2022-10-18
Mosca risveglia Israele con i droni iraniani
Pioggia di bombe sull’Ucraina, anche grazie a una crescente quantità di armamenti forniti dal regime degli ayatollah ai russi. Gerusalemme pronta a schierarsi con Kiev, il Cremlino minaccia: «Sarebbe mossa avventata». Suicida un ufficiale di Vladimir Putin.Chi fronteggiò l’Isis fu inquisito. Per Giulia Schiff fanfare e interviste. La soldatessa rientra dal fronte: nessun fascicolo. I rivali di Daesh ebbero più rogne.Lo speciale contiene due articoli. Pioggia di bombe ieri sull’Ucraina e sulla capitale Kiev, dove l’esercito russo ha lanciato un’ondata di attacchi (almeno 28) con i droni kamikaze iraniani Shaded-136. Il bilancio parla di tre morti, tra i quali una coppia di trentaquattrenni che attendeva il primogenito. In un tweet il ministro della Difesa ucraina, Oleksii Rezniko, ha parlato di quanto accaduto: «Russia e Iran sono unite nel seminare morte e terrore. Il drone iraniano Shahed-136 è solo uno dei loro strumenti, insieme ai missili Kalibr, Iskander e Kh e ai droni Mojaher-6, Fateh-110, Zolfaghar». L’Iran continua a negare l’evidenza. Attraverso il portavoce del ministero degli Esteri Nasser Kanaani ha ribadito la propria posizione: «Non abbiamo fornito armi a nessuna delle parti in conflitto in Ucraina». Il regime di Teheran prova in tutti i modi ad allontanare i sospetti, tuttavia gli ucraini hanno in mano le fotografie dei satelliti (oltre ai droni abbattuti) che provano il coinvolgimento diretto del regime degli ayatollah. Le prove che collegano l’Iran alla Russia nelle forniture di materiale bellico sono da settimane anche nelle mani del Pentagono e del Mossad, che già nell’agosto scorso aveva informato con una serie di note riservate gli ucraini e la Nato del crescente coinvolgimento in chiave antioccidentale dell’Iran nella guerra. La scelta del Cremlino di acquistare armi da Teheran scatena i riflessi di Israele, che si sarebbe deciso a sostenere (dopo molta prudenza) l’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Delle armi iraniane ha parlato il capo della diplomazia di Kiev, Dmytro Kuleba: «Probabilmente sono il primo ministro degli Esteri a rivolgersi al consiglio Affari esteri dell’Ue da un rifugio antiaereo. Ho chiesto all’Ue di imporre sanzioni all’Iran per aver fornito alla Russia droni». A queste esternazioni ha risposto l’alto rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell: «Stiamo seguendo con attenzione la questione della presunta fornitura di droni alla Russia da parte dell’Iran: stiamo raccogliendo le prove e siamo pronti a reagire con i mezzi a nostra disposizione», ovvero altre sanzioni che potrebbero mettere in ginocchio il regime di Teheran. Se Israele decidesse di schierarsi in maniera netta con Kiev, per la Russia aumenterebbero i problemi viste le indubbie capacità dello stato ebraico nelle questioni militari, di intelligence e nella fornitura di armi tecnologicamente avanzate (uno su tutti il sistema d’arma mobile per la difesa antimissile Iron Dome, prodotto dalla società israeliana Rafael Advanced Defense Systems Ltd). I russi sanno benissimo che questo potrebbe accadere, tanto che ieri il vicepresidente del consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev, sul suo canale Telegram ha reagito al possibile sostegno di Israele all’Ucraina: «Una mossa molto avventata che distruggerà tutte le relazioni tra i nostri Paesi». Ieri non solo Kiev è stata attaccata: sono state segnalate diverse esplosioni anche nelle regioni di Odessa e Kharkiv, come nella città di Nikolayev. Lo riportano i media ucraini. Inoltre è stato lanciato un allarme aereo nelle regioni di Poltava, Kharkiv, Dnepropetrovsk e Kirovograd. Contemporaneamente procede la controffensiva ucraina a sud. A Kherson i soldati russi stanno lasciando anche le istituzioni statali, dopo che gli ucraini hanno attaccato per ben 20 volte nelle ultime 48 ore. Mentre dal fronte del Donetsk è arrivata la notizia dell’uccisione di un italiano di origine sarda che combatteva con i russi. Si chiamava Elia Putzolu. Il giallo della giornata è quello relativo alla morte del tenente colonnello Roman Malyk, responsabile della mobilitazione dei riservisti russi nella regione sudorientale del Territorio del Litorale (Primorsky Krai). Secondo i media locali l’uomo si sarebbe impiccato a una palizzata fuori dalla sua casa, in un villaggio nella regione di Primorsky. Tuttavia la polizia ha aperto un’indagine e ha definito «sospette» le circostanze della morte del quarantanovenne ufficiale. Roman Malyk era un veterano delle due guerre in Cecenia. La famiglia e gli amici escludono che l’uomo si sia tolto la vita e lo hanno descritto come «forte e coraggioso». È possibile che sia si fatto travolgere dalle emozioni, dato che la mobilitazione parziale decisa dal Cremlino - che ha provocato la fuga migliaia di russi all’estero - ha di fatto scatenato la rabbia di parte della parte della popolazione, tanto che almeno 70 uffici per l’arruolamento forzato sono stati dati alle fiamme e molti ufficiali russi sono stati aggrediti o minacciati di morte. Un fenomeno in peggioramento soprattutto negli ultimi giorni, da quando stanno tornando nelle bare molti di coloro che sono stati mandati allo sbaraglio dopo la mobilitazione parziale. Nonostante le bombe, ieri è stato annunciato da Denis Pushilin (capo dell’autoproclamata Repubblica del Donetsk) uno scambio di 110 prigionieri russi con 110 ucraini, mentre il ministro della Difesa bielorusso Viktor Khrenin alla Tass ha confermato che «il gruppo regionale di truppe e forze bielorusse e russe ha iniziato il suo dispiegamento e l’adempimento dei suoi compiti per la difesa armata dello Stato dell’Unione». Il prossimo passo dell’operazione varata dal duo Vladimir Putin-Alexander Lukashenko sarà vedere i soldati bielorussi combattere in Ucraina. Mentre scriviamo si apprende che un aereo militare russo si è schiantato vicino a un condominio a Yeysk, nella regione di Krasnodar, nel Sud della Russia, sul Mare di Azov.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mosca-risveglia-israele-droni-iraniani-2658462881.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="chi-fronteggio-lisis-fu-inquisito-per-giulia-schiff-fanfare-e-interviste" data-post-id="2658462881" data-published-at="1666028926" data-use-pagination="False"> Chi fronteggiò l’Isis fu inquisito. Per Giulia Schiff fanfare e interviste All’inizio della guerra tra Russia e Ucraina la Farnesina aveva tentato con una nota di fermare gli ardori di chi voleva andare a cercare la «bella morte» in Ucraina, ricordando che «tali condotte possono essere considerate penalmente rilevanti ai sensi della normativa vigente (artt. 244 e 288 del codice penale». Tentativo vano, visto che i cittadini italiani che combattono come foreign fighters a fianco di uno dei due contendenti risultano essere una sessantina. Del resto, la normativa richiamata dal ministero degli Esteri riguarda sostanzialmente chi recluta i combattenti stranieri, come aveva evidenziato Massimiliano Strampelli, legale di una delle più note foreign fighters italiane, Giulia Schiff. Il 25 marzo, un giorno dopo la presa di posizione del ministero, aveva escluso che il comunicato riguardasse la sua assistita, già salita agli onori delle cronache per le sue denunce su presunti atti di nonnismo quando si era arruolata nella nostra aeronautica e che in quei giorni faceva collegamenti dall’Ucraina per raccontare la guerra dall’interno. «La nota della Farnesina non riguarda la mia assistita Giulia Schiff» aveva scritto il legale, che poi aveva proseguito così: «Infatti per la legge italiana sono punibili unicamente le condotte di mercenariato (art. 3 l.210/95 ) o quelle di reclutamento non autorizzato nello Stato Italiano. In questo caso solo gli organizzatori infatti sono punibili (…) e non chi si arruola unicamente per difendere uno Stato estero». I fatti gli stanno dando ragione. La sua assistita è da pochi giorni tornata in Italia e invece dell’avviso di garanzia ad attenderla ha trovato solo taccuini e telecamere. Per il momento, l’unico italiano andato a combattere in Ucraina finito sul registro degli indagati è il genovese Kevin Chiappalone, ex militante di Casa Pound, ritenuto dalla Procura del capoluogo ligure un mercenario, addebito che il giovane ha pubblicamente negato. Negli altri casi, ad esempio in quello dell’ex calciatore Ivan Luca Vavassori, che inizialmente era stato dato per morto in combattimento, le procure si sono limitate ad aprire fascicoli esplorativi senza ipotesi di reato per identificare gli eventuali reclutatori. In passato però i foreign fighters nostrani, grazie anche alle normative farraginose, non erano stati così fortunati, fino ad arrivare al paradosso di vedere nostri concittadini schierati a fianco dei curdi contro i terroristi dell’Isis accusati a loro volta di terrorismo. Nel settembre 2018 all’indipendentista sardo Pierluigi Caria, era stato ritirato il passaporto a seguito di un’indagine della direzione distrettuale antiterrorismo di Cagliari e della Digos di Nuoro su attività di combattimento all’estero. Il motivo? Le associazioni dei curdi che combattevano l’Isis erano collegate al Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan che veniva considerato dalle autorità europee un’organizzazione terroristica. Due mesi dopo le perquisizioni della Digos, la Corte di giustizia europea aveva però cancellato il Pkk dalla lista delle organizzazioni terroristiche e l’inchiesta sarda era finita in una bolla di sapone.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)