2021-10-08
Anni settanta: l'era delle maximoto
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Honda CB 750 Four (IStock)
Le grosse cilindrate ebbero successo nonostante la crisi petrolifera. Le giapponesi invadevano il mercato mondiale, gli europei risposero con modelli sempre più performanti. Ancora oggi indimenticabili.Un decennio d'oro per le moto si apriva in contrasto con la crisi generale dell'inizio degli anni '70, che transiterà per i grandi scioperi, le violenze, la crisi petrolifera a partire dal 1973. Il settore delle quattro ruote, che aveva realizzato la motorizzazione di massa negli anni sessanta, risentì fortemente del rincaro di carburanti e tasse. Le due ruote ed in particolare le maximoto invece aumentarono, nella propria nicchia, le vendite grazie anche agli avanzamenti tecnologici che caratterizzeranno tutto il decennio con prodotti innovativi, che si lasciavano alle spalle definitivamente le impostazioni tipiche del decennio precedente, dominato dalle bicilindriche tradizionali. L'altra caratteristica peculiare degli anni settanta sarà l'ingresso massiccio sul mercato europeo delle moto giapponesi che nonostante le alte tariffe doganali per l'import, riuscivano ad offrire prodotti affidabili a prezzi concorrenziali e tecnologicamente superiori alle moto del vecchio continente. Proprio con una delle motociclette nipponiche che diventerà iconica di quel periodo entusiasmante, si apriva il decennio. Per la prima volta (eccezione fatta per le Harley Davidson che tuttavia rappresentavano almeno in Europa una nicchia nella nicchia) il muro dei 500cc.nelle motociclette ad alte prestazioni fu superato, arrivando in diversi casi a propulsori di cubatura doppia.Honda CB 750 FourLa quattro cilindri di casa Honda fu presentata nell'anno della conquista della Luna per essere lanciata sul mercato al debutto del decennio. Si trattava di una moto assolutamente innovativa perché portava le quattro cilindri, fino ad allora costruite solo per le competizioni, nel mondo della produzione di serie. Il design naked, i quattro scarichi cromati e il serbatoio di forma ovoidale con colori sfumati rendevano la maxi giapponese un oggetto del desiderio, così come le prestazioni. La 750 Four, che più tardi sarà affiancata dalle sorelle "minori" 500 Four e 400 Four, erogava 69 Cv e raggiungeva i 200 Km/h (record per le moto di serie di quei tempi). Sarà prodotta fino al 1978 in quasi 600.000 esemplari nelle diverse cilindrate. Kawasaki serie "Z"La casa giapponese concorrente di Honda e Suzuki si presentò sul mercato degli anni '70 con modelli grintosi ma ancora dotati di motori a due tempi di grande cilindrata, una soluzione poi abbandonata per le nascenti norme antinquinamento che ne condannavano la eccessiva fumosità dell'olio motore emesso dagli scarichi. Erano moto potenti, quelle della serie "Mach", spinte da un motore tricilindrico di 500cc. toccavano velocità simili a quella della 750 four, ma l'impianto frenante non era adeguato alla potenza (essendo peraltro prive di freno motore) e la stabilità non ottimale. Per Kawasaki la svolta del successo avvenne con la serie "Z" che debuttò nel 1972 con la 900 Z1. Al pari della rivale Honda era spinta da un 4 cilindri in linea ancora più potente, con un doppio freno a disco all'anteriore. Era anche la moto turistica più veloce, con oltre 210 Km/h di punta, ma allo stesso tempo comoda e manovrabile. L'evoluzione della serie arriverà nel 1977 con la Z 1000, caratterizzata dal propulsore aumentato di cilindrata e dalla linea più squadrata in anticipo con le forme del decennio successivo. La velocità di punta era di 210 Km/h e l'impianto frenante era migliorato dal doppio disco anteriore e da un disco posteriore. Suzuki GT 750Nata all'inseguimento della Honda CB750 Four, aveva però un cilindro in meno e il motore a due tempi, ma a differenza della Honda aveva il raffreddamento a liquido e l'innovativa lubrificazione separata con un sistema brevettato che riduceva sensibilmente la fumosità di scarico. Impostata con una guida ottimale per il turismo, era più "tranquilla" delle concorrenti. Con 67 Cv di potenza e un peso a secco di 214 kg. la Suzuki raggiungeva i 180 km/h di velocità massima. Fu lanciata nel 1971 e rimase in produzione per sei anni fino al 1977 con modifiche minori, riguardanti soprattutto l'impianto frenante migliorato a causa delle necessità imposte dal motore "libero" a due tempi. Ducati 750 GT, 750 Sport, 750 SS e 900 SSLa casa bolognese si confermò come portatrice dell'impostazione "pistaiola" dei modelli, già mostrata negli anni sessanta, con l'esordio della 750 GT. Per la Ducati e per il mondo delle due ruote portava con sé una rivoluzione: il motore bicilindrico a "L" con distribuzione desmodromica che caratterizzerà il marchio per gli anni a venire. La sette e mezzo fu progettata e sviluppata nel 1970, andando ad insidiare le concorrenti Guzzi e Benelli. Le prestazioni erano esaltanti (210 Km/h di velocità massima) ma l'impostazione troppo sportiveggiante dell'assetto di guida portò la casa di Borgo Panigale e più miti consigli, considerando la crescente domanda di maximoto ad uso turistico. Nelle versioni successive dal 1973 in poi si abbandonarono i semimanubri per una guida più confortevole così come la sella, che divenne più adatta ad ospitare il passeggero non previsto dai puristi della pista. Per i più corsaioli Ducati affiancò dal 1972 la versione Sport, caratterizzata dal codino, dalla sella monoposto e naturalmente dai semimanubri e da una semicarena che avvolgeva il faro tondo. L'anno successivo, sull'onda delle vittorie nelle competizioni internazionali, nacque la serie SS con la 750 che riprendeva la meccanica mista tra GT e Sport, per una potenza di 72 Cv e 220 Km/h di punta. La carenata, che riprendeva i colori delle Ducati della scuderia vincente, fu proposta in versione ancora più spinta con quello che sarà il modello più iconico del decennio per Ducati, la 900 SS, costruita dal 1975 al 1982. Derivata direttamente dalle corse, la sportiva di Borgo Panigale erogava ben 80 Cv alla ruota per una velocità di punta prossima ai 230 Km/h e l'impianto frenante a doppio disco anteriore. Fu l'ultimo modello di maximoto Ducati (costruito in 3 serie) uscito dagli anni '70. La 900 SS sarà sostituita dalla 900 S2, dalla linea più squadrata tipica degli anni ottanta.Moto Guzzi V7 Sport e 750SLa casa di Mandello del Lario si presentò all'appuntamento col nuovo decennio forte di un bicilindrico collaudato alla fine degli anni sessanta, il motore a V di 45° che equipaggiò le mastodontiche V7 Special e California, apprezzate anche oltreoceano e che faceva dimenticare il vecchio monocilindrico orizzontale da 500cc nato nell'anteguerra. La crescente influenza delle concorrenti del sol levante e la domanda di moto sempre più spinte fece nascere la V7 Sport nel 1971, un simbolo per tutti gli amanti delle café racer. Un numero ristretto di esemplari di pre-serie, caratterizzati dal telaio a vista di colore rosso, sono oggi ricercatissimi dai collezionisti. La V7 Sport era una naked dotata di trasmissione a giunto cardanico (tipica poi di tutta la produzione Guzzi degli anni di gestione Seimm-DeTomaso) era una delle moto più performanti sul mercato, che non aveva nulla da invidiare in quanto a prestazioni rispetto alla concorrenza nipponica. 210 Km/h era la velocità di punta raggiunta grazie al bicilindrico da 72 Cv, dotato di una grande accelerazione sulla partenza da fermo. Purtroppo le ristrettezze economiche e la necessità di risparmio dell'azienda azzopparono una moto natta sotto i migliori auspici. L'aspetto più evidente era che questa maximoto montava ancora entrambi i freni a tamburo, una pecca grave per una moto con quelle prestazioni. Un tardivo rimedio si ebbe soltanto con l'evoluzione della Sport, la Guzzi 750S, caratterizzata dal colore nero e la doppia striscia "muscle" su serbatoio e bianchetti rossa o verde. Questo modello montava finalmente un doppio disco anteriore, mentre le prestazioni erano pressoché identiche a quelle della V7 Sport. L'ultima serie, la S3, fu dotata anche del disco posteriore e della frenata integrale tipica delle Guzzi del decennio successivoBenelli 750/900 SeiQuesta maximoto nata a Pesaro non fu un successo commerciale ma ebbe caratteristiche uniche. Anche se di fatto si trattava di una Guzzi, in quanto proprietà di Seimm-DeTomaso, la Benelli, come si può intuire dal nome, era spinta da un motore sei cilindri in linea, evidenziato da altrettanti scarichi (tre per ogni fianco). Disegnata dalle carrozzerie Ghia e Vignale, fu realizzata in tempo record e progettata seguendo l'impostazione giapponese dei cilindri in linea. I carburatori erano tre, che alimentavano il mastodontico motore dall'urlo inconfondibile. Tuttavia al rumore aggressivo non fecero seguito prestazione adeguate. Di fatto la sei cilindri era più una turistica che una sportiva maggiorata, non raggiungendo affatto la soglia dei 200 Km/h. La sua storia fu poi funestata da problemi meccanici che neppure la versione successiva da 900 cc riuscì ad eliminare.Laverda 750 SF/SFCIl marchio di Breganze (Venezia) aprì il decennio da esordiente nelle grosse cilindrate e in difficoltà per l'insuccesso commerciale di scooter e motoleggere degli anni sessanta. Il patron dell'azienda veneta a conduzione familiare Massimo Laverda capì durante un viaggio in America che il futuro riguardava le maximoto. Da queste premesse nacquero le tre quarti di litro che avrebbero caratterizzato la produzione del decennio, anticipate alla fine degli anni sessanta dalla 650, la prima Laverda di cilindrata superiore ai 500 cc. e nel 1969 con la prima 750. L'anno successivo arriverà il successo tanto atteso con la 750 SF, che in breve tempo si porterà ai vertici delle vendite nella sua categoria. La sigla SF non aveva nulla a che vedere con l'impostazione sportiva della moto, ma significava "super freni", in quanto furono adottati già nel 1970 i dischi. Per quanto riguardava il propulsore l'idea del progetto seguì l'esempio delle giapponesi che Laverda aveva studiato oltreoceano, già ben inserite nel mercato Usa. Si trattava di un bicilindrico inclinato di 25° in parallelo molto massiccio, del peso di oltre 90 kg. Questa caratteristica tuttavia non disturbava la linea filante della SF alla quale regalava 60 Cv, un risultato onesto per una velocità di punta di 190 Km/h. Non la più veloce in assoluto ma certamente una moto estremamente affidabile e di ottima fattura, aspetti premiati da anni di vendite esaltanti che fecero superare a Laverda le avversarie più temute come la Honda CB750 Four.BMW R 100 RSMolto diversa dalle spintissime contemporanee in cerca di adrenalina e prestazioni, la massiccia bicilindrica boxer della casa bavarese segnò a suo modo gli anni settanta. Si trattava infatti della prima vera moto da gran turismo come intendiamo oggi la categoria e si trattava di una novità che rompeva le tradizioni ferree di BMW Motorrad che poco avevano concesso al rinnovamento dell'estetica a favore della solidità. La R 100 RS non era nulla di simile alle precedenti. La grande carenatura integrale era stata studiata alla galleria del vento di Pininfarina ed anche ai nostri giorni risulta disegnata perfettamente. Nasceva dalla precedente ammiraglia R 90 in quanto a ciclistica e derivazione del propulsore. Erano il design e il confort di marcia a fare del nuovo modello del 1973 con motore da 1 litro, tanto che la produzione di serie si protrarrà fino al 1988. Pur massiccia e votata ai lunghi viaggi la tedesca, con i suoi 70 Cv di potenza, raggiungeva i 200 Km/h.Per un ulteriore lettura sulle moto anni '70 Giorgio Nada Editore ha pubblicato il volume di Giorgio Sarti "Moto anni '70: l'era d'oro delle due ruote" con prefazione del mitico Nico Cereghini.
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