2025-04-25
Milano nel caos: africano violenta due donne
Un ventinovenne gambiano ha attirato le escort in un appuntamento, poi sotto la minaccia di un taser e di una pistola le ha rapinate e stuprate. Pochi giorni prima un suo connazionale durante un furto in casa aveva assassinato il domestico.Indagato il sindaco di Molfetta. Oltre a lui, coinvolte altre sette persone per l’appalto del nuovo mercato comunale.Lo speciale contiene due articoli.Due gambiani coetanei. Due storie di immigrazione incontrollata. E un’unica città, Milano, che ogni giorno convive con il caos e la violenza. Con una costante che fa da collante: la mancata integrazione. Il primo uomo si muoveva nel buio delle case chiuse, a caccia di escort da stuprare. Il secondo ha mangiato e dormito nell’appartamento in cui, secondo gli inquirenti, avrebbe ucciso un filippino. I due arresti sono stati disposti a pochi giorni di distanza e gli atti investigativi li presentano come due facce della stessa medaglia. Il finto cliente, 29 anni, un nullafacente che viveva di espedienti, ma con un permesso di soggiorno umanitario in tasca e, pertanto, regolare sul territorio italiano, è accusato di aver rapinato e stuprato due escort straniere lo scorso marzo. Due donne sudamericane che, separatamente, lo avevano accolto nei loro appartamenti convinte di trovarsi davanti a un cliente. Pistola e taser alla mano, il predatore giunto dal Gambia si sarebbe prima fatto dare l’incasso della giornata (in un caso 350 euro e nell’altro 150), poi avrebbe preteso delle prestazioni sessuali con costrizione e minaccia. Una delle due sudamericane ha trovato il coraggio per denunciare. La seconda no. Non subito almeno. Era irregolare e aveva paura che l’intervento delle autorità le si ritorcesse contro. Quando, però, ha compreso che la legge in questi casi prevede dei percorsi di emersione, si è aperta con gli investigatori. I video delle telecamere dei circuiti di sorveglianza recuperati dagli agenti della Quarta sezione della Squadra mobile, specializzati nei reati contro le vittime vulnerabili, hanno fatto il resto. Le indagini avrebbero quindi accertato che il gambiano in entrambi i casi si era presentato come un cliente, che avrebbe agito a notte inoltrata, che sarebbe stato armato di pistola e di taser e che avrebbe rapinato e violentato le due escort. Le medesime modalità, ricostruite dal gip del Tribunale di Milano in un’ordinanza di custodia cautelare con la quale ha disposto il trasferimento in carcere dell’indagato. Dawda Bandeh, 28 anni, di professione collaboratore domestico, sbarcato in Italia 14 anni fa (aveva 15 anni), regolare pure lui per aver ottenuto prima un permesso di soggiorno per motivi umanitari e, dallo scorso anno, un altro per motivi di lavoro, è invece accusato dell’omicidio di un suo collega, Angelito Acob Manansala, 61 anni, filippino, assassinato il giorno di Pasqua in una villa Liberty di via Randaccio. Uomo discreto, preciso, Manansala. Viveva con i proprietari, che erano fuori per una breve vacanza.Al rientro, il padrone di casa, un manager israeliano di 52 anni, trova la porta aperta e il corpo del domestico. Ma anche un giovane che dorme. Indifferente. È Bandeh. All’arrivo degli agenti non si consegna. Ma oppone resistenza. C’è voluto il taser per bloccarlo. Un colpo secco di elettricità per piegare la sua rabbia. Ha confermato di aver mangiato e dormito in quella casa. E ha detto di non ricordare altro. Si dice certo, però, di non essere stato lui. Il suo difensore, l’avvocato Federica Scapaticci, annuncia che sarà necessaria una perizia psichiatrica. Forse Bandeh non era lucido. Forse non era capace di intendere e volere. Forse. Intanto il giudice per le indagini preliminari, Domenico Santoro, ha convalidato il fermo e disposto la detenzione in carcere. Dai primi rilievi il filippino sarebbe stato strangolato. Secondo la ricostruzione degli investigatori, Bandeh sarebbe entrato per rubare. Probabilmente aveva osservato i movimenti di Manansala, che si occupava anche della gestione quotidiana dei cani. L’aveva visto uscire. Aveva calcolato il momento. Scavalcato il cancello. E si era introdotto nella villa. Ma Angelito era rientrato prima del previsto. A quel punto sarebbe scattata l’aggressione. Un confronto durato pochi istanti. Le mani al collo. Lo strangolamento. Questa è l’ipotesi. Poi l’assassino sarebbe rimasto nell’abitazione come se nulla fosse accaduto. A mangiare. A dormire. Ma c’è un altro dettaglio inquietante. Solo poche ore prima Bandeh era stato fermato dai carabinieri per un altro tentativo di furto ma era stato subito rilasciato su disposizione dell’autorità giudiziaria. Poco dopo le 8 del giorno di Pasqua si era lasciato alle spalle la caserma Montebello di via Vincenzo Monti e pure l’accusa di aver tentato l’ingresso in un appartamento al sesto piano in via Gioia. Era rimasto chiuso sul balcone, mentre i proprietari di casa chiamavano i carabinieri. Poi hanno deciso di farlo uscire. È stato rintracciato in via Sammartini, non molto distante dalla villetta che si è trasformata nella scena del crimine, dove sarebbe entrato, stando ai video ripresi dalle telecamere, alle 8.40 (sarebbe rimasto nella villa per otto ore, rovistando ovunque). Dalla caserma è partita una denuncia a piede libero per violazione di domicilio. La flagranza c’era. E non è l’unico colpo che avrebbe tentato negli ultimi giorni. Gli investigatori che indagano sul delitto del filippino ovviamente hanno cercato di ricostruire gli ultimi spostamenti di Bandeh. Ed è emerso che solo il giorno prima avrebbe tentato un altro furto, questa volta in zona Porta Romana, dove dalla loggia di un portone si era appropriato di un paio di jeans appesi a uno stendibiancheria e di un ombrello. Nel suo passato, invece, non c’è nulla. Tranne una segnalazione per guida in stato di ebbrezza, che gli era costata il ritiro della patente. A Como, poi, aveva ottenuto il permesso di soggiorno. Ma quando gli investigatori gli hanno chiesto dove lavorava, Bandeh avrebbe risposto di occuparsi di un’anziana a Bulgarograsso, in una abitazione che, però, è risultata essere solo un indirizzo fittizio.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/milano-immigrati-violenza-gambiano-2671840658.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="indagato-il-sindaco-di-molfetta-la-procura-chiede-al-gip-i-domiciliari" data-post-id="2671840658" data-published-at="1745525828" data-use-pagination="False"> Indagato il sindaco di Molfetta. La Procura chiede al gip i domiciliari Ancora un amministratore locale pugliese nei guai con la giustizia. Stavolta è il turno di Tommaso Minervini, sindaco di Molfetta, a capo di una coalizione di liste civiche, che tre anni fa aveva sconfitto sia il centrodestra che il centrosinistra, coalizione quest’ultima, che nel 2017 aveva garantito a Minervini il successo elettorale. Per il primo cittadino di Molfetta, indagato insieme ad altre 7 persone, la Procura di Trani ha chiesto gli arresti domiciliari e il prossimo 2 maggio sarà sottoposto all’interrogatorio preventivo come disposto dal gip Marina Chiddo. L’indagine dei pm di Trani riguarda presunti favori fatti a imprenditori in cambio di sostegno elettorale. Le ipotesi di reato, contestate a vario titolo agli 8 indagati, sono corruzione, turbativa d’asta, peculato e falso, per un totale di 21 capi di imputazione. L’inchiesta che coinvolge Minervini nasce da una altro procedimento, risalente a tre anni fa. All’epoca, gli uomini della Guardia di finanza, che indagavo su possibili irregolarità nell’appalto relativo al nuovo mercato cittadino, avevano messo i sigilli al cantiere all’interno del quale, secondo un comunicato stampa emesso all’epoca dalle fiamme gialle, era emerso che «all’interno dell’area, in particolare nel sottosuolo, giaceva una discarica incontrollata di rifiuti che la ditta vincitrice della gara di appalto ha smaltito, sopportando enormi costi». Un imprevisto che aveva portato a un contenzioso tra il Comune e l’appaltatore e che aveva spinto la Procura a ipotizzare una serie di reati, tra cui frode nelle pubbliche forniture, turbata libertà di scelta del contraente e truffa aggravata in danno dello Stato, nei confronti di 11 persone, tra cui 3 amministratori locali. E proprio dalle verifiche su questa vicenda sarebbero emerse le presunte irregolarità che hanno portato alla richiesta di domiciliari per il sindaco. Insieme a Minervini sono indagati, come detto a vario titolo, il suo l’autista, Tommaso Messina; il luogotenente della Guardia di finanza, Michele Pizzo; l’imprenditore portuale Vito Leonardo Totorizzo; i dirigenti comunali Alessandro Binetti, Lidia De Leonardis e Domenico Satalino; il funzionario Mario Morea. La richiesta di arresto della Procura riguarda solo quattro indagati ed è motivata dal rischio di reiterazione dei reati contestati. La convocazione davanti al gip è stata confermata da Minervini con un post sui social: «Dopo lunghi anni di indagini», scrive il primo cittadino, «mi hanno notificato un avviso di comparizione e dovrò essere interrogato preventivamente in relazione a vicende amministrative con riferimento alle quali la Procura chiede misure cautelari». Minervini si è poi detto «profondamente addolorato e mortificato per quanto accaduto perché» prosegue «a giudicare dalle contestazioni a me elevate, vengono letti in chiave di penale rilevanza fatti e circostanze della gestione politico-amministrativa della città che, invece, ad una lettura semplice e lineare, disvelano condotte svolte sempre nell’interesse della collettività e poste in essere, paradossalmente, proprio per evitare le collusioni e le irregolarità di cui mi si accusa». Il primo cittadino è però convinto «di poter risolvere quanto prima ogni profilo di questa incresciosa e imbarazzante situazione». Il 2 maggio si scoprirà se il gip del Tribunale di Trani è dello stesso avviso.
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