2022-02-09
La «morte assistita» in Aula. Prove di trincea bipartisan contro l’eutanasia selvaggia
In attesa del verdetto della Consulta sui referendum radicali (martedì), alla Camera arriva la legge che può renderli inutili. Il centrodestra punta su uno «schema ddl Zan».Arrivano in parlamento i giorni dell’Exit. Quelli dedicati al suicidio assistito (oggi) e al referendum per l’eutanasia, che il 15 febbraio passerà al vaglio della Corte costituzionale. Viene facile chiamarli così perché Exit è la società australiana che ha prodotto il sarcofago che sprigiona azoto liquido, «dal design elegante e a chiusura ermetica» (lo annuncia la brochure), dove infilarsi per farla finita. Il baccellone si chiama Sarco, in Svizzera e in Olanda è già un must. Si muore in otto minuti per ipossia e ipocapnia, cioè mancanza di ossigeno e anidride carbonica. Una fine atroce, fatta passare nel nostro Occidente post storico per l’ottenimento di un «diritto» da Paese civile.Dopo un fugace prologo a dicembre nel deserto di Montecitorio, comincia la prima battaglia politica dell’anno a carattere etico, fuori dal perimetro Covid e al termine della partita per il Quirinale che ha lasciato sul terreno numerosi sconfitti, feriti e relitti di alleanze. Sarà un test di tenuta anche per il governo, sostenuto da partiti come Lega, Forza Italia e Coraggio Italia fortemente contrari - oltre a Fratelli d’Italia - al disegno di legge portato alla Camera dalle sinistre dopo il voto nelle commissioni Giustizia e Affari sociali. La Lega ha già preparato un gran numero di emendamenti (in commissione erano 300) ed è prevedibile che il braccio di ferro prosegua al Senato. Spiega il senatore Simone Pillon: «Si comincia con l’eutanasia e si finisce con il suicidio assistito dei bambini. Lo affosseremo al Senato». Il voto segreto potrebbe creare difficoltà al campo di centrosinistra, con alcuni cattolici dem pronti a mettersi di traverso. Ancora una volta sarà da verificare la tenuta di Forza Italia, che dovrebbe lasciare libertà di coscienza ai suoi parlamentari. Gli otto articoli del decreto sulla «morte volontaria medicalmente assistita» arrivano in Aula con la firma del piddino Alfredo Bazoli (nipote del banchiere cattolico bresciano) e del grillino Nicola Provenza, che hanno accettato di inserire nel testo modifiche richieste dal centrodestra come l’obiezione di coscienza per medici e infermieri, e una ferrea casistica per poter accedere al fine vita. La persona deve essere: 1) affetta da «patologia irreversibile a prognosi infausta», 2) vittima di «sofferenze fisiche e psicologiche» (entrambe, non solo una delle due come volevano i proponenti), 3) tenuta in vita da «trattamenti sanitari di sostegno vitale», 4) assistita e «previamente coinvolta in un percorso di cure palliative al fine di alleviare il suo stato di sofferenza», cure però «esplicitamente rifiutate». Questa legge non piace a tanti. Non al centrodestra che la considera un’anticamera dell’eutanasia, ma neppure alle associazioni radicali che la trovano edulcorata, lontano dalle loro aspettative. Riccardo Magi, presidente di +Europa, la ritiene insipida: «È un disegno di legge gravemente insufficiente. Lo hanno fatto con lo scopo di portare in Aula un testo quale che sia, rinviando le scelte sui nodi non sciolti. È prevedibile un esito: lo stesso del ddl Zan». Enrico Letta invece spera che passi con un ragionamento di lana caprina: «Bisogna abbandonare i paletti ideologici, non è omicidio del consenziente ma suicidio assistito. L’eutanasia è una cosa, il suicidio un’altra». L’ago della bilancia potrebbe essere il Vaticano, contrario da sempre a pratiche che conducano all’eutanasia. Pala Francesco si è ben guardato dal trattare l’argomento da Fabio Fazio (e il fratacchione digitale dal chiedergli alcunché), ma ha ribadito più volte la «sacralità e inviolabilità della vita umana». L’inserimento delle cure palliative e dell’obiezione di coscienza è un passo nella direzione della trattativa per sanare un vulnus sollevato più di un anno fa dalla Consulta, ma si prevede battaglia. Per far saltare il banco, i pasdaran dell’eutanasia senza limiti (per esempio Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni) fanno più affidamento sul referendum. Hanno rastrellato un milione e 200.000 firme e il 15 febbraio la Corte costituzionale dovrà sentenziare la liceità del pacchetto. Se la consultazione popolare dovesse ottenere il successo, in Italia diventerebbe legittimo togliere la vita a chiunque ne facesse richiesta, senza alcun vincolo o controllo preventivo, a cominciare dall’accertamento della reale volontà della vittima. Sarebbe il vuoto normativo che i giuristi temono.Oggi sono due i procedimenti di suicidio assistito in stallo. Uno di questi riguarda un paziente tetraplegico di 43 anni (a cui è stato dato il nome di fantasia Mario) autorizzato a morire dal comitato etico dell’azienda sanitaria delle Marche, dopo una pronuncia a giugno del Tribunale di Ancona. È tutto fermo per via di uno di quegli intoppi burocratici che in Italia tendono a salvare capra e cavoli: il comitato etico non ha chiarito quale fosse il farmaco letale da iniettare e l’Asl non ne ha verificato l’idoneità. Ora tocca alla politica provare a fare argine alla barbarie. Anche per i partiti questo non è un exit poll, ma un Exit e basta.
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