2023-08-20
Dopo averli «coccolati», Milano vuole mandare Amara & C. sotto processo
Piero Amara (Imagoeconomica)
Il procuratore Marcello Viola ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per il faccendiere e Giuseppe Calafiore: avrebbero calunniato 65 persone. A settembre l’udienza preliminare.Siamo arrivati al redde rationem. Dopo cinque anni di «favole di Pinocchio» raccontate in giro per le Procure di mezza Italia il faccendiere Piero Amara potrebbe dover rispondere delle sue accuse scombussolate, spesso modificate tra un interrogatorio e l’altro. Con una richiesta firmata dallo stesso procuratore di Milano Marcello Viola il 21 luglio 2023 la Procura ha richiesto il rinvio a giudizio degli avvocati siracusani Amara e Giuseppe Calafiore per il reato di calunnia che sarebbe stato commesso ai danni di 65 tra politici, avvocati, magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine accusati di aver fatto parte di una loggia massonica coperta, l’ormai celebre Ungheria, che avrebbe avuto la finalità di condizionare l’operato di organi di rilievo costituzionale come il Csm, soprattutto in vista delle nomine dei vertici. Il Gup designato, Guido Salvini, ha già fissato, per il prossimo 21 settembre, la data d’inizio dell’udienza preliminare concedendo a imputati e persone offese, considerando la pausa estiva, poco più dei venti giorni previsti dalla legge per presentare memorie e preparare la difesa, segno dell’importanza riconosciuta al procedimento. Fascicolo che si basa, quanto a fonti di prova, sugli atti di indagine compiuti dalla Procura di Perugia nel filone sulla loggia e sulla richiesta di archiviazione dei pm umbri del luglio del 2022. Un’istanza di 167 pagine molto articolata e fondata su accurate investigazioni che i colleghi di Milano hanno ritenuto sufficienti a supportare la richiesta di rinvio a giudizio per calunnia, salvo pochi ulteriori approfondimenti.La decisione della Procura meneghina di accelerare i tempi, ma forse anche quella del Gup, potrebbe essere collegata all’esigenza di non perdere ulteriore tempo per sancire definitivamente l’attività oltre che di corruttore di giudici anche di inquinatore di pozzi giudiziari di Amara. Ma l’architrave dell’accusa, la richiesta di archiviazione per Ungheria firmata dal procuratore perugino Raffaele Cantone ha avuto sin qua un percorso accidentato. Oltre un anno fa è stata oggetto della clamorosa fuga di notizie imputata al cancelliere perugino Raffaele Guadagno, che avrebbe consegnato copia dell’istanza al giornalista del Fatto Antonio Massari, ma soprattutto, a distanza di tredici mesi non è ancora stata accolta dal Gup Angela Avila. Ricordiamo che un definitivo riconoscimento di Amara come calunniatore seriale metterebbe in seria discussione il lavoro di Procure e magistrati importanti che per anni hanno coccolato l’avvocato siciliano come testimone affidabile, a partire proprio dagli inquirenti di Milano, in particolar modo quelli che per quasi un decennio hanno dato la caccia ai vertici dell’Eni facendo affidamento sulle dichiarazioni dei due finti pentiti (Amara e il sodale Vincenzo Armanna), che a loro volta utilizzavano giornali e trasmissioni tv per propalare le loro fantasiose ricostruzioni. A partire da quella sul fantomatico patto della Rinascente. Proprio in Lombardia, quando il pm Paolo Storari dimostrò di dubitare delle sue accuse, Amara tirò fuori dal cilindro la loggia Ungheria. Un racconto che occupò ben sei verbali e mandò in tilt la Procura meneghina che, per colpa del faccendiere, implose, costringendo il Csm a intervenire e interrompere una lunga tradizione di procuratori progressisti. Ma andarono in crisi anche lo stesso parlamentino dei giudici (l’allora consigliere Piercamillo Davigo è stato condannato per la diffusione di quelle carte e altri due suoi colleghi sono finiti indagati) e alcuni giornali che per mesi tennero le accuse di Amara nel cassetto (il solito Massari). Ma le voci sulle accuse di Amara a ministri, magistrati e generali iniziarono a circolare con un passaparola velenoso che arrivò sino al Quirinale.In passato anche la Procura di Roma ha ritenuto di affidarsi ad Amara, al punto da evitare un nuovo arresto per l’«impumone» (imputato-testimone) anche in considerazione delle dichiarazioni che avrebbe dovuto rendere in Tribunale. Adesso sembra arrivato il momento per far scontare ad Amara questo folle tentativo di destabilizzazione delle istituzioni lungo un lustro. Una manovra abilmente costruita mescolando pezzi di verità, chiacchiere appena orecchiate e palesi menzogne.Ma questa operazione di disvelamento potrebbe avere di fronte un insormontabile ostacolo, la mancata archiviazione di Perugia, la pietra angolare della ricostruzione dell’ufficio giudiziario lombardo. Infatti la Avila, almeno sulla carta, potrebbe non accogliere la richiesta della Procura e ordinare nuove indagini o persino l’imputazione coatta per Amara e Calafiore che si sono autoaccusati di aver violato la legge Anselmi sulle associazioni segrete. A Milano, se il Tribunale di Perugia non sancirà definitivamente che la storia dell’Ungheria era frutto della fantasia di Amara e Calafiore, gli imputati potranno facilmente difendersi contestando la solidità delle contestazioni basate su un procedimento, quello di Perugia, non ancora concluso. Le altre fonti di prova provengono dalle dichiarazioni rese ai pm di Milano dal procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita, dal consigliere della Cassazione Alessandro Centonze, dal pentito di mafia Biagio Grasso e dall’informativa della polizia giudiziaria sull’assenza di contatti telefonici tra Amara e l’ex consigliere del Csm e sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, tra il gennaio 2015 e il febbraio 2018. Una ricerca effettuata nell’ambito di un altro procedimento per calunnia nei confronti del giudice Marco Mancinetti. A proposito degli asseriti, da parte di Amara, rapporti con Ferri, vale la pena di sottolineare la gimkana di dichiarazioni del faccendiere sul punto. Per esempio nell’interrogatorio romano del 5 maggio 2018 aveva sostenuto di non avere «nessun rapporto» con l’ex deputato, e, a Perugia, nel giugno del 2019, aveva spiegato che quando Calafiore, in un’intercettazione ambientale, diceva di aver parlato con Ferri, stava millantando.Ma nel dicembre del 2019, a Milano, Amara fa un’inversione a «u» e afferma di aver consegnato a Ferri una busta con degli appunti su un delicato procedimento siracusano, aggiungendo che anche Calafiore era in rapporti diretti con Ferri e che il loro legame con lui «era diretto ed estremamente confidenziale». Sarà forse l’udienza preliminare la sede per chiarire queste evidenti discrepanze.Il fascicolo contiene i risultati delle indagini fatte per riscontrare quanto dichiarato da Amara sul conto dell’ex consigliere del Csm Ardita e la denuncia fatta dall’ex pm di Siracusa Maurizio Musco, destituito dalla magistratura, contro l’ex ministro della Giustizia Paola Severino e l’ex presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, accuse che oggettivamente corroboravano le denunce di Amara.La querela di Musco è stata approfondita dalla Procura di Perugia che ha richiesto l’archiviazione al Tribunale dei ministri del capoluogo umbro, che l’ha disposta con ordinanza del 21 dicembre 2021 ritenendo più credibile la controdenuncia presentata dall’ex ministro Severino tanto che Musco risulta a sua volta indagato per calunnia. Quanto ad Ardita, questi, lo scorso febbraio, ha confidato ai pm milanesi l’incredulità per le accuse ricevute: «Trovo per alcuni aspetti spropositato l’attacco da me personalmente subito da parte di Amara, pur a fronte del fatto che in tre anni, in diverse funzioni, mi ero occupato di lui». Quindi la toga ha voluto informare la Procura di un episodio riguardante l’avvocato di Amara, Salvino Mondello: «Comunico semplicemente con stupore che Amara sia sempre stato assistito dall’avvocato Mondello, che è il medesimo difensore che assisteva all’inizio della sua collaborazione l’imprenditore Biagio Grasso, il quale decise di “collaborare”, venendo a cercare proprio me. Grasso è certo a conoscenza di un sistema di potere massonico e mafioso rilevante». Grasso ha confermato ai magistrati di aver scelto di cambiare legale per «seguire un percorso di collaborazione», visto che Mondello difendeva soggetti contro cui lui avrebbe dovuto rendere dichiarazioni.La polizia giudiziaria ha documentato la partecipazione di Ardita, ammessa dallo stesso interessato, all’Opco, Osservatorio sulla criminalità organizzata finanziato dalla Regione Sicilia, descritta da Amara come embrione di Ungheria. Il magistrato, creduto dai colleghi, ha tuttavia respinto ogni accusa riguardo alla partecipazione alla loggia. Non hanno trovato riscontri (anche perché la struttura alberghiera non ha conservato alcuna documentazione) gli accertamenti fatti su un soggiorno estivo di una settimana in un villaggio turistico risalente al 2008, che Amara ha dichiarato di aver pagato per Ardita e la sua famiglia.Una vicenda che conferma il modus operandi del faccendiere, che, nelle sue esternazioni fiume, raccontava ai magistrati fatti verosimili, risalenti nel tempo e difficilmente riscontrabili.Tra gli altri, hanno presentato denuncia contro Amara Ferri, il procuratore di Bologna Giuseppe Amato, l’ex primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio, l’ex procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo, l’ex procuratore di Perugia Luigi De Ficchy, il consigliere di Stato Rosanna De Nictolis, l’ex ministro della Giustizia Nitto Palma e la moglie consigliere di Stato Elena Stanizzi, il procuratore aggiunto Antonello Racanelli, il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo, l’avvocato Fabrizio Siggia, gli ex comandanti della Guardia di Finanza Giorgio Toschi e Giuseppe Zafarana e l’ex vice presidente del Csm Michele Vietti. La calunnia, però, è un reato procedibile di ufficio e la Procura ritiene che Amara l’abbia commesso anche ai danni di coloro che sono stati «affiliati» a propria insaputa alla loggia Ungheria e che non hanno presentato denuncia. Tutte queste persone potranno costituirsi parte civile il 21 settembre prossimo.
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