2020-10-01
Mons. Trasparenza può essere la chiave per risolvere lo scandalo Becciu
Alberto Perlasca è stato 11 anni in segreteria di Stato. E avrebbe avuto accesso ai conti del Papa. L'indagine si stringe su di lui.«Ruota tutto attorno a monsignor Trasparenza». Gli spifferi in Vaticano vanno interpretati come gli alisei ai tempi di Magellano, ma spesso aiutano a capire. Così ora le inchieste sulle spericolate operazioni finanziarie, l'affaire dei 200 milioni per il palazzo di Chelsea, il siluramento del cardinal Giovanni Angelo Becciu sono come satelliti attorno al pianeta, al supertestimone che ha un volto, il capello sale e pepe da sessantenne in gran forma, il portamento autorevole di Angelo Perlasca. Snodo delle accuse secondo i giornali; custode del silenzio secondo chi lo ha visto per anni contare i passi dei corridoi della segreteria di Stato, lo scrigno dei segreti della Città di Dio.«Sta confessando, ha consegnato documentazione scottante», è la vulgata corrente. Mesi fa dalla Svizzera è arrivata la notizia, peraltro mai ufficialmente confermata, del sequestro di conti correnti al Credit Suisse a nome suo. Sono in tanti a tremare perché Perlasca è stato per 11 anni il capo dell'ufficio amministrativo della prima sezione della Segreteria, dove viene gestito il tesoretto da 700 milioni (immobili e conti bancari) che derivano dall'Obolo di San Pietro, il contenitore della carità dove confluiscono le donazioni e le elemosine dei fedeli. Era uno stretto collaboratore di Becciu, anche se davanti alle accuse al prefetto della Congregazione delle cause dei santi aveva risposto secondo il suo stile: «Non so niente». Le ultime rivelazioni invece dicono che aveva accesso anche al conto personale del Papa, il Fondo discrezionale aperto nel 2015 in Ubs.Nell'agosto dell'anno scorso papa Francesco decise, con una mossa sorprendente per chi guarda dall'esterno, di cambiargli ruolo, trasferendolo dalla sera alla mattina al tribunale della Segnatura apostolica come promotore di giustizia, a valutare i procedimenti disciplinari e penali come una Cassazione. Da amministratore a magistrato, una diversificazione troppo grande per non suscitare curiosità. Erano le prime scosse del grande terremoto di Vatileaks 3, lui sarebbe entrato ufficialmente nell'inchiesta da indagato solo nel febbraio 2020.Alberto Perlasca è chiamato monsignor Trasparenza per due motivi. Il primo è il gioco dell'ossimoro, nessuno più di lui appare discreto, depositario di verità da custodire e non da divulgare. Quelli che gli altri chiamano scandali, lui le definisce da sempre «imprecisioni». Il secondo è per via di una sua debolezza accademica: alle conferenze alle quali viene invitato (una delle ultime all'università Cattolica di Milano) non manca di sottolineare l'importanza della chiarezza, della trasparenza, valori che piacciono almeno in astratto al Pontefice. Un passaggio chiave delle sue prolusioni è sempre il richiamo a «imparare a comunicare bene perché lo scopo degli investimenti vaticani non è fare cassa. I beni della Chiesa sono trascendentali, è fondamentale avere chiarezza sulle finalità, sui soggetti e sulle modalità di gestione». Un programma titanico fra le mura leonine, un impegno personale che in queste ore viene messo a dura prova da chi lo interroga.Il percorso di Perlasca in tonaca è un crescendo rossiniano. Nato a Como nel 1960, figlio di un dirigente di Alidisco (uno dei primi consorzi italiani della grande distribuzione), trascorreva l'estate a Cernobbio nella villa di famiglia con un grande parco in cui ospitava gli amici a giocare con i fratelli Andrea e Giuseppe, quest'ultimo prematuramente scomparso. Arriva la vocazione, poi il seminario, poi l'università Cattolica dove Alberto si laurea in Giurisprudenza. Viene ordinato sacerdote a Como nel 1992, si trasferisce alla Pontificia università Gregoriana di Roma dove si laurea anche in diritto canonico: ora ha le ali per spiccare il volo. La carriera è tutta interna con un solo, strategico, viaggio all'estero. Nel 2003 viene assunto nell'ufficio giuridico degli affari generali della segreteria di Stato, ha spiccate doti diplomatiche e nel 2006, con Joseph Ratzinger al soglio pontificio, diventa cappellano di Sua Santità, il titolo onorifico più prestigioso per giovani sacerdoti. Quando a Buenos Aires serve un profilo di supporto per la nunziatura argentina, il prescelto è lui anche perché parla inglese, francese e spagnolo. Per due anni si trasferisce in Sudamerica e conosce Jorge Mario Bergoglio, che sarà Papa arrivando dalla fine del mondo. Quando torna a Roma viene nominato responsabile dell'ufficio amministrativo della Segreteria: è l'uomo che ha le chiavi del forziere. All'annuncio del nuovo Pontefice ricorda le frequentazioni argentine e commenta in modo non banale: «Più che una persona semplice, papa Francesco mi sembra una persona semplificata. Semplice potrebbe dare l'idea di ingenuo, invece lui è molto intelligente e ha saputo calare la parola di Dio nella vita quotidiana. Si è appunto semplificato». Poi aggiunge una considerazione che oggi suona beffarda: «Da come lo conosco continuerà a sorprenderci, farà scelte non proprio conformi, ci darà una sveglia su tante cose sulle quali ci siamo adagiati».Negli anni Perlasca rafforza il suo potere. Entra nel cda del Fondo pensioni, del Fondo assistenza sanitaria, dell'ospedale Bambin Gesù. È membro del collegio dei revisori della fondazione Benedetto XVI. Non è difficile credere che l'inchiesta abbia fatto un salto di qualità grazie alle sue carte. È stato amministratore con Tarcisio Bertone e Pietro Parolin, ha sempre avuto un rapporto strettissimo con l'ormai ex prefetto della Congregazione dei Santi, Becciu. «La vicenda di Sloane Avenue deve essere passata per forza dalla sua scrivania», rivela chi lo conosce. Deve avere spiegato molte cose, monsignor Trasparenza agli investigatori del Papa. Forse anche perché, dopo gli affari con il Vaticano, il discusso finanziere Raffaele Mincione ha ribattezzato il suo yacht Bottadiculo.
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