2024-09-29
MF ricostruisce il patrimonio estero degli Agnelli
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Ginevra, John e Lapo Elkann (Getty Images)
Il giornale di informazione finanziaria ed economica ha ripercorso le vicende del patrimonio della famiglia Agnelli, stimato in oltre 700 milioni di euro.
Nella giornata di ieri, alcuni organi di stampa, hanno però diffuso la notizia relativa a una presunta smentita da parte degli Elkann su quanto riportato da MF. In realtà, quella pubblicata dai legali di John, Lapo e Ginevra Elkann, è una nota in cui si precisa che «non è mai esistito e non esiste alcun patrimonio occulto dell'eredità Agnelli» - prosegue la nota - «a fronte della sequenza di reiterate falsità che affolla in questi giorni i mezzi di informazione». Una dichiarazione generica, dunque, che non fa riferimento ad alcuna testata e non è rivolta quindi a smentire quanto scritto da Milano Finanza.
Il lavoro di Milano Finanza, in particolare, ha ricostruito il patrimonio della famiglia Agnelli, disegnando una mappa complessa di beni dal valore complessivo di oltre 700 milioni di euro. Il giornale di informazione finanziaria ed economica ha quindi ripercorso la storia del veicolo Multiassets, iniziata a febbraio 2014 con un versamento da 184 milioni di euro provenienti da The Providenza Settlement, uno dei due trust delle Bahamas in cui sarebbero confluiti i beni all'estero di Gianni Agnelli. Nell'articolo di MF, si legge poi come nel 2018, da un secondo trust alle Bahamas siano arrivati 296 milioni di euro, mentre l'anno successivo, dopo la morte di Marella Agnelli, secondo un accordo poi contestato dalla figlia Margherita, i beni sono passati ai tre nipoti, John, Lapo e Ginevra Elkann. Secondo la ricostruzione di Milano Finanza, nel 2021 il fondo lussemburghese ha toccato il picco a 875 milioni di euro di valore mentre con la guerra in Ucraina il valore è sceso fino a 663 milioni nel 2023. Il patrimonio della famiglia Agnelli, stando a quanto riportato da MF, sarebbe stato schermato da due trust alle Bahamas e conferito a un sub-fund lussemburghese, il Multiassets della sicav Private Wealth Management Global sif creato dalla banca privata Pictet. Anche tanti altri investimenti sarebbero praticamente tutti all'estero, dalle miniere d'oro canadesi e sudafricane a bond di banche (anche la russa Sberbank), passando per azioni, prodotti strutturati e anche il mega fondo di investimento Lingotto di Exor, di cui John Elkann è presidente.
Sullo sfondo restano poi le indagini dei magistrati torinesi che contestano la residenza svizzera di Marella Caracciolo e lo scontro fra Margherita Agnelli e i suoi figli. Secondo il giornale, un'ipotesi di accordo in famiglia appare molto lontana. Ma se le carte dell'inchiesta riveleranno altri retroscena non è detto che le posizioni fra madre e figli non possano cambiare.
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Il giornale di informazione finanziaria ed economica ha ripercorso le vicende del patrimonio della famiglia Agnelli, stimato in oltre 700 milioni di euro.Nella giornata di ieri, alcuni organi di stampa, hanno però diffuso la notizia relativa a una presunta smentita da parte degli Elkann su quanto riportato da MF. In realtà, quella pubblicata dai legali di John, Lapo e Ginevra Elkann, è una nota in cui si precisa che «non è mai esistito e non esiste alcun patrimonio occulto dell'eredità Agnelli» - prosegue la nota - «a fronte della sequenza di reiterate falsità che affolla in questi giorni i mezzi di informazione». Una dichiarazione generica, dunque, che non fa riferimento ad alcuna testata e non è rivolta quindi a smentire quanto scritto da Milano Finanza.Il lavoro di Milano Finanza, in particolare, ha ricostruito il patrimonio della famiglia Agnelli, disegnando una mappa complessa di beni dal valore complessivo di oltre 700 milioni di euro. Il giornale di informazione finanziaria ed economica ha quindi ripercorso la storia del veicolo Multiassets, iniziata a febbraio 2014 con un versamento da 184 milioni di euro provenienti da The Providenza Settlement, uno dei due trust delle Bahamas in cui sarebbero confluiti i beni all'estero di Gianni Agnelli. Nell'articolo di MF, si legge poi come nel 2018, da un secondo trust alle Bahamas siano arrivati 296 milioni di euro, mentre l'anno successivo, dopo la morte di Marella Agnelli, secondo un accordo poi contestato dalla figlia Margherita, i beni sono passati ai tre nipoti, John, Lapo e Ginevra Elkann. Secondo la ricostruzione di Milano Finanza, nel 2021 il fondo lussemburghese ha toccato il picco a 875 milioni di euro di valore mentre con la guerra in Ucraina il valore è sceso fino a 663 milioni nel 2023. Il patrimonio della famiglia Agnelli, stando a quanto riportato da MF, sarebbe stato schermato da due trust alle Bahamas e conferito a un sub-fund lussemburghese, il Multiassets della sicav Private Wealth Management Global sif creato dalla banca privata Pictet. Anche tanti altri investimenti sarebbero praticamente tutti all'estero, dalle miniere d'oro canadesi e sudafricane a bond di banche (anche la russa Sberbank), passando per azioni, prodotti strutturati e anche il mega fondo di investimento Lingotto di Exor, di cui John Elkann è presidente.Sullo sfondo restano poi le indagini dei magistrati torinesi che contestano la residenza svizzera di Marella Caracciolo e lo scontro fra Margherita Agnelli e i suoi figli. Secondo il giornale, un'ipotesi di accordo in famiglia appare molto lontana. Ma se le carte dell'inchiesta riveleranno altri retroscena non è detto che le posizioni fra madre e figli non possano cambiare.
Getty Images
Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.
Muwaffaq Tarif, lo sceicco leader religioso della comunità drusa israeliana
Il gruppo numericamente più importante è in Siria, dove si stima che vivano circa 700.000 drusi, soprattutto nel Governatorato di Suwayda e nei sobborghi meridionali della capitale Damasco. In Libano rappresentano il 5% del totale degli abitanti e per una consolidata consuetudine del Paese dei Cedri uno dei comandanti delle forze dell’ordine è di etnia drusa. In Giordania sono soltanto 20.000 su una popolazione di 11 milioni, ma l’attuale vice-primo ministro e ministro degli Esteri Ayman Safadi è un druso. In Israele sono membri attivi della società e combattono nelle Forze di difesa israeliane (Idf) in una brigata drusa. Sono circa 150.000 distribuiti nel nNord di Israele fra la Galilea e le Alture del Golan, ma abitano anche in alcuni quartieri di Tel Aviv.
Lo sceicco Muwaffaq Tarif è il leader religioso della comunità drusa israeliana e la sua famiglia guida la comunità dal 1753, sotto il dominio ottomano. Muwaffaq Tarif ha ereditato il ruolo di guida spirituale alla morte del nonno Amin Tarif, una figura fondamentale per i drusi tanto che la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Sceicco quali sono i rapporti con le comunità druse sparpagliate in tutto il Medio Oriente?
«Siamo fratelli nella fede e nell’ideale, ci unisce qualcosa di profondo e radicato che nessuno potrà mai scalfire. Viviamo in nazioni diverse ed anche con modalità di vita differenti, ma restiamo drusi e questo influisce su ogni nostra scelta. Nella storia recente non sempre siamo stati tutti d’accordo, ma resta il rispetto. Per noi è fondamentale che passi il concetto che non abbiamo nessuna rivendicazione territoriale o secessionista, nessuno vuole creare una “nazione drusa”, non siamo come i curdi, noi siamo cittadini delle nazioni in cui viviamo, siamo israeliani, siriani, libanesi e giordani».
I drusi israeliani combattono nell’esercito di Tel Aviv, mentre importanti leader libanesi come Walid Jumblatt si sono sempre schierati dalla parte dei palestinesi.
«Walid Jumblatt è un politico che vuole soltanto accumulare ricchezze e potere e non fare il bene della sua gente. Durante la guerra civile libanese è stato fra quelli che appoggiavano Assad e la Siria che voleva annettere il Libano e quindi ogni sua mossa mira soltanto ad accrescere la sua posizione. Fu mio nonno ha decidere che il nostro rapporto con Israele doveva essere totale e noi siamo fedeli e rispettosi. La fratellanza con le altre comunità non ci impone un pensiero unico e quindi c’è molta libertà, anche politica nelle nostre scelte».
In Siria c’è un nuovo governo, un gruppo di ex qaedisti che hanno rovesciato Assad in 11 giorni e che adesso si stanno presentando al mondo come moderati. Nei mesi scorsi però i drusi siriani sono stati pesantemente attaccati dalle tribù beduine e Israele ha reagito militarmente per difendere la sua comunità.
«Israele è l’unica nazione che si è mossa per aiutare i drusi siriani massacrati. Oltre 2000 morti, stupri ed incendi hanno insanguinato la provincia di Suwayda, tutto nell’indifferenza della comunità internazionale. Il governo di Damasco è un regime islamista e violento che vuole distruggere tutte le minoranze, prima gli Alawiti ed adesso i drusi. Utilizzano le milizie beduine, ma sono loro ad armarle e permettergli di uccidere senza pietà gente pacifica. Siamo felici che l’aviazione di Tel Aviv sia intervenuta per fermare il genocidio dei drusi, volevamo intervenire personalmente in sostegno ai fratelli siriani, ma il governo israeliano ha chiuso la frontiera. Al Shara è un assassino sanguinario che ci considera degli infedeli da eliminare, non bisogna credere a ciò che racconta all’estero. La Siria è una nazione importante ed in tanti vogliono destabilizzarla per colpire tutto il Medio Oriente. Siamo gente semplice e povera, ma voglio comunque fare un appello al presidente statunitense Donald Trump di non credere alle bugie dei tagliagole di Damasco e di proteggere i drusi della Siria».
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Con Luciano Pignataro commentiamo l'iscrizione della nostra grande tradizione gastronomica nel patrimonio immateriale dell'umanità