2022-12-03
I cinque guerrieri dell’«altra» mortadella
Sono i produttori che tra le province di Prato e Pistoia hanno dato nuova vita al salume che nel 2016 ha ottenuto la certificazione Igp. Non ha nulla a che vedere con quella di Bologna. Protagonista è l’alchermes, liquore che dà colore, profumo e sapore inconfondibili.Attenti a non confondere le targhe se non volete che qualcuno s’incazzi di brutto: Po è Prato, Bo è Bologna. La mortadella di Prato è targata Po e non va confusa con quella della città felsinea. «I’ son di Prào e voglio essè rispettao, posa i sasso e mang’i bao», avvertono i pratesi. Non c’è bisogno di mangiare un verme per capire che con loro - che divorano le «c» e le «t» mutilando l’alfabeto - non si scherza. Basti pensare a quella linguaccia malefica del pratese Curzio Malaparte e al suo Maledetti toscani. Meglio lasciare i sassi per terra e rispettare la loro mortadella. Guai a toccargli questo salamone cotto proprio ora che sta tornando a nuova vita dopo aver rischiato di finire nell’oblìo negli scorsi anni Cinquanta, colpito a morte dal boom economico che convinse l’Italia, compresa Prato, reame di florida industria tessile, a scartare i cibi poveri, anche se ricchi di gusto. Come la mortadella, ritenuto in quegli anni un salumaccio fatto con gli scarti del suino. Vuoi mettere lo spezzatino di vitello? Il «presciutto» di Pratomagno? O, se proprio vuoi mangiare un salume, la finocchiona? Che la mortadella di Prato fosse l’unico insaccato italiano preparato con l’alchermes, liquore rosso che si ricava dalla cocciniglia, un insetto essiccato e polverizzato, e che fosse radicata nella storia della città fin dal medioevo quando si usava l’alchermes (usato anche in pasticceria) per colorare le pezze, non gliene importava più niente a nessuno.Quasi a nessuno. La mortadella è risorta grazie a un manipolo di macellai che la difendono e la tutelano come i fanti difesero la patria sul Piave dopo Caporetto. Accanto a questo pugno di combattenti del gusto e della tradizione - sono cinque - si sono schierate la Provincia e la Camera di Commercio di Prato per favorire l’entrata del salume cotto nell’elenco dei presidi Slow Food (2000). La mortadella di Prato è poi approdata, nel 2016, al marchio europeo dell’Indicazione geografica protetta (Igp). Ora ci pensano le associazioni regionali Buyfood Toscana e Vetrina Toscana a far conoscere la bontà e la tipicità dell’insaccato ai buyers nazionali e internazionali. I buyers sono i potenziali compratori. Se non ci diamo una mossa anche la lingua di Dante, come la mortadella di Prato, rischia di finire nel dimenticatoio. Specifica il disciplinare dell’Igp che la «Mortadella di Prato, di forma cilindrica e di pezzatura tra i 5 etti e i 10 chilogrammi, comprende l’intero territorio del comune di Prato e dei comuni di Agliana, Quarrata e Montale in provincia di Pistoia». I cinque produttori che l’hanno salvata dall’oblio sono Fratelli Conti e Mannori di Prato; salumificio Ro.Ma, Fratelli Marini e Tradizione salumi di Agliana. C’era un sesto norcino, Antonio Gori di Galciana che si deve considerare il prosecutore della mortadella, ma è morto e la macelleria è stata chiusa. Nella bottega-laboratorio Mannori a Vergaio, periferia di Prato troviamo due giovani e belle donne: Sue Ellen e Celeste Mannori. Rappresentano la terza generazione e, ovviamente, sono innamorate della mortadella che nonno Mario produceva ottant’anni fa. Produzione portata poi avanti dal figlio Domenico che ora se la gode un mondo nel vedere con quanto entusiasmo Celeste e Sue Ellen (galeotto fu Dallas) si coccolano la mortadella. «La ricetta di nonno Mario», spiega Sue Ellen, «prevedeva l’utilizzo degli scarti del suino, interiora, testa, alchermes e una abbondante speziatura di pepe nero, aglio, coriandolo, cannella, garofano. Noi l’abbiamo modernizzata utilizzando le parti magre del maiale e il grasso di gola. Naturalmente l’alchermes e le spezie, queste in quantità meno intensa, non mancano».Sue Ellen ha scelto il salumificio di famiglia rinunciando a una possibile carriera nello spettacolo: alcuni anni fa era tra le 100 reginette della finale di Miss Italia. Firenze made in Tuscany, bella rivista in inglese che mette in mostra il meglio della toscanità, scrive di lei: «A Vergaio con nostro stupore di atei miscredenti, ci appare davanti una figura quasi angelica. Non siamo davanti a un tabernacolo, ma alla vetrina del macellaio e questa madonna celeste, munita di mannaia, sta disossando una bistecca». Il primo documento esplicito sulla mortadella di Prato è in un manoscritto dell’archivio del monastero di San Vincenzo. Dice che il 22 settembre 1735, in occasione della beatificazione di suor Caterina de’ Ricci, le monache domenicane allestirono per gli ospiti un «descomolle (merenda) consistente in pasticci, bocche di dama, due piatti arrosto, mortadelle...». A dire quanto era abbondante la produzione di salumi a Prato nel Cinquecento è Agnolo Firenzuola che si sofferma sulla salsiccia (la mortadella?). Gli scrittori pratesi Umberto Mannucci e Pietro Vestri in Ratafià e Ghirighìo, zibaldone culinario pratese, riferiscono che nel 1653 la comunità pratese inviò a Firenze alla corte del granduca Ferdinando II che aveva concesso a Prato il titolo di «Città», due rappresentanti carichi di prodotti del territorio del Bisenzio. Tra i doni figuravano «60 libbre di mortadelle».Francesco Bernocchi, studioso della storia della sua città, profondo conoscitore della gastronomia pratese e cuoco per passione, è una miniera di informazioni. Tra le tante fonti trovate c’è il curioso episodio pubblicato dal giornale fiorentino Lo Zenzero del 26 settembre 1862: «È il dialogo tra un prete e la sua perpetua che discutono animatamente su un argomento pretendendo entrambi d’aver ragione. A un certo punto il sacerdote, sicuro di sè, mette in gioco la cosa più importante che possiede: “Scommetto la mortadella di Prato!»”». Francesco con il salume gioca in casa. Gaspero Bernocchi, il bisnonno, nella seconda metà dell’Ottocento era uno dei maggiori produttori di mortadelle in Prato. La Guida di Prato del 1915 rivela che ne erano rimasti tre. Da uno di loro il norcino di Galciana Donatello Gori origliò l’antica ricetta della mortadella. Fu un bene perché la custodì fino alla metà del ’900 passandola al figlio Antonio.I cinque salumieri che oggidì formano il Consorzio per la produzione della mortadella di Prato continuano la tradizione. Cosa abbinare alla mortadella? «Prima di tutto la bozza, il pane pratese», consiglia Francesco Bernocchi. «È ottima con i fichi dottati di Carmignano. Si può fare in frittata come suggeriscono ricette storiche. Ma è buona in mille altri modi. Insomma, è tutta da scoprire. Il vino? Il Carmignano naturalmente».La mortadella di Prato è stata in vetrina nell’Ottocento alle esposizioni internazionali di Londra e Parigi. A Londra ebbe la gran soddisfazione di essere equiparata nella relazione di un commissario inglese alla mortadella di Bologna: «Le Mortadelle di Prato e di Bologna all’estero dan nome al genere intero». Citata dallo scrittore spagnolo Manuel Vasquez Montalban è sempre più corteggiata da cuochi grandi e piccoli che la usano come ingrediente speciale per i loro piatti. E l’alchermes che entra nell’impasto? Lo produce la distilleria Numquam di Fabio Goti che si trova a Tavola, frazione di Prato. «L’alchermes», spiega Bernocchi, «fu liquore tanto caro alla famiglia dei Medici di Firenze tant’è che lo chiamavano il liquore dei Medici. Si è sempre usato nella mortadella per rendere uniforme la colorazione dei vari tagli di carne, ma anche per le sue proprietà conservanti». www.golosoecurioso.it