
L'europeismo non è un'idea solo progressista. Il politico inglese fondatore della formazione conservatrice vicina al Pnf sosteneva potesse coesistere con il nazionalismo: «Un governo continentale può superare la moltitudine di piccoli interessi» dei vari Paesi.Se si dovessero enumerare tutte le sciocchezze e le falsità che vengono tirate in ballo dai politici e dagli intellettuali europeisti - non a caso ribattezzati da alcuni come euromaniaci o euroinomani - ci sarebbe da scrivere un tomo enciclopedico. La prima di queste sciocchezze è quella secondo cui, se uno osa criticare l'Unione europea come essa è organizzata oggi, o come fu inventata dai vari trattati di ieri (Roma 1957, Maastricht 1992, Lisbona 2007), sarebbe per il fatto stesso un antieuropeo.La seconda immane panzana che la propaganda europeista vuole far credere, dopo aver insinuato che l'amor di patria porta alla guerra - mentre ogni amore porta alla difesa di ciò che si ama, fossero pure i prosaici soldi, il petrolio o il mero gusto di comandare - è che l'Unione europea segna la fine del nazionalismo e di ogni patriottismo. Siamo, anzi dovremmo imparare ad essere, europei più che italiani.Ma in realtà si può essere benissimo attaccati alla propria città e al proprio borgo, e preferirlo a tutte le metropoli del mondo, senza per questo mancare all'amor di patria e alla preferenza nazionale e di civiltà.Così, in effetti concepiva il rapporto tra nazione (inglese) e continente (europeo), il capo dei fascisti britannici, sir Oswald Mosley, di cui le edizioni Passaggio al Bosco hanno appena tradotto e pubblicato gli scritti politici più salienti (Fascismo britannico e nuova Europa. Scritti e discorsi di battaglia).Mosley (1896-1980), figura paradossale e sinuosa, ma che può essere comodamente definito come politico fascista, nazionalista britannico ed europeista convinto, pare in qualche modo in anticipo sui suoi tempi. Riletto oggi desta stupore per alcuni tratti del suo pensiero politico ed economico. Anzitutto per la consonanza dei suoi argomenti europeisti con quelli oggi di moda. E il fatto che questi argomenti siano difesi dal fondatore della British union of fascist (1932) dovrebbe dare vertigini e mal di pancia a tutti coloro che hanno stabilito una equazione matematica tra europeismo e progressismo, visione politica europea e rifiuto del nazionalismo.Secondo Mosley, «l'Unità europea, con un governo europeo, è una necessità». Anzi, per il capo dei fascisti britannici, soltanto «un governo europeo potrà superare la moltitudine di piccoli interessi» delle varie nazioni e regioni d'Europa. Pare di sentire Massimo D'Alema, Matteo Renzi, il disinteressato mecenate George Soros o Emmanuel Macron, l'uomo per tutte le stagioni.In qualche modo Mosley, pur in presenza del pericolo sovietico ora svanito, fa leva sull'indipendenza e la grandeur di una ipotetica Europa-nazione, a fronte di America e Russia: «L'Europa si è abituata a dipendere dagli Stati Uniti, come unica alternativa praticabile per non cadere vittima della Russia». Secondo lui, «L'Europa deve diventare una nazione migliore» di quelle che la compongono. E ancora: «I motivi che ostacolano l'unità dell'Europa sono unicamente psicologici».Quindi uniamoci, insinua il fascista british, a livello economico, monetario, legislativo, amministrativo e politico, e tutto andrà meglio.E questo è lo stesso errore, visto col senno di poi certo, che hanno commesso a partire dal secondo dopoguerra, molti teorici dell'europeismo: fare della matematica la base del progetto europeo, ignorando la storia. Per la matematica, 2+2 fa 4, e unendo Italia, Francia, Germania e Spagna si ha un insieme più forte, più potente, più ricco. Ma in presenza di culture, tradizioni, società, economie diverse, non è così semplice l'addizione.Del resto se Mosley sbagliava, e sbagliava, lo faceva con l'ingenuità di chi era allora, nell'utopia e nel futurismo. Ma molte meno attenuanti vanno date ai teorici europeisti attuali, che si mettono sulle strade del totalitarismo, volendo comprimere storie, culture e tradizioni dei vari popoli europei, in nome di un sogno che si sta rivelando sempre più come un incubo, anzitutto proprio a livello economico. Le stesse tendenze ideologiche del Mosley fanno capire che si può essere al contempo europeisti e antidemocratici, e che forse tra le due tendenze ci siano più somiglianze di quanto non si creda.Del resto Konrad Adenauer, Robert Schuman, Alcide De Gasperi e gli altri pionieri dell'Unione non avrebbero mai immaginato e approvato le derive attuali dell'europeismo più dogmatico. L'abolizione delle frontiere tra gli antichi Stati d'Europa, in un contesto di nichilismo valoriale sostitutivo del cristianesimo, allude e prelude infatti alla scomparsa dell'Europa stessa, sommersa da un'immigrazione esponenziale, ignota fino a pochi decenni fa.Non sarebbe quindi il caso di ripensare globalmente il progetto, prima che sia troppo tardi per governarlo e ridisegnarlo a dovere?
Il laboratorio della storica Moleria Locchi. Nel riquadro, Niccolò Ricci, ceo di Stefano Ricci
La casa fiorentina del lusso rileva il laboratorio ottocentesco. E continua con i reportage grazie a «Fashional geographic».
Il regista Stefano Sollima (Ansa)
Sollima, autore di una serie sull’omicida, ha accostato la strage delle coppiette allo scandalo di Phica.net. Il comune denominatore, ovviamente, sarebbe la cultura maschilista. Una mistificazione lunare, utile però a garantirsi la benevolenza dei salotti «giusti».
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