2020-02-26
Morto Mubarak, il «Faraone» diplomatico
Si è spento a 91 anni al Cairo l’ex presidente che ha governato in Egitto per trent’anni. Punto di equilibrio nell’area mediorientale, dovette dimettersi con lo scoppio delle Primavere arabe e per le accuse di corruzione. Fu capace di arginare i Fratelli musulmaniAutoritario. E tuttavia pragmatico, oltre che incline al compromesso. Con queste caratteristiche potrebbe forse essere riassunta la controversa figura dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, morto ieri a Il Cairo all’età di novantuno anni. In Italia, il suo nome entrò nell’immaginario collettivo nel 2011, quando – nel pieno del caso Ruby – l’allora premier Silvio Berlusconi si difese dalle accuse di concussione, sostenendo di aver ritenuto la ragazza (al secolo Karima el-Mahroug) nipote proprio del rais. Non era d’altronde la prima volta che la politica italiana incrociava così nettamente la figura di Mubarak, visto il ruolo da lui svolto nel 1985 ai tempi del dirottamento dell’Achille Lauro. Più in generale, l’ex presidente egiziano ha guidato il proprio Paese attraverso fasi alterne di stabilità e di burrasca. Un evento traumatico lo catapultò al potere. E un altro evento, altrettanto traumatico, ne avrebbe decretato, decenni più tardi, il tramonto politico.Dopo aver acquisito una certa notorietà come comandante delle forze aeree ai tempi della guerra dello Yom Kippur, nel 1975 l’allora presidente egiziano Anwar el-Sadat lo nominò proprio vice, conferendogli notevole spazio soprattutto sui dossier di politica internazionale e - in particolar modo - sulla delicata questione delle relazioni con Israele. Dopo l’uccisione di Sadat in un attentato nel 1981 e la brevissima parentesi al potere di Sufi Abu Taleb, Mubarak divenne il quarto presidente dell’Egitto, inaugurando una lunga stagione di potere che si sarebbe protratta per tre decenni (superando decisamente i quattordici anni della presidenza di Nasser).Mubarak ricucì progressivamente i rapporti con la Lega Araba e, soprattutto negli anni ’80, si ritagliò il ruolo di punto di riferimento per quegli Stati mediorientali (come Iraq e Arabia Saudita) che temevano gli effetti della rivoluzione khomeinista del 1979. È del resto in questo senso che sostenne Saddam Hussein nel conflitto con Teheran tra il 1980 e il 1988. Nello stesso periodo attuò un graduale riavvicinamento nei confronti dell’Olp, segnando in tal modo una rinnovata convergenza dell’Egitto con il mondo arabo. Questo non impedì comunque dei significativi attriti con Baghdad, soprattutto quando, in occasione della Guerra del Golfo del 1990, il rais prese parte alla coalizione delle Nazioni Unite contro l’invasione irachena del Kuwait. Più ambigua fu invece la sua posizione sull’attacco americano all’Iraq nel 2003: se in un primo momento decise di non appoggiarlo, nel 2011 sostenne che un ritiro delle truppe statunitensi dall’area non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Nonostante la distensione con il fronte arabo, Mubarak cercò comunque di fungere da mediatore nel conflitto israeliano-palestinese. Non solo confermò gli accordi di Camp David del 1978, ma nel 2000 ospitò a Sharm el-Sheikh un vertice a cui presero parte, tra gli altri, il premier israeliano Ehud Barak, il presidente americano Bill Clinton e il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Yasser Arafat.In politica interna, il rais intraprese una serie di riforme economiche di stampo liberista. Governò comunque col pugno di ferro, facendo ampiamente ricorso allo stato di emergenza, da lui giustificato come reazione all’assassinio di Sadat. In questo clima, ottenne ripetute riconferme alla presidenza nel 1987, nel 1993, nel 1996 e anche nel 2005 (quando si tennero elezioni con più candidati, nonostante il forte sospetto di brogli). Il cospicuo potere concentrato nelle sue mani e le ingenti ricchezze incamerate negli anni (si parlò di un patrimonio di circa quaranta miliardi di dollari) gli valsero non a caso il soprannome di «Faraone», attirandogli inoltre accuse di corruzione, malversazione e arricchimento personale: accuse per cui avrebbe dovuto affrontare quattro processi negli ultimi anni della sua vita. Nonostante la linea autoritaria, il presidente allentò parzialmente la stretta contro la Fratellanza Musulmana e offrì alcune tutele alla Chiesa copta.Un variegato fronte di opposizione interno iniziò comunque a farsi strada: un fronte che esplose in sommosse popolari, sulla scia delle cosiddette «primavere arabe», scoppiate nel 2011. Mubarak rifiutò dapprincipio il passo indietro invocato dalla piazza e, anzi, rispose duramente all’allora presidente americano, Barack Obama, che aveva chiesto le sue dimissioni, dicendogli: «Non prendo ordini da te». Le pressioni furono tuttavia tali che il Faraone accettò di ritirarsi nel febbraio del 2011: vittima illustre, oltre che delle contraddizioni interne, anche della strategia mediorientale e nordafricana statunitense. In quel periodo, la Casa Bianca era infatti convinta che, favorendo l’arrivo al potere delle organizzazioni islamiste, queste ultime si sarebbero progressivamente democratizzate, abbandonando la via dell’estremismo. In tal senso, Obama sostenne indirettamente la Fratellanza Musulmana, che sarebbe arrivata alla presidenza in Egitto con Mohamed Morsi nel 2012. Quel Morsi che non esitò tuttavia ad incrementare il proprio potere, rimanendo pochi mesi dopo vittima del golpe del generale al Sisi: fautore della linea dura contro la Fratellanza.
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