2020-01-18
Morandi, fascicolo sulle pressioni ai periti
Segnalazione alla Procura: un tecnico della difesa avrebbe detto a uno del gip che «nessuno si deve vendere». L'ipotesi è quella di oltraggio a pubblico ufficiale. I consulenti del giudice hanno scritto una lettera: «Non siamo sereni nello svolgere il nostro lavoro».Il clima nel quale si sta svolgendo il secondo incidente probatorio che dovrà stabilire con esattezza giudiziaria cosa ha provocato il crollo del ponte Morandi a Genova è sempre più pesante. «Nessuno si deve vendere», è la frase pronunciata da uno dei consulenti degli indagati nei confronti dei periti scelti dal gip Angela Nutini. Parole che sono finite in una segnalazione che il giudice ha trasmesso alla Procura di Genova «per le valutazioni del caso». Il fascicolo, aperto dal procuratore Francesco Cozzi, è stato assegnato al suo aggiunto Francesco Pinto, titolare del procedimento sul crollo del ponte, che sta decidendo i termini e le ipotesi. Si valuta quella di oltraggio a pubblico ufficiale, in base alle pressioni alle quali sarebbero stati sottoposti gli esperti nominati dal giudice. Le parole esatte pronunciate durante la riunione tra i periti e i consulenti di parte sarebbero state queste: «I giudici facciano i giudici, gli avvocati facciano gli avvocati e i periti facciano i periti. Nessuno si deve vendere».«Se parole come queste vengono pronunciate durante una partita Genoa-Inter fa parte della consuetudine calcistica, ma dette durante un incidente probatorio necessitano di un approfondimento», spiega il procuratore Cozzi alla Verità, aggiungendo che «sarà il collega a stabilire i termini con cui procedere». Anche il procuratore sottolinea che il clima entro il quale si sta svolgendo l'incidente probatorio «non è dei più distesi». E, ieri, infatti, c'è stato il primo vero scontro tra accusa e difesa: l'avvocato Giorgio Perroni, difensore di Michele Donferri Mitelli, ex responsabile nazionale delle manutenzioni di Autostrade per l'Italia, indagato insieme ad altre 70 persone e alle due società Aspi e Spea, aveva chiesto di acquisire al fascicolo tutte le registrazioni delle riunioni tra i periti e consulenti di parte. Il gip, però, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, ha respinto la richiesta. Provocando non poche reazioni. Tra i difensori degli indagati, infatti, alcuni hanno parlato di «compressione» del diritto di difesa. Anche perché pare che non tutti gli incontri tra periti e consulenti siano stati registrati. Cosa che, comunque, non è obbligatoria. E, così, quella che doveva essere una semplice udienza interlocutoria, per stabilire soltanto la proroga dei termini per il deposito della perizia finale, si è trasformata in un aspro confronto. Uno strascico dell'ultima riunione per le operazioni peritali del 19 dicembre. I tecnici di parte avevano chiesto di poter effettuare ulteriori prove di carico per verificare la resistenza di una trave dell'impalcato, assumendo di sostenerne i costi. I periti del gip si sono opposti, dicendo che non servivano ulteriori approfondimenti, probabilmente ritenendoli anche un modo per prendere tempo (i tecnici avrebbero dovuto consegnare la perizia nella seconda metà di dicembre, ma avevano già chiesto altri tre mesi). È dopo quella riunione che i tre periti del gip hanno scritto al giudice sostenendo di «ricevere pressioni costanti dai consulenti delle parti e di non essere sereni nello svolgimento del loro lavoro». Se non ci saranno altre richieste di proroga, la perizia dovrà essere consegnata il 14 marzo e discussa poi all'udienza, già fissata, del 22 aprile. Giorno in cui verrà anche mostrato in aula un modello tridimensionale che servirà a riprodurre il momento del crollo. Momento finale della richiesta della Procura (contenente 40 quesiti) nel momento in cui aveva avanzato l'istanza per l'incidente probatorio. Tra le analisi dei periti ci sono anche quelle sui sensori montati sul Morandi, ma tranciati anni prima del crollo durante alcuni lavori di manutenzione. Il primo incidente probatorio, quello sullo stato del viadotto al momento del crollo (durante il quale erano stati inviati alcuni reperti in un laboratorio svizzero, che aveva appurato il degrado dei trefoli che sostenevano il ponte e difetti nella costruzione dell'opera), invece, è già concluso. Secondo la Procura, il documento «di programmazione del rischio» in cui nel 2014 venne scritto che il ponte era a «rischio crollo» era stato compilato anche con i dati ricevuti dai sensori che Autostrade aveva montato anni prima. Ma, hanno scoperto gli investigatori, dal 2015 quell'impianto non funzionava più perché tranciato.I sensori, sostengono gli inquirenti, non erano stati sostituiti nonostante il Cesi e il Politecnico di Milano ne avessero consigliato l'installazione. Il sistema era stato poi inserito nel progetto di retrofitting, i lavori di rinforzo delle pile 9 e 10 che, però, non sono mai partiti perché nel frattempo il ponte è crollato, trascinando Genova in un incubo dal quale la città non è più uscita. Dal 2015, è il ragionamento della Procura, il documento veniva compilato soltanto con le prove riflettometriche e non con altri sistemi di monitoraggio. Un sistema che non è stato ritenuto sufficiente a capire le reali condizioni del Morandi. Partendo da queste valutazioni la Procura ha chiesto al gip, con i 40 quesiti, i due incidenti probatori, per stabilire la verità giudiziaria nel contraddittorio tra le parti. Il clima di scontro, però, sembra rendere il tutto più difficile.
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