2018-10-08
«Mio papà Gianfranco era difficile. Ma la vera dura era mia madre»
Leonida Miglio, figlio del mitico ideologo del Carroccio, docente di Fisica e vignaiolo sul Lario, ricorda i consigli del padre, «che temeva non riuscissi a volare». E la forza della mamma, «che mi volle professore».Il temporale è violento, di quelli che rendono ancora più leonardesco l'Altolago. Ma non grandina, per fortuna. Domaso è sotto, i windsurf dei turisti olandesi dormono sull'erba fradicia, dall'altra parte del Lario (e del battirone d'acqua) la foce dell'Adda e l'abbazia di Piona rappresentano il sacro: la natura e l'uomo. «Salga per qualche tornante, quando vede una grande casa di pietra che somiglia a una chiesa è arrivato». Sul tetto c'è un campanile che serve a richiamare gli uomini dai campi nel periodo della vendemmia, basta tirare un maniglione nella grande cucina e il brasato non si raffredda. «Questa non è una casa di vacanza, è la mia casa, il mio Heimat». La parola tedesca è quasi intraducibile, da focolare a piccola patria. Potrebbe averlo detto suo padre Gianfranco, professore, gran politologo, senatore, ideologo del federalismo, dentro e fuori della Lega Nord, morto nel 2001. Invece a parlare è Leo Miglio, 61 anni, che quel padre volle chiamare Leonida come l'eroe delle Termopili. È docente di Fisica dello stato solido ed esperto di nanotecnologie all'università di Milano Bicocca, presidente del think-tank Polis Lombardia (Istituto per il supporto alle politiche della Regione). Un cervellone con un nome da guerriero, un signore che ha vissuto tre volte: la prima come figlio di un padre che faceva ombra a una cattedrale, la seconda volando sulle vette della carriera scientifica, la terza a occuparsi di strategie del conoscere per deliberare (concetto di einaudiana memoria) «perché a un certo livello non esiste soluzione di continuità fra tecnica e scienze umane».Professor Miglio, come si fa a decollare con una simile eredità paterna sulle ali?«Camminando sulla propria strada con passo veloce, come mi consigliava lui. Non sono entrato nella paranoia della competizione perché ho fatto come quando vado a camminare in montagna: finché non sei in vetta guardi i piedi e il sentiero. Fatica e passione, senza preoccuparti di ciò che gli altri pensano di te. E la famiglia mi ha aiutato nel modo giusto».E quale sarebbe, questo modo giusto?«Mio padre mi aveva prefigurato la vita come un challenge, una sfida, proprio perché aveva paura che non riuscissi a volare. Nel periodo in cui tutti cercavano di saltare il servizio militare, io mi sono fatto 15 mesi di ufficiale in artiglieria. Nessuno sconto, ma anche madre Miriam non scherzava».In che senso?«Donna di grande personalità. Guardi questa rastrelliera, le doppiette dei nonni le usava anche lei per andare a caccia. Guardi questa fotografia, c'è lei in posa con un fucile calibro 22, non un giocattolo. Si allenava al tiro a segno. Da mio padre ho imparato ad andare in profondità come una carota nel capire gli argomenti più complessi e a pensare per progetti; lui progettava tutto, dalla ristrutturazione di una casa alle riforme universitarie». E da una mamma così dinamica?«Da lei la capacità di sviluppare e mantenere le relazioni sociali. Mi pareva d'essere Frankenstein Junior. Ma a 25 anni ero ricercatore, a 42 professore ordinario all'università. Sono stato fortunatissimo, ma molto è dovuto a questa sinergia».Tirare dritto con passione è il consiglio che darebbe ai suoi studenti?«Sempre, anche se noi sapevamo che sarebbe comunque servito mentre molti giovani d'oggi temono che impegnarsi per il futuro sia quasi inutile. Quando mi scrive una email un mio allievo da lontano, anche alle 3 di notte, rispondo sempre allo stesso modo: se non hai una mamma apprensiva e una fidanzata gelosa fai 'sto dottorato all'estero e non pensarci più. Dicono che la faccio semplice».Sergio Marchionne aveva tre lauree ed era orgoglioso di quella in filosofia. Lei?«Come tentavo di spiegarle, quella in filosofia (e non solo) l'ho presa in casa».Nanotecnologie, fisica dei materiali. Per lei la società digitale non ha segreti.«Tema affascinante, pensi a quanta scienza e quanta tecnologia sono racchiusi in un oggetto di uso comune, come uno smartphone. L'assemblaggio delle idee dà come risultato il progresso, ma la digitalizzazione ha reso tutto più veloce. E non ha idea di quante energie psichiche ci faccia bruciare: nel tempo in cui mio nonno faceva tre cose, noi ne facciamo 30».Siamo sottoposti alla dittatura dell'algoritmo?«Lo strumento non è mai né buono, né cattivo. Vedo un pericolo, l'impoverirsi del rapporto umano, l'interrompersi di quei segnali criptati del parlare e dei gesti che fanno la differenza, un sorriso o il tono di voce. Un foglio excel non ha un'anima».Ci sono ragazzi che si mandano messaggi da una stanza all'altra.«Una persona deve sempre chiedersi se ha pieno controllo della tecnologia che usa. Se è lei che usa te o tu che usi lei».Ci parli della sua avventura come presidente di Polis Lombardia:, esattamente cos'è?«È l'ufficio studi della Regione che crea la conoscenza per le scelte della politica e ne accompagna la realizzazione attraverso la formazione del personale della Regione, valutandone infine l'impatto sui cittadini. La fortuna di una riforma parte da lì».Faccia un esempio pratico.«La riforma regionale più innovativa è quella sanitaria: passare dalla cura al prendersi cura. Mette in gioco la prevenzione in tutti i suoi aspetti. Come riuscire a far collaborare medici ospedalieri e strutture sociosanitarie territoriali è una grande sfida. Invece di contrastare queste riforme-pilota, lo Stato (come ha fatto in questo caso) dovrebbe concedere piena autonomia anche per valutarne i risultati: se la riforma è buona può diventare legge per tutti».Si innesca un problema da niente: la pubblica amministrazione asfissiante.«Nel pubblico realizzare una struttura autorevole, efficiente e non autoreferenziale, è difficile. Con tutti i vincoli della pubblica amministrazione rischi di correre con un braccio legato a una gamba. Ma la vera sfida è proprio questa: adeguare la procedura all'obiettivo, non il contrario». Facile dirlo, ma c'è qualcosa di titanico nel realizzarlo.«Il mio sogno è portare dentro la pubblica amministrazione dei manager di processo e di progetto, con piena competenza tecnica e amministrativa. A certi livelli, non esiste soluzione di continuità tra chimica dell'ambiente e diritto amministrativo, ad esempio. Spero di riuscire a realizzare un'accademia di formazione in Polis Lombardia, anche a vantaggio di fondazioni, università, camere di commercio e associazioni professionali».Dentro Polis non si sente odore di politica?«Noi collaboriamo con le strutture universitarie e i centri di ricerca, serviamo la politica creando conoscenza. Siamo un nodo strategico, post-accademico e pre-politico. Le pressioni politiche ci sono, giustamente, ma noi abbiamo il dovere di rimanere neutrali, a vantaggio di tutti. Anche quando pare che diciamo cose sgradite».Come riesce a coniugare l'attività di ricercatore fisico a quella di manager di una start-up innovativa e a quella in una istituzione che si occupa di politiche pubbliche? «Ho ereditato un certo eclettismo culturale dalla famiglia, ma non ho una ricetta precisa: si fa e basta. Con moltissima determinazione e una certa inclinazione al pensare per progetti».Perché ha deciso ad un certo punto della vita di dare un colpo di timone e cambiarne gran parte? «Perché, con il tempo di vita che si riduce, ci si vuole concentrare sulle cose significative, o belle, che si possono fare, riducendo al minimo il carico della gestione quotidiana. Questo accade nel mio Heimat di Domaso: quattro giorni pieni di impegni e di vita nella metropoli (Milano è bellissima, ne sono innamorato) e tre giorni di pace qui, come se fossi sull'Everest. Questa casa me la voleva comprare l'amministratore cinese della Lenovo, nuovo proprietario dell'Ibm, ma non gliel'avrei venduta neanche per 10 milioni».Le pietre, le vigne, la foce dell'Adda laggiù. Tutto questo rappresenta la sua infanzia?«No, la casa è del 1978, quando avevo già vent'anni, costruita proprio in mezzo al vigneto di famiglia, dove ho realizzato una azienda vinicola che ora conducono indipendentemente due simpaticissimi ragazzi, a cui presto solo consigli della esperienza. Quindicimila bottiglie. Solo qui c'è la dimensione del tempo sospeso».Ce la spieghi.«È la dimensione dello studio e del progetto di vita. Pace, lago e montagne. Laggiù si vede Bellagio e la distesa del lago, lassù la Valtellina, di fianco la Valchiavenna. Siamo circondati da montagne. Montagne di libertà, come diceva mio padre. Con due significati».Quali?«Il primo è un inno agli uomini di montagna, più liberi degli altri perché capaci di autosostenersi con l'essenziale. Il secondo perché la libertà è un valore di cui, proprio oggi, non sembra essercene abbastanza, schiacciati come siamo da mille procedure, a volte ironicamente indirizzate a garantircela».Da qui si vedono anche i nuovi progetti. «Sì, alcuni riguardano il rinnovamento di Polis Lombardia, altri il sostegno alla innovazione tecnologica, altri ancora a venire in università. I ragazzi sfidano il futuro, dobbiamo farlo anche noi. Accompagnati da visione strategica e da una frase di Albert Einstein: “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa"».Ai suoi studenti servirà anche una raffica di 30 e lode.«Non necessariamente, qualche 27 ci sta bene. Con tutti 30 sembri un collezionista di francobolli».
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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