
I sette nuovi centri di preghiera islamici del capoluogo lombardo sorgeranno in quartieri a forte rischio radicalizzazione tra case occupate abusivamente e zone in mano alla delinquenza. E si temono finanziamenti occulti da Stati esteri.L'area attorno alla moschea non ancora autorizzata, il quartiere delle case occupate abusivamente, quello turbolento, il «quadrilatero della paura» e la zona che ha ospitato Abu Omar e alcuni temutissimi reclutatori dell'Isis. La costruzione di sette nuove moschee a Milano rende il pericolo radicalizzazione da allarme rosso. L'inquietante mappa milanese della paura è stata tracciata dall'Orim, l'Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità, e ricostruita da Itstime, portale che si occupa anche di intelligence e sicurezza. Aree urbane e suburbane, stando allo studio, sono a rischio radicalizzazione. L'ultimo rapporto, con i dati del 2016, racconta una Lombardia con 1.314.000 immigrati su 10 milioni di abitanti. Gli irregolari sono stati stimati in circa 96.000. I dati raccolti dall'Agenzia di tutela della salute completano il quadro: la percentuale d'immigrati di religione musulmana, riferibile al totale dei soggetti immigrati in Regione Lombardia e ivi residenti nell'anno di rilevazione 2016, sarebbe del 37,6% sul totale, contro il 25% della sola città di Milano e il 29,8% dell'intera provincia milanese.In Lombardia e a Milano in particolare gli immigrati musulmani trovano terreno fertile. Porte aperte, anche politiche, se si pensa che solo qualche giorno fa sono state presentate, proprio a Milano, le linee guida del futuro Piano di governo del territorio, con annesso Piano per le strutture religiose. La giunta in carica guidata da Beppe Sala dà il via libera alla nascita di sette moschee. In quattro casi l'ipotesi è quella di mettere a norma immobili abusivi già utilizzati dalle associazioni culturali islamiche come luoghi di preghiera: l'edificio di via Padova/Cascina Gobba (associazione Al-Waqf Al-Islami in Italia), quello di via Maderna (Comunità Culturale Islamica Milli Gorus), lo stabile di via Gonin (associazione culturale no profit Der El Hadith) e la moschea di via Quaranta (Comunità Islamica Fajr). Negli altri tre casi, gli spazi di via Esterle, di via Marignano e del parcheggio Trenno di via Novara, la giunta Pisapia aveva già messo a bando le metrature per la realizzazione di luoghi di preghiera, ma i progetti si fermarono a causa di ricorsi. Ora, però, in base alla legge urbanistica della Regione Lombardia, che prevede l'inserimento obbligatorio nel Piano di governo del territorio delle aree destinate alla realizzazione di luoghi per il culto religioso, i tre edifici potrebbero essere assegnate ai vincitori del bando, ossia tre associazioni musulmane. Nel bando per fortuna è stato previsto un aspetto di garanzia: «I soggetti richiedenti dovranno garantire la totale trasparenza nella gestione e documentazione dei finanziamenti ricevuti, provenienti dall'Italia o dall'estero». «Un chiaro rimando al caso Qatar Charity relativo alla moschea di Sesto San Giovanni», spiega il direttore Marco Lombardi su Itstime, «nel quale alcune fonti giornalistiche evidenziarono la possibilità di finanziamenti esteri di dubbia provenienza: l'associazione Qatar Charity, infatti, è stata più volte accusata dagli analisti americani di essere un'organizzazione vicina ad Al Qaeda e al terrorismo internazionale, sin dalla fine degli anni novanta». Questo aspetto avrebbe spinto molte delle amministrazioni comunali a prevedere una sorta di vigilanza economica, per evitare che la costruzione di luoghi di culto islamici si trasformi in una massiccia elargizione di finanziamenti occulti destinabili radicalismo religioso. E a proposito di radicalismo si arriva all'area metropolitana di Milano, dove è stato possibile individuare alcuni punti in cui il contesto sociale crea un clima favorevole alla diffusione del radicalismo. Degli «hot spot», li definisce Itstime.Zona Corvetto: in via Quaranta si trova una moschea abusiva in via di autorizzazione. L'edificio è inserito in un'area a elevato tasso di criminalità, soprattutto per lo spaccio di droga. Il centro di culto si è spesso trovato indifeso davanti alle infiltrazioni radicali. «Un eventuale opera di proselitismo religioso di tipo islamista in questa zona», valuta Lombardi, «troverebbe terreno fertile per la debolezza sociale di alcune fasce della popolazione residente».Zona San Siro (la moschea di riferimento più vicina in zona è quella di via Gonin): sono più di 900 gli alloggi pubblici occupati abusivamente. Gli appartamenti sono nelle mani di stranieri nordafricani che assegnano l'utilizzo temporaneo di un'abitazione dietro compenso economico. Zona Piazza Selinunte: è conosciuto come il quadrilatero della paura e va dall'incrocio delle vie Tracia, Civitali, Paravia e Morgantini. La stima: su 12.000 persone residenti, più di 5.000 sono stranieri. Da un appartamento di via Civitali proveniva Mohammed Game, che nel 2009 rimase ferito nello scoppio di un ordigno avvenuto davanti alla caserma Santa Barbara dei Carabinieri. E in via Tracia viveva il marocchino Nadir Benchofri, arrestato nel 2016 con l'accusa di aver progettato un attentato nel centro commerciale di Sesto San Giovanni.Zona Lorenteggio Giambellino: qui si trova la moschea via Gonin. Il business del racket delle occupazioni abusive è uno dei problemi principali. L'alta la percentuale di stranieri residenti illegalmente rende difficile compiere un censimento preciso. In viale Jenner c'è la moschea dalla quale sono passati Abu Omar, Abdeikader Ben Moez Fezzani, arrestato nel 2016 in Sudan poiché ritenuto il principale reclutatore di Isis in Italia per la Libia, Abu Imad, altro imam condannato per terrorismo, e due degli attentatori responsabili degli attacchi di Madrid del 2004. La cintura milanese dell'interland mette in una morsa la città. A San Donato Milanese si nascondeva Nabawy Mohamed Ahmed Salem, egiziano rimpatriato nel 2017 per connessioni con il terrorismo internazionale. A Sesto San Giovanni è stato ucciso Anis Amri, il terrorista responsabile degli attacchi di Berlino. A Rozzano la moschea di via Aspromonte è animata dalle circa 300 le persone della preghiera del venerdì. Tra i 300 c'erano tre presunti fiancheggiatori dell'Isis e un italiano convertito che viveva tra Londra e Milano e che era stato segnalato per i suoi spostamenti in un paese arabo.A Inzago viveva Fatima, alias di Maria Giulia Sergio, la prima foreign fighter donna italiana. Avevano scelto Vimodrone, invece, Monsef El Mkhayar e Tarik Aboulala, giovani seguiti in una comunità di recupero. Nel 2015 scappano dall'Italia e nel 2016 il primo muore nei combattimenti in Siria. Tutti avvenimenti che provano l'esistenza di un ambiente fertile per la rete del terrore.
(Ansa)
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(IStock)
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Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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