2025-03-26
Mina, 85 anni di immortalità. Un magnifico ordigno canoro reso divino dall’invisibilità
Mina a «Canzonissima» nel 1968 (Getty Images)
La sua musica è stata colonna sonora per le più intime tenerezze di molte generazioni. È stata la voce grintosa dell’Italia del boom. Il ritiro dalle scene l’ha fatta divenire mito.L'articolo contiene una gallery fotografica.Mina ha compiuto ieri 85 anni. So che non sta bene spifferare l’età delle signore, ma Mina è una divinità, e gli anni sono solo un paravento della sua immortalità. Come capitò a molti regnanti, inclusi i nostri Savoia, Mina è una regina in esilio, seppure volontario, ma non manca di mandare ancora messaggi canori alla nazione e al mondo intero. Solo pochi mesi fa ha donato un ennesimo suo album ai suoi devoti, Gassa d’amante. Per chi non lo sapesse, la gassa d’amante serve in barca per realizzare un’asola provvisoria con una cima, che per i non marinari è una corda, in modo da evitare che alcuni oggetti a bordo cadano in acqua. Riferimento adatto a una sirena incantatrice come lei. Tra i suoi brani c’è il bellissimo Buttalo via, con Francesco Gabbani; ma di Mina non si butta mai niente, anche se il paragone col suino è irriverente, quasi blasfemo. Poco tempo prima, con un altro ragazzo che poteva essere figlio di suo figlio, Blanco, ci aveva donato un altro brano squisito, Briciolo d’allegria. Che fenomeno Mina, neanche Adriano Celentano, con cui faceva coppia sui troni canori del nostro Paese, le sta più al passo.Come dice il suo nome, Mina è un magnifico ordigno canoro: non a caso scoppiò come la guerra mondiale in Italia nella primavera del 1940. Aveva un cognome risorgimentale e insurrezionale, Mazzini, e come gli anarchici e i rivoluzionari di un tempo si è rifugiata in Svizzera, nella Lugano bella che cantavano i fuorusciti. Da almeno 65 anni canta, prima sul podio ora da latitante, in contumacia. Si perde nella notte dei tempi l’anno in cui ci rese ciechi di lei, ritirandosi dal video, ma per fortuna ci lasciò la cosa più importante, la delizia musicale per il nostro udito. Sparì più o meno quando non si fece più vedere anche Lucio Battisti, che visse vent’anni da entità invisibile e poi morì precocemente, in scontrosa cattività. Insieme furono i Santi patroni della canzone italiana, assurti in cielo e dal cielo discesi in forma di canto. Mina ha vissuto ormai più anni nella clandestinità che in video. La visibilità rende famosi, l’invisibilità rende divini.Quando andava in video, Mina era banalmente la voce grintosa e urlante dell’Italia nuova, figlia del boom economico; l’Italia che figliava e cresceva in ogni senso, scopriva il mare e le vacanze, andava in vespa e in Cinquecento, vedeva la tv e si perdeva nella radio. La vedevi in tv ora con Walter Chiari, ora con Lelio Luttazzi, ora con Paolo Panelli, Alberto Lupo, i presentatori e i comici di una volta, i duetti canori; memorabili i suoi dialoghi con Alberto Sordi e col mitico Totò. Roba da Studio uno. Poi proseguì gli studi da privatista, a casa sua. Quando la tv passò al colore, lei passò alla trasparenza, si rese invisibile. Ma accompagnò ugualmente, nella sua evanescenza, generazioni diverse nei viaggi d’amore, nei canti e, soprattutto, nei disincanti, perché le sue canzoni narravano di amori finiti, svaniti, quantomeno tormentati.Devoto frequentatore del suo minareto musicale, solo una volta, tanti anni fa, insinuai una malignità sul suo conto di cui mi pento ancora. In quel tempo, erano gli ultimi anni del millennio scorso, Mina scriveva una rubrica adorabile di varia umanità e io dubitai che fosse farina del suo sacco e lo scrissi su un settimanale che dirigevo. Lei mi mandò una deliziosa lettera in cui riuscì quasi a convincermi che era una scrittrice traviata dalla musica; forse perfino una filosofa, che aveva ripiegato sulla canzone. A quali gloriosi risarcimenti porta talvolta la vita... «Caro Marcello Bello», mi scrisse allora Mina chiamandomi con lo pseudonimo che usavo nella rubrica satirica, «la mia mamma adorata sostiene, fin da quando io ero piccola, che scrivo bene. Ora tu mi confermi che ha ragione. Sì, perché il fatto che tu pensi che i miei pezzi li scriva il direttore è per me un complimento talmente grande che mai mi sarei sognata di meritare. Tu dici che sono una grande cantante perché ho l’ugola d’oro. Invece è perché ho un cervello fenomenale… E anch’io te lo dico con ammirazione e non con perfidia ma, soprattutto, te lo dico perché il tuo pezzo (molto carino, se avessi un giornale ti vorrei con me) mi ha messo una grande voglia di scherzare». E così continuava, tra carezze e coltellate... Sto ancora aspettando che Mina fondi un settimanale e mi chiami a scrivere con lei, in modo che possa anch’io vantarmi come altri noti parolieri di aver scritto per Mina.La vidi una sola volta, da bambino, dal vivo, cantava in un veglione, come si chiamavano allora i concerti con ballo, in un teatro al mio paese. Ma interruppe la sua esibizione perché fu insultata da alcuni cafoncelli che le rivolsero allusioni pesanti alla sua vita privata, riferendosi a vicende che, agli occhi di oggi, sarebbero del tutto comuni. Lei s’offese, giustamente, e piantò il palcoscenico. Patii da allora il cantus interruptus di Mina, una patologia che mi lasciò un desiderio insaziabile di lei.In un libro dal titolo che sembrava dedicato proprio a lei, La sposa invisibile, cantai il suo passaggio dalla visibilità all’invisibilità come un passaggio al mito, allieva di Pitagora e navigante nelle sfere celesti. La consideravo iconoclasta di sé stessa. L’idea di scomparire mi sembrò pure un’alternativa migliore al lifting, alle pietose cure dimagranti, alla chirurgia plastica, insomma alla vecchiaia dissimulata per difendersi dall’oltraggio degli anni e dall’insolenza dei chili in eccesso, semplicemente sparendo alla vista. Anche perché una voce così intensa che incita all’amore non poteva provenire da una grassa e matura signora, già logorata dalla vistosità in tv, quando appariva con la testa turrita e la risata sfacciata. Mina, fece la sua scelta, tra carisma e marketing, e si dileguò.Il minareto da cui Mina muezzin lancia le sue canzoni è, naturalmente, la sala d’incisione; talvolta ha lanciato pure messaggi pubblicitari ma, si sa, anche gli angeli mangiano fagioli, come diceva un sapiente della nostra antichità, Bud Spencer. Scorporando la sua voce, disincarnando il canto, diventò la colonna sonora delle più intime tenerezze di molte generazioni, dove l’amare sconfina in amarezza. Cantami o’ diva. Così viviamo ancora nella civiltà minoica da lei de-cantata, anche in sua assenza, come accade alle stelle di cui arriva la luce in terra anche se, nel frattempo, si sono eclissate. Mina è patrimonio dell’umanità di svariate generazioni che oggi hanno dai 30 ai 100 anni e non dispiace a volte nemmeno ai ragazzini. Non a tutti, però: per anni, quando mia figlia era bambina, cambiava col suo ditino le canzoni sulla mia autoradio appena sentiva la voce di Mina, per lei insopportabile, soprattutto perché piaceva a me, cioè a uno di trent’anni più vecchio di lei. Ma io ancora adesso quando sento la sua voce mi sento a casa, in paradiso. Ottantacinque primavere, mai un autunno. Un miracolo.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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