2019-03-05
Migranti, ambientalismo e tasse. Zingaretti è la sinistra peggiore
Da governatore del Lazio il neo segretario dem fissa il record dell'Irpef. La sanità non sta meglio: tagliati posti letto e personale. Ma il «fratello» di Montalbano preferisce le marce pro accoglienza.Se vi viene in mente una cosa banale, scontata, già sentita, già triturata-sminuzzata-digerita, delle due l'una: o avete appena ascoltato Nicola Zingaretti, o siete Nicola Zingaretti. La descrizione del personaggio sta tutta in un post su Facebook di qualche mese fa. Era il giorno (tragicomico) in cui Carlo Calenda aveva invitato a cena Matteo Renzi, Marco Minniti e Paolo Gentiloni (poi, com'è noto, i tre non si «attovagliarono»), escludendo proprio Zingaretti, già candidato forte alla segreteria Pd. E lui? Preannunciò un contro-invito così concepito: «Per un congresso diverso, aperto e partecipato, ho organizzato in trattoria una cena con un imprenditore del Mezzogiorno, un operaio, un amministratore impegnato nella legalità, un membro di un'associazione in prima fila sulla solidarietà, un giovane professionista a capo di un'azienda start-up, una studentessa e un professore di liceo».Se non vi siete già addormentati, quello che lascia sgomenti è proprio la banalità, la scontatezza: la studentessa, l'imprenditore, eccetera. Per non dire dell'operaio: incontrarlo, per un dirigente di sinistra, dovrebbe essere la normalità. E invece per Zingaretti diventa una notizia. Eppure Nicola proseguiva così: «A loro voglio chiedere: che dobbiamo fare secondo voi? Dove abbiamo sbagliato?». Ma come? Un partito è passato dal 40% al 17%, ha un gruppo dirigente che è il più detestato d'Italia, è percepito come difensore di banche-Commissione Ue-Emmanuel Macron-Fabio Fazio-eccetera, e sente pure il bisogno di chiedere dove abbiano sbagliato…Negli ultimi tempi (prima e dopo il voto che lo ha incoronato) Zingaretti non ha fatto nulla per sottrarsi a questo cliché di scontatezza politically correct. In ordine sparso: la dedica alla sedicenne svedese Greta Thunberg, icona dell'ambientalismo più lagnoso (uno strano mix di treccioline e di un marketing danaroso e furbone); la t-shirt sfoggiata domenica al gazebo («regalata dalla figlia», ha fatto sapere) con citazione semi-incomprensibile di Iron Fist, insieme alle chiavi di Snoopy (quelle non vogliamo immaginare chi gliele abbia regalate); e poi il discorsetto sui «partigiani novantenni» e gli immigrati (lo ricordiamo il giorno prima alla marcia anti razzista organizzata dal sindaco di Milano Beppe Sala); fino alla foto - virale in rete, con effetti devastanti - insieme a Monica Cirinnà e alla sua (di lei) magliettina con la scritta «meglio frocio che fascista»: un modo per offendere gratuitamente e far imbestialire chiunque, non solo i contrari ma pure tanti favorevoli alle unioni civili. Insomma, un po' di Walter Veltroni e un po' di Romano Prodi (ma rigorosamente in tono minore), e sullo sfondo i soliti Paola De Micheli, Francesco Boccia, Dario Franceschini, certificazioni viventi - anche a sinistra, non solo nella fisica - del «nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». Per il resto, la fortuna di Nicola è che il suo cognome sia assai più conosciuto di lui. La fama di suo fratello, l'attore Luca, interprete del commissario Montalbano, fa sì che un'aura di simpatia accompagni il cognome di famiglia. Ci sono perfino aspetti surreali in questa storia: pare che un buon terzo delle lettere scritte dai cittadini e recapitate alla Regione Lazio siano indirizzate a Luca (cioè a «Montalbano»), non a Nicola. Ieri, a Torino, la prima uscita in veste pro Tav a fianco del governatore dem Sergio Chiamparino: «L'Italia deve ripartire: abbiamo alle nostre spalle nove mesi di propaganda, di selfie, ma questo Paese è di nuovo in ginocchio. La produzione industriale è crollata, il fatturato delle aziende è fermo come lo sono i cantieri. Lo stop ai bandi Tav è criminale». Parlava dell'Italia, ma sembra la fotografia del suo Lazio. Lui, infatti, un tipico prodotto Fgci-Pci-Pds-Ds-Pd, è da quasi sei anni presidente della Regione, rieletto solo grazie alle divisioni nel centrodestra. A scadenze regolari, proclama una prossima riduzione di tasse: ma il Lazio ha da anni l'aliquota addizionale Irpef più alta d'Italia. Di più: la Corte dei Conti ha scoperto mesi addietro che questa supertassa non era nemmeno più giustificata da un disavanzo sanitario: al contrario, grazie all'iniquo balzello, nella sanità c'era pure un extragettito, ma i soldi in più pare venissero utilizzati per la spesa corrente. Risultato? Tagli a posti letto e personale. E non finisce qui: a causa dei disservizi, la Regione spendeva altri 300 milioni l'anno per far curare i cittadini fuori dal Lazio. E i rifiuti? Una Waterloo: il Lazio smaltisce nel proprio territorio solo il 35% dei suoi rifiuti organici (dati 2017), e il resto va in altre Regioni o all'estero, mentre la giunta Zingaretti è anche una delle ultime nella raccolta differenziata. E i trasporti? Un'Apocalisse: a suon di incidenti, la Pontina è tragicamente nota come una delle strade più pericolose d'Italia, mentre la ferrovia Roma-Lido (100.000 passeggeri al giorno trattati come sardine) è forse la peggior linea del Paese. Vi chiederete: ma almeno i conti saranno a posto? La risposta è no: l'indebitamento è aumentato di altri 10 miliardi per un anticipo di cassa che la Regione ha ricevuto dallo Stato nel 2013. Ricapitoliamo: più tasse, disastro sanità-trasporti-rifiuti, buco nei conti. Capite bene che, con questi record, Zingaretti era un candidato naturale alla guida del Pd.Numericamente, in Consiglio regionale, Zingaretti non aveva nemmeno la maggioranza, poi guadagnata grazie a qualche nuovo ingresso. Ma il centrodestra dorme, e il M5s, guidato dall'ala che fa riferimento a Roberta Lombardi e a Roberto Fico, da mesi permette tutto a Zingaretti e alle sue «maggioranze variabili». Dunque, è fondatissima la tesi di chi immagina la sua segreteria come un viatico verso un'intesa Pd-M5s: il Lazio è già un esperimento.