2024-10-01
Monorchio svela il golpe fiscale di Amato
L’ex ragioniere generale dello Stato racconta di come, nel 1992, l’allora premier fece passare in cdm il prelievo forzoso dai conti degli italiani, tenendo all’oscuro i ministri. La rivelazione spunta proprio ora che Draghi, per salvare l’Ue, vuole usare fondi privati.Con un decreto entrato in vigore la notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992, il governo di Giuliano Amato impose agli italiani un prelievo forzoso del 6 per mille su tutti i conti correnti. Rimane la patrimoniale per eccellenza. L’11 luglio il Corriere della Sera in edicola titolò: «Patrimoniale su casa e conti correnti». Nell’articolo si legge che dopo otto ore di Consiglio dei ministri il presidente del Consiglio, Giuliano Amato, ha definito la manovra da 30 mila miliardi con tagli di spesa e tasse «un’operazione necessaria per un Paese sull’orlo del precipizio». Che fino all’ultimo «c’è stata incertezza sui provvedimenti che il governo ha scritto e riscritto più volte, dopo una lunga notte di difficili mediazioni politiche». Fu una decisione senza precedenti che rappresentò uno dei momenti finanziariamente più difficili degli ultimi decenni. Perché stiamo riavvolgendo il nastro della storia? Perché ieri mattina, poco più di 32 anni dopo quella notte, lo stesso Corriere della Sera ha pubblicato un’intervista di Francesco Verderami all’allora ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio. Che racconta «quella notte in cui Amato fece passare il prelievo sui conti usando uno scioglilingua». Monorchio usa toni drammatici: «L’Italia non aveva più soldi». Da settimane «la lira era sotto attacco speculativo. I mercati ci avevano abbandonato» e «la Bundesbank annunciò che non ci avrebbe più sostenuto. Carlo Azeglio Ciampi, che allora era governatore di Bankitalia, provò per mesi a difendere la permanenza della lira nel Sistema monetario europeo, prima di essere costretto a mollare». Nel frattempo, «il governo di Giuliano Amato si adoperò con una manovra da 92 mila miliardi di lire e con un decreto da 30 mila miliardi. Fu allora che si misero le mani nei risparmi dei cittadini, con un prelievo forzoso dai loro conti correnti». Il famoso prelievo del sei per mille. «Era il cappio messo al collo di un condannato prima dell’impiccagione. Un passaggio drammatico che provocò persino un conflitto tra istituzioni. La decisione fu assunta in un incontro tra il presidente del Consiglio e il ministro delle Finanze Giovanni Goria. Era notte fonda ed eravamo riuniti a Palazzo Chigi, alle prese con i numeri della manovra. Mancavano tra i sei e gli ottomila miliardi. A un certo punto Goria disse ad Amato: “Andiamo di là”. Tornarono dopo venti minuti e il premier disse ai ministri: “Potete andare a dormire. Non lei Monorchio”». Amato le rivelò il progetto?, chiede Verderami. E qui Monorchio fa la rivelazione più sconvolgente. «No. La decisione del prelievo forzoso fu tenuta segreta per evidenti motivi: se fosse trapelato qualcosa il sistema sarebbe collassato. Nessuno fu informato: non i ministri, non il capo dello Stato e nemmeno il governatore di Bankitalia». E come fu approvata la norma in Consiglio dei ministri? «Amato semplicemente la saltò. Quando verranno desecretati i verbali della riunione, si vedrà che tra i provvedimenti citati quello del prelievo forzoso non è agli atti. Per non menzionarlo, il premier si trincerò dietro una sorta di scioglilingua e passò avanti. La decisione rimase segreta fino alla sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale ». E quando la misura fu ufficializzata? «Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che era solito chiamarmi ogni giorno, quella volta non chiamò». L’unico ad andare su tutte le furie fu Ciampi che chiamò Amato ed ebbe con lui «uno scontro verbale violento». Perché «tra i compiti del governatore di Bankitalia c’è anche quello di tutelare il risparmio. E quale tutela aveva potuto garantire Ciampi, visto che nottetempo i risparmi dei cittadini erano stati colpiti dallo Stato?». Lei era d’accordo con la misura? «No», risponde Monorchio. E alla domanda se la ritenesse evitabile, resta in silenzio. «Ma l’Italia alla fine si salvò». Mentre attendiamo che Amato (magari con un’intervista a Repubblica tra un allarme sulla democrazia a rischio e una rivelazione su Ustica) ci sveli l’arcano sullo scioglilingua, è evidente che Monorchio fa una rivelazione fondamentale per la storia. Peccato che diventi pubblica trentadue anni dopo quando i fatti sono ormai caduti in prescrizione. E anche Ciampi si è portato nella tomba il segreto di quelle ore drammatiche. Ma perché Monorchio racconta tutto oggi? C’è qualche connessione con il piano sulla competitività presentato da Mario Draghi (proprio ieri anche a un evento organizzato dall’istituto Bruegel a Bruxelles)? Il rischio che torni di moda un prelievo forzoso oggi non c’è ma non viene escluso l’utilizzo per legge di capitali privati per obiettivi pubblici. Anche il presidente Sergio Mattarella da Cernobbio aveva lanciato un avvertimento sul risparmio privato. È proprio attorno a questo concetto che si innesca il progetto che toccherà i prossimi quattro anni dell’Unione europea: il mercato comune dei capitali. E i messaggi usciti dai tour di Enrico Letta («sfruttiamo i risparmi per aiutare chi paga la transizione») e di Draghi indicano la stessa direzione. Per rilanciare la produttività e le tecnologie emergenti, secondo l’ex presidente della Bce, serviranno circa 800 miliardi all’anno. Ma di questi almeno 640 saranno da raccogliere tra i capitali privati. Cioè dai soldi dei cittadini e dai fondi pensione. Per questo tra le ricette c’è l’unione del mercato dei capitali, una Consob europea, l’eliminazione delle barriere tra Stati. Suona molto bene. Se non fosse che a un certo punto i soldi dei privati finirebbero a finanziare progetti decisi dai vertici di Bruxelles.A proposito di Draghi. Monorchio nell’intervista ricorda anche un episodio del 1991 e racconta dell’attacco di Mario Sarcinelli (ai tempi direttore generale al Tesoro) a Guido Carli ministro del Tesoro nell’ultimo governo Andreotti, con invito a dimettersi per lo scarso coraggio dimostrato. Alla fine si dimise Sarcinelli (il 1 marzo del ’91). E a stretto giro Carli nominò direttore generale del Tesoro Mario Draghi. Su questo passaggio della storia ci preme ricordare un articolo pubblicato in esclusiva da Panorama nel febbraio del 2021. Si tratta della lettera datata 10 gennaio 1991 inviata da Carli a Andreotti seguito delle dimissioni presentate da Sarcinelli. «Evidenti ragioni di opportunità», scrive Carli, richiedono che alla nomina del successore «si proceda con la massima tempestività» in modo da assicurare che l’immissione in carica del nuovo direttore «avvenga senza soluzione di continuità». Per questo motivo, Carli propone per l’incarico Draghi allegando il curriculum. E sottolineandone anche la «ragguardevole esperienza internazionale acquisita nello svolgimento di incarichi operativi presso la Banca Mondiale e la Banca Interamericana di sviluppo in rappresentanza del nostro Paese». Draghi decise di bloccare il programma di emissioni di titoli pubblici in valuta estera fino alla fine del 1992, ovvero fino a dopo la svalutazione. E Guido Carli lo appoggiò anche in quel caso.
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
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