo che «dal punto di vista del controllo delle concentrazioni», l’offerta di Mps su Mediobanca non è stata notificata alla Commissione europea e ricordando comunque che, come sempre, spetta alle parti valutare se l’operazione vada notificata ai sensi delle norme Ue sulle concentrazioni. La notizia arriva alla vigilia del cda di Mediobanca che si riunirà questa mattina per analizzare l’offerta pubblica di scambio di Mps. Nei giorni scorsi il ceo di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, e il direttore generale Francesco Saverio Vinci in una lettera inviata ai dipendenti hanno sottolineato che «l’offerta non è stata concordata» lasciando intendere che è considerata ostile. Nella riunione di oggi ci sarà comunque un confronto tra i consiglieri della maggioranza e i due espressi dalle minoranze, ovvero Sabrina Pucci e Sandro Panizza, che sono stati indicati nel 2023 rispettivamente dalla Delfin dei Del Vecchio (al 19,8%) e dal gruppo Caltagirone (accreditato del 7,7% di Piazzetta Cuccia).In attesa di conoscere le contromosse dell’istituto guidato da Alberto Nagel, i riflettori sono accesi sull’andamento dei due titoli a Piazza Affari dove anche ieri quello del Montepaschi ha lasciato sul terreno il 2% a 6,3 euro mentre le azioni di Mediobanca hanno guadagnato lo 0,18% a 16,5 euro. Nelle sale operative si comincia a ipotizzare un rialzo dell’Ops con una componente in contanti da parte della banca senese come era avvenuto nell’operazione Intesa-Ubi. Il concambio proposto da Siena, in una mossa al momento tutta carta contro carta, è di 2,3 azioni Mps per una Mediobanca, ma in base alle quotazioni di Borsa il rapporto indicato dal mercato è più alto. Servirebbe, secondo alcuni broker, un rilancio del 7%, pari a circa 920 milioni, per rendere l’offerta più appetibile.I grandi investitori istituzionali presenti nell’azionariato Mediobanca pesano circa per il 35% del capitale, con Blackrock che ha il 4,2% e altri colossi come Norges e Vanguard che hanno pacchetti di poco inferiori e stabili. Poi c’è l’accordo di consultazione (all’11,4%) che include Mediolanum (di cui è azionista Fininvest della famiglia Berlusconi), Gavio, Monge e il gruppo Lucchini. I tempi per capire se l’operazione del Monte andrà in porto sono lunghi. Per il Monte l’iter ora prevede il deposito del documento d’offerta alla Consob e la richiesta di via libera alla Bce. Il 5 febbraio, l’ad Luigi Lovaglio presenterà i conti 2024 al board, la palla passerà poi all’assemblea del 17 aprile a Siena durante la quale i soci dovranno votare l’offerta che partirà tra giugno e luglio con l’obiettivo di arrivare al 66,67% del capitale di Mediobanca. Per conquistare il fortino di Piazzetta Cuccia, sostengono gli analisti, Mps dovrà dimostrare che l’unione delle due banche genera valore per gli azionisti di entrambe. Questa settimana i fari si accenderanno anche sulle Generali, di cui sono azionisti di peso Delfin e Caltagirone in contrasto con il management sostenuto da Mediobanca, che possiede il 13% del capitale. Giovedì 30 gennaio, infatti, l’ad del Leone, Philippe Donnet, presenterà a Venezia il nuovo piano industriale del gruppo triestino che è anche impegnato nel creare una nuova società con i francesi di Natixis nel settore del risparmio gestito. Alleanza che vede contrari sia Caltagirone sia Delfin. La cassaforte della famiglia Del Vecchio, secondo Repubblica, potrebbe arrotondare la propria quota (oggi è al 9,9%) nelle Generali. Il 30 giugno 2023 era infatti stata autorizzata dall’Ivass, ovvero l’autorità delle assicurazioni, a detenere una partecipazione qualificata superiore al 10% del capitale.Intanto, arriva la benedizione della Fabi, con il suo segretario generale Lando Maria Sileoni che ieri in un’intervista radiofonica ha sottolineato come l’Ops del Monte su Mediobanca sia «un’operazione senza impatto sociale, cioè senza esuberi. Credo che sia sempre stato il primo, vero obiettivo degli azionisti del Monte dei Paschi e anche del governo, quindi una operazione al 50% di mercato e al 50% di carattere politico. Alla fine, decisiva sarà la valutazione della Bce che, come tutti sanno, farà una valutazione autonoma rispetto alla politica». Per Sileoni, dunque, via libera, mentre l’accordo di Generali con Natixis «fa nascere qualche dubbio sulla destinazione dei risparmi degli italiani. Come ha detto la premier Giorgia Meloni, Mps-Mediobanca potrebbe in qualche modo rappresentare una tutela».
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)