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2019-12-01
L’Ue: «Rinviare il Mes? Non vi conviene...»
Ansa
Si mette male, anzi malissimo, per il governo giallorosso. La riforma del Mes, il fondo salva Stati, spacca la maggioranza e avvicina la crisi. Il M5s, ieri, ha ufficialmente messo nero su bianco che la riforma, così come è stata elaborata, non va bene. Giuseppe Conte vacilla: domani riferirà prima alla Camera (alle 13) e poi al Senato (alle 15 e 30) sull'argomento. Oggi, salvo imprevisti, dovrebbe tenersi un vertice di governo. Per Conte, la speranza è quella di un rinvio dell'approvazione definitiva del nuovo Mes da parte dell'Unione europea. Alcune indiscrezioni provenienti da Bruxelles, infatti, segnalano che non è solo l'Italia a sollevare questioni sulla riforma del fondo salva Stati. Fonti Ue citate dai media dicono che un rinvio è possibile, ma non è nell'interesse dell'Italia.
La data cruciale è quella di mercoledì prossimo, 4 dicembre, quando i ministri dell'Economia dei Paesi dell'Unione si riuniranno: uno slittamento della ratifica dell'accordo potrebbe dare un po' di ossigeno al governo italiano. La Commissione, stando a quanto riporta l'Agi, sarebbe pronta a sostenere l'Italia sul no alla proposta tedesca di requisiti di capitale delle banche in base al rating dei titoli pubblici che detengono, giudicata inaccettabile dall'esecutivo comunitario. E anche la Francia, oltre all'Italia, è contraria.
Ieri, intanto, Luigi Di Maio ha ufficializzato il veto del M5s alla ratifica del Mes così come è stata elaborata: «È bene», dice Di Maio, «che ci sia una riflessione. Il Mes ha bisogno di molti miglioramenti, non possiamo pensare di firmare al buio, quando avremo letto tutto verificheremo se conviene il pacchetto. È sano per l'Italia non accelerare, l'unione bancaria mi preoccupa più del Mes. L'assicurazione sui depositi», argomenta il ministro degli Esteri, «va messa a posto, ci sono dei negoziati in corso ed è bene che proseguano con il protagonismo dell'Italia. Visto e considerato che c'è stato un cambio di maggioranza in parlamento, che il parlamento non si è ancora espresso sul Mes, sull'Unione bancaria e sul deposito sulle assicurazioni, è bene che ci sia una riflessione. Anche il ministro Gualtieri lo ha detto: in questo momento», chiarisce Di Maio, «il negoziato ha tutte le possibilità di poter migliorare questo trattato».
Anche Leu frena: «Sul Mes», dice il deputato Stefano Fassina, è autolesionistica la rappresentazione di uno scontro tra europeisti responsabili e irresponsabili sovranisti, tra chi vuole salvaguardare la continuità dell'Italia nella Ue e nell'eurozona e chi vuole rompere. Il Pd eviti forzature», prosegue Fassina, il Parlamento italiano il 19 giugno scorso si è espresso in modo molto chiaro sul Mes per consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento stesso non si sia pronunciato. Non vi può essere stata nessuna determinazione definitiva. Senza ulteriori drammatizzazioni», sottolinea Fassina, «il governo riconosca che non ha avuto e non ha il mandato per firmare il trattato. Il Mes non è nel programma della maggioranza».
Il Pd sente aria di crisi di governo: «Sul Mes in queste ore», avverte il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, «ci giochiamo la credibilità del Paese, l'andamento dello spread e dei mercati. Non si può giocare con il fuoco: prendo per buone le parole di Luigi Di Maio e, da qui a lunedì vedremo se alle intenzioni seguiranno anche i comportamenti».
Preoccupazione per la tenuta della maggioranza traspare anche dalle parole del capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio: «Siccome non ci sono elementi di merito che mettono in discussione la nostra sovranità nazionale», spiega Delrio, «è molto importante che diamo una dimostrazione di serietà e affidabilità. Io mi aspetto che le legittime critiche del nostro alleato non portino a provocare una crisi di credibilità per il paese. Questo sarebbe grave, per i cittadini e per la serietà con cui viene visto il nostro governo. Non si può stare al governo accettando compromessi su questioni che sono di grande rilevanza per la nostra credibilità. Sul Mes», avverte Delrio, «potremo avere anche molte critiche, molte sfumature diverse. Ma non si può a quattro giorni dalla ratifica di un trattato internazionale rimettere tutto in discussione e chiedere rinvii».
In risposta ai dem arriva tuttavia una nota moloto netta dei grillini che invita il Pd a non alzare i toni e puntualizza che se qualcuno vuole «metterla sul tema della credibilità, a noi sembra che la credibilità come Stato in tutti questi anni l'abbiamo persa proprio quando si firmava qualsiasi cosa per compiacere sempre qualche euroburocrate, piuttosto che tutelare gli interessi dell'Italia e degli italiani. Bene, quell'epoca è finita. Consigliamo al Pd di lavorare con noi ad un punto di intesa. Tutti sanno che il Mes è modificabile ed emendabile».
Da parte sua, Matteo Salvini, continua a incalzare Conte: «Rispondo», risponde Salvini a chi gli chiede un'opinione sulla riforma del Mes, «con le parole del governatore di Bankitalia che non è un pericoloso leghista: rappresenta un enorme rischio. Si rischia di usare i soldi dei risparmiatori italiani per salvare le banche tedesche e io penso che i soldi degli italiani vadano usati per aiutare altri italiani. Per come è scritta ruba ai poveri per dare ai ricchi, ai risparmiatori italiani, per dare alle banche francesi e tedesche. Dico a Conte: se hai firmato qualcosa senza il consenso degli italiani dimettiti e chiedi scusa. Lunedì (domani, ndr) andrò a sentire Conte che deve intervenire in Parlamento per spiegare gli italiani se ha svenduto i risparmi della sovranità italiana e sono proprio curioso di sentire cosa avrà da dire. Mi aspetto che dica una cosa strana, la verità».
Si decide tutto in 10 giorni. Ecco la corsa a ostacoli dell’esecutivo giallorosso
Alla vigilia dei discorsi che domani, lunedì 2 dicembre, terrà alla Camera (alle 13) e al Senato (alle 15 e 30) per riferire sulla riforma del Mes, il premier Giuseppe Conte si mostra ottimista e fiducioso: «Lunedì (domani, ndr) non ci sarà nessuna battaglia», ha detto ieri Conte, «è una informativa doverosa al Parlamento da parte del presidente del Consiglio che ogni volta che è stato chiamato, ogni volta che ha avuto e avrà la possibilità di informare, dialogare con i membri del Parlamento lo fa e lo farà. Come sapete», ha aggiunto il premier col ciuffo, «la sovranità appartiene al popolo, i parlamentari rappresentano il popolo quindi mi confronterò, informerò. Mi è stato chiesto e sarà sempre così». Ai giornalisti che gli hanno chiesto se la tenuta del governo sia a rischio sulla vicenda Mes, il premier ha risposto così: «No. Ogni volta, a ogni passaggio un po' delicato, si ragiona sempre del rischio per il governo. Questo governo andrà avanti», ha sottolineato Conte, «per un motivo semplice: perché il Paese ha tante urgenze, ha tanti problemi anche strutturali da risolvere. Noi offriamo delle risposte concrete. Lo abbiamo già dimostrato e lo stiamo dimostrando con questa manovra finanziaria. E ancor di più lo dimostreremo appena l'avremo approvata con un piano di riforme strutturali e con un cronoprogramma serrato, molto impegnativo, al quale lavoreremo con tutte le nostre forze dalla mattina alla sera. Noi», ha argomentato Conte, «offriamo un progetto politico, un futuro sostenibile e credibile a questo paese. È per questo che non andremo a casa. Lunedì (domani, ndr) sarò in Parlamento e metteremo tutti i tasselli al loro posto e inizieremo a spazzare via tutte le fesserie che sono state dette, ne ho ascoltate tante. Sono molto paziente ma il momento in cui dovremo spazzare via le chiacchiere che sono state fatte, sarà lunedì. Ci confronteremo serenamente con il Parlamento», ha sottolineato ancora Conte, «come è giusto che sia, nel rispetto delle Istituzioni sovrane e dei cittadini. Ricordatevi sempre che se la politica anziché con la P maiuscola si comporta con la p minuscola, poi cala la fiducia nella classe dirigente, nella classe politica. Questo non riguarda solo la maggioranza ma anche le opposizioni. Alle opposizioni chiedo sempre di essere serie, dure anche, aspre con il governo e con le forze di maggioranza, ma sempre di essere credibili. Quando ci sono menzogne», ha concluso Conte, «queste fanno male a loro stesse e a tutta la politica, alla democrazia».
Dunque, oggi dovrebbe tenersi (condizionale d'obbligo) il vertice di governo sul Mes; domani le informative di Conte alla Camera e al Senato; mercoledì, 4 dicembre toccherà ai ministri finanziari dell'Eurozona riunirsi. Sempre mercoledì, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco sarà ascoltato in audizione alla commissione Bilancio alla Camera. Conte riferirà nuovamente in Senato il 10 dicembre, a ridosso del Consiglio europeo di mercoledì 13 chje dovrà sancire l'approvazione del trattato.
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Riduci
La coalizione si spacca. Luigi Di Maio: «Non si firma al buio». Anche Stefano Fassina (Leu) chiede di evitare forzature. Ma Graziano Delrio alza il muro: «Ci giochiamo la credibilità». La Ue: «Proroga possibile, ma non vi conviene...».Dal vertice di maggioranza di oggi alle comunicazioni di Giuseppe Conte in Senato del 10 dicembre: l'iter del trattato è quasi al capolinea.Lo speciale contiene due articoli.Si mette male, anzi malissimo, per il governo giallorosso. La riforma del Mes, il fondo salva Stati, spacca la maggioranza e avvicina la crisi. Il M5s, ieri, ha ufficialmente messo nero su bianco che la riforma, così come è stata elaborata, non va bene. Giuseppe Conte vacilla: domani riferirà prima alla Camera (alle 13) e poi al Senato (alle 15 e 30) sull'argomento. Oggi, salvo imprevisti, dovrebbe tenersi un vertice di governo. Per Conte, la speranza è quella di un rinvio dell'approvazione definitiva del nuovo Mes da parte dell'Unione europea. Alcune indiscrezioni provenienti da Bruxelles, infatti, segnalano che non è solo l'Italia a sollevare questioni sulla riforma del fondo salva Stati. Fonti Ue citate dai media dicono che un rinvio è possibile, ma non è nell'interesse dell'Italia. La data cruciale è quella di mercoledì prossimo, 4 dicembre, quando i ministri dell'Economia dei Paesi dell'Unione si riuniranno: uno slittamento della ratifica dell'accordo potrebbe dare un po' di ossigeno al governo italiano. La Commissione, stando a quanto riporta l'Agi, sarebbe pronta a sostenere l'Italia sul no alla proposta tedesca di requisiti di capitale delle banche in base al rating dei titoli pubblici che detengono, giudicata inaccettabile dall'esecutivo comunitario. E anche la Francia, oltre all'Italia, è contraria.Ieri, intanto, Luigi Di Maio ha ufficializzato il veto del M5s alla ratifica del Mes così come è stata elaborata: «È bene», dice Di Maio, «che ci sia una riflessione. Il Mes ha bisogno di molti miglioramenti, non possiamo pensare di firmare al buio, quando avremo letto tutto verificheremo se conviene il pacchetto. È sano per l'Italia non accelerare, l'unione bancaria mi preoccupa più del Mes. L'assicurazione sui depositi», argomenta il ministro degli Esteri, «va messa a posto, ci sono dei negoziati in corso ed è bene che proseguano con il protagonismo dell'Italia. Visto e considerato che c'è stato un cambio di maggioranza in parlamento, che il parlamento non si è ancora espresso sul Mes, sull'Unione bancaria e sul deposito sulle assicurazioni, è bene che ci sia una riflessione. Anche il ministro Gualtieri lo ha detto: in questo momento», chiarisce Di Maio, «il negoziato ha tutte le possibilità di poter migliorare questo trattato». Anche Leu frena: «Sul Mes», dice il deputato Stefano Fassina, è autolesionistica la rappresentazione di uno scontro tra europeisti responsabili e irresponsabili sovranisti, tra chi vuole salvaguardare la continuità dell'Italia nella Ue e nell'eurozona e chi vuole rompere. Il Pd eviti forzature», prosegue Fassina, il Parlamento italiano il 19 giugno scorso si è espresso in modo molto chiaro sul Mes per consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento stesso non si sia pronunciato. Non vi può essere stata nessuna determinazione definitiva. Senza ulteriori drammatizzazioni», sottolinea Fassina, «il governo riconosca che non ha avuto e non ha il mandato per firmare il trattato. Il Mes non è nel programma della maggioranza».Il Pd sente aria di crisi di governo: «Sul Mes in queste ore», avverte il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, «ci giochiamo la credibilità del Paese, l'andamento dello spread e dei mercati. Non si può giocare con il fuoco: prendo per buone le parole di Luigi Di Maio e, da qui a lunedì vedremo se alle intenzioni seguiranno anche i comportamenti». Preoccupazione per la tenuta della maggioranza traspare anche dalle parole del capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio: «Siccome non ci sono elementi di merito che mettono in discussione la nostra sovranità nazionale», spiega Delrio, «è molto importante che diamo una dimostrazione di serietà e affidabilità. Io mi aspetto che le legittime critiche del nostro alleato non portino a provocare una crisi di credibilità per il paese. Questo sarebbe grave, per i cittadini e per la serietà con cui viene visto il nostro governo. Non si può stare al governo accettando compromessi su questioni che sono di grande rilevanza per la nostra credibilità. Sul Mes», avverte Delrio, «potremo avere anche molte critiche, molte sfumature diverse. Ma non si può a quattro giorni dalla ratifica di un trattato internazionale rimettere tutto in discussione e chiedere rinvii».In risposta ai dem arriva tuttavia una nota moloto netta dei grillini che invita il Pd a non alzare i toni e puntualizza che se qualcuno vuole «metterla sul tema della credibilità, a noi sembra che la credibilità come Stato in tutti questi anni l'abbiamo persa proprio quando si firmava qualsiasi cosa per compiacere sempre qualche euroburocrate, piuttosto che tutelare gli interessi dell'Italia e degli italiani. Bene, quell'epoca è finita. Consigliamo al Pd di lavorare con noi ad un punto di intesa. Tutti sanno che il Mes è modificabile ed emendabile». Da parte sua, Matteo Salvini, continua a incalzare Conte: «Rispondo», risponde Salvini a chi gli chiede un'opinione sulla riforma del Mes, «con le parole del governatore di Bankitalia che non è un pericoloso leghista: rappresenta un enorme rischio. Si rischia di usare i soldi dei risparmiatori italiani per salvare le banche tedesche e io penso che i soldi degli italiani vadano usati per aiutare altri italiani. Per come è scritta ruba ai poveri per dare ai ricchi, ai risparmiatori italiani, per dare alle banche francesi e tedesche. Dico a Conte: se hai firmato qualcosa senza il consenso degli italiani dimettiti e chiedi scusa. Lunedì (domani, ndr) andrò a sentire Conte che deve intervenire in Parlamento per spiegare gli italiani se ha svenduto i risparmi della sovranità italiana e sono proprio curioso di sentire cosa avrà da dire. Mi aspetto che dica una cosa strana, la verità».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mezzo-governo-vuol-fermare-il-mes-ma-per-il-pd-non-si-puo-ridiscutere-2641484536.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="si-decide-tutto-in-10-giorni-ecco-la-corsa-a-ostacoli-dellesecutivo-giallorosso" data-post-id="2641484536" data-published-at="1765615567" data-use-pagination="False"> Si decide tutto in 10 giorni. Ecco la corsa a ostacoli dell’esecutivo giallorosso Alla vigilia dei discorsi che domani, lunedì 2 dicembre, terrà alla Camera (alle 13) e al Senato (alle 15 e 30) per riferire sulla riforma del Mes, il premier Giuseppe Conte si mostra ottimista e fiducioso: «Lunedì (domani, ndr) non ci sarà nessuna battaglia», ha detto ieri Conte, «è una informativa doverosa al Parlamento da parte del presidente del Consiglio che ogni volta che è stato chiamato, ogni volta che ha avuto e avrà la possibilità di informare, dialogare con i membri del Parlamento lo fa e lo farà. Come sapete», ha aggiunto il premier col ciuffo, «la sovranità appartiene al popolo, i parlamentari rappresentano il popolo quindi mi confronterò, informerò. Mi è stato chiesto e sarà sempre così». Ai giornalisti che gli hanno chiesto se la tenuta del governo sia a rischio sulla vicenda Mes, il premier ha risposto così: «No. Ogni volta, a ogni passaggio un po' delicato, si ragiona sempre del rischio per il governo. Questo governo andrà avanti», ha sottolineato Conte, «per un motivo semplice: perché il Paese ha tante urgenze, ha tanti problemi anche strutturali da risolvere. Noi offriamo delle risposte concrete. Lo abbiamo già dimostrato e lo stiamo dimostrando con questa manovra finanziaria. E ancor di più lo dimostreremo appena l'avremo approvata con un piano di riforme strutturali e con un cronoprogramma serrato, molto impegnativo, al quale lavoreremo con tutte le nostre forze dalla mattina alla sera. Noi», ha argomentato Conte, «offriamo un progetto politico, un futuro sostenibile e credibile a questo paese. È per questo che non andremo a casa. Lunedì (domani, ndr) sarò in Parlamento e metteremo tutti i tasselli al loro posto e inizieremo a spazzare via tutte le fesserie che sono state dette, ne ho ascoltate tante. Sono molto paziente ma il momento in cui dovremo spazzare via le chiacchiere che sono state fatte, sarà lunedì. Ci confronteremo serenamente con il Parlamento», ha sottolineato ancora Conte, «come è giusto che sia, nel rispetto delle Istituzioni sovrane e dei cittadini. Ricordatevi sempre che se la politica anziché con la P maiuscola si comporta con la p minuscola, poi cala la fiducia nella classe dirigente, nella classe politica. Questo non riguarda solo la maggioranza ma anche le opposizioni. Alle opposizioni chiedo sempre di essere serie, dure anche, aspre con il governo e con le forze di maggioranza, ma sempre di essere credibili. Quando ci sono menzogne», ha concluso Conte, «queste fanno male a loro stesse e a tutta la politica, alla democrazia». Dunque, oggi dovrebbe tenersi (condizionale d'obbligo) il vertice di governo sul Mes; domani le informative di Conte alla Camera e al Senato; mercoledì, 4 dicembre toccherà ai ministri finanziari dell'Eurozona riunirsi. Sempre mercoledì, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco sarà ascoltato in audizione alla commissione Bilancio alla Camera. Conte riferirà nuovamente in Senato il 10 dicembre, a ridosso del Consiglio europeo di mercoledì 13 chje dovrà sancire l'approvazione del trattato.
Il grande direttore d'orchestra rilancia l'appello alla politica affinché trovi una via diplomatica per convincere la Francia a far tornare nella sua città natale il compositore fiorentino, che ora riposa al cimitero di Père-Lachaise. Il sogno? Dirigere il Requiem del genio toscano nella Basilica di Santa Croce, dove è già pronto il suo cenotafio.
Maurizio Landini (Ansa)
Nessun sindacalista lo ammetterà mai, ma c’è un dato che più di ogni altro fa da spartiacque tra uno sciopero riuscito e un flop. Una percentuale minima al di sotto della quale è davvero difficile cantare vittoria: l’adesione almeno degli iscritti. Insomma, se sostieni, come fa ripetutamente Maurizio Landini di essere il portavoce di un sedicente malcontento montante che sarebbe addirittura maggioranza nel Paese e ti intesti una battaglia in solitaria lasciando alle spalle Cisl e Uil e poi non ti seguono neanche i tuoi, c’è un problema.
E il problema, numeri alla mano, esiste. Ed è pure grosso. Basta vedere le percentuali dei lavoratori che hanno deciso di spalleggiare l’ennesima rivolta politica e tutta improntata ad attaccare il governo Meloni del leader della Cgil. Innanzitutto nel pubblico impiego. Tra gli statali (scuola, sanità, dipendenti di ministeri, enti locali ecc.) ci sono circa 2,7 milioni di dipendenti contrattualizzati. E tra questi il 12% ha in tasca la tessera della Cgil. Bene, a fine giornata i dati ufficiali parlavano di circa il 4,4% complessivo di adesione all’ennesimo logoro show di Landini. Messa in soldoni: ormai anche la Cgil si è stancata del suo segretario che combatte una battaglia personale e quasi sempre sulle spalle dei lavoratori.
Che in corso d’Italia monti il malcontento, La Verità lo evidenzia da un po’ di tempo, ma il dato degli impiegati dello Stato è particolarmente significativo. Perché è intorno agli statali che l’ex leader della Fiom ha combattuto e poi perso la sua battaglia più significativa. Per mesi e mesi, infatti, spalleggiato dalla Uil e dall’ex alleato Pierpaolo Bombardieri, Landini ha bloccato il rinnovo dei contratti della Pa.
Circa 20 miliardi, già stanziati dal governo, fermi. E aumenti tra i 150 e i 170 euro lordi al mese, con istituti di favore come la settimana cortissima e il ticket anche in smart working, preclusi ai lavoratori per l’opposizione a prescindere del compagno Maurizio. Certo, lui l’ha spiegata come una lotta di giustizia sociale che aveva l’obiettivo di recuperare tutta l’inflazione del periodo (2022-2024). Ma si trattava di un bluff. Perché la Cgil con governi di un colore diverso ha rinnovato contratti decisamente meno convenienti e che comunque non coprivano il carovita.
Insomma, quella sugli accordi della pubblica amministrazione è diventata l’ultima frontiera dell’opposizione a prescindere. E su quella battaglia Landini si è schiantato. Prima nel merito, perché alla fine la Uil l’ha mollato e i contratti sono stati firmati. E poi sul campo: perché se almeno la metà degli iscritti diserta sciopero (e siamo benevoli), vuol dire che i tuoi stanno bocciando una linea che porta nelle piazza, sulle barricate e sui giornali, ma lascia i lavoratori con le tasche sempre più vuote.
«Il dato», spiega alla Verità il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, «certifica l’ennesimo flop degli scioperi generali, un fallimento che finisce tutto sulle spalle della Cgil che nel pubblico impiego può contare su circa 300.000 iscritti. Pur ammettendo che tutti gli aderenti siano tesserati di Landini e che le proiezioni del pomeriggio vengano confermate, la bocciatura interna per la linea del segretario sarebbe evidente. E, del resto, questo disagio era palese anche sul tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. È arrivato il momento che anche all’interno del sindacato si apra una riflessione sincera».
E se tra gli statali la sconfitta è stata cocente, non meglio è andata nel privato. Dove, però, i dati sono più frammentati. Secondo le rilevazioni degli altri sindacati, ci sono alcune situazioni clamorose e altri meno, ma sempre di batoste si tratta.
Appartengono al primo caso le adesioni ferme a quota 1% nei cantieri delle grandi opere: dal Brennero fino al Terzo valico e alla Tav. Si risale al 5% negli stabilimenti di produzione e lavorazione di cemento, legno e laterizi, ma in generale la partecipazione nell’edilizia è stata bassissima.
Come nell’agroalimentare, dove, se si fa eccezioni per la rossa Emilia-Romagna (ai reparti produttivi della Granarolo si è arrivati a sfiorare il 50%), i risultati nelle piccole e medie imprese sono quasi tutti sotto il 5%. La media tra le aziende elettriche è del 5%, nelle Poste siamo fermi al 2,5% e nelle banche si sfiora l’1%. Leggermente meglio nel terziario e nel commercio (dove viene toccato il 10%), così come si contano sulle punte delle dita i siti delle realtà industriali in doppia cifra (Ex Ilva a Novi, Marcegaglia di Dusino San Michele in Piemonte e alcuni siti di Leonardo).
Insomma, al balletto delle cifre nelle manifestazioni siamo abituati e che ci siano delle enormi differenze numeriche tra promotori dello sciopero e controparte sta nelle regole del gioco, eppure si fa davvero fatica a capire da dove il sindacato rosso abbia tirato fuori il dato del 68% delle adesioni. Se 7 lavoratori su 10 si fermano, l’Italia si blocca. Non solo i trasporti, ma tutto il sistema finisce in una sorta di pericoloso stand by collettivo. Nulla a che vedere con quello che è successo sul territorio che ieri ha subito qualche prevedibile disagio da effetto-annuncio, ma poco più. Ma, del resto, nel Paese immaginario che sta raccontando Landini può succedere questo e altro.
Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito
«Fanno bene ad avere qualche timore, avere qualche paura, perché non ci fermano. Non so come dirlo, non ci fermano e, siccome siamo convinti di rappresentare la maggioranza del Paese, andremo avanti fino a quando questa battaglia l’abbiamo vinta». È stato questo il grido di battaglia, ieri, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a Firenze dove ha partecipato al corteo nel giorno dello sciopero generale contro la legge di bilancio, salari bassi, precarietà e caro-vita.
Una protesta «per cambiare la manovra 2026, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, malgrado le modifiche appena approvate, per sostenere investimenti in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali, per fermare l’innalzamento dell’età pensionabile, per contrastare la precarietà». Insomma, i temi sul tavolo di ogni governo degli ultimi 30 anni, basti pensare alla sanità da sempre gestita dalla sinistra da Rosy Bondi in poi, ma che, per Landini e sinistra, sembrano esplosi con l’arrivo del governo Meloni. E, ignorando totalmente i dati dell’occupazione che cresce in maniera costante, arriva a sostenere che «La precarietà non è un problema dei giovani: se vogliamo combattere e contrastare la precarietà, sono quelli che non sono precari che, innanzitutto, si devono battere e scioperare per cancellare la precarietà. Questa è la solidarietà, questo è il sindacato».
«Quando ho lavorato», ha ricordato Landini, «io la precarietà non l’ho conosciuta. E vorrei che fosse chiaro, non è merito mio, eh, io non avevo fatto niente, ero andato semplicemente a lavorare. Ma mi sono trovato dei diritti, perché quelli prima di me, che quei diritti lì non ce ne avevano, si erano battuti per ottenerli. Non per loro, ma per tutti. Tre mesi dopo che ero assunto come apprendista, ho potuto operare e partecipare a una manifestazione senza essere licenziato. Non m’hanno fatto prove del carrello», ha detto riferendosi ai tre lavoratori della catena Pam allontanati dopo un controllo a sorpresa che ha simulato un furto. «Dobbiamo far parlare il Paese reale, perché dobbiamo raccontare quel che succede: qui siamo, ormai, a un regime, ci raccontano un Paese che non c’è, ci raccontano una quantità di balle, che tutto va bene, tutto sta funzionando. Non è così».
Il leader della Cgil ha, poi, sottolineato che oggi c’è «un obiettivo esplicito della politica e del governo: mettere in discussione l’esistenza stessa del sindacato confederale come soggetto che ha diritto di negoziare alla pari col governo». Al segretario che un anno fa voleva «rivoltare il Paese come un guanto», lo sciopero politico di ieri gli è comunque costato la mancata unità sindacale con Cisl, Uil e Ugl ormai fuori sintonia. Landini ha chiarito che «il diritto di sciopero è un diritto costituzionale e non accetteremo alcun tentativo di metterlo in discussione o di limitarlo. Oggi siamo in piazza non contro altri lavoratori o altri sindacati, ma per estendere questi diritti a tutti. Quando un governo prova a delegittimare chi protesta o a ridurre gli spazi di partecipazione democratica, significa che non vuole ascoltare il disagio reale che attraversa il Paese. Lo sciopero è per cambiare politiche sbagliate. E la grande partecipazione che vediamo oggi dimostra che c’è un Paese che chiede un cambio di rotta».
«Il Paese non è più disponibile a un’altra legge di bilancio di austerità e di tagli», ha affermato il leader di Avs, Nicola Fratoianni, presente alla manifestazione con Angelo Bonelli. Sul palco in piazza del Carmine ha trovato posto anche la protesta dei giornalisti de La Stampa e Repubblica, in sciopero dopo l’annuncio di Exor della cessione del gruppo editoriale Gedi al magnate greco Theodore Kyriakou. Mai così in prima fila nella solidarietà ad altre crisi di giornali meno «amici», Landini ha spiegato il perché: «Pensiamo che quello che sta succedendo sia un tentativo esplicito di mettere in discussione la libertà di stampa e la possibilità concreta di proseguire e di fare serie politiche industriali. Mi sembra evidente quello che sta succedendo: abbiamo imprese e imprenditori che, dopo aver fatto i profitti, chiudono le imprese, se ne vogliono andare dal nostro Paese per usare i soldi e quella ricchezza che è stata prodotta da chi lavora, da altre parti. Ecco, quelli che fanno i patrioti dove sono? Stanno difendendo chi? Difendono quelli che pagano le tasse che tengono in piedi questo Paese o difendono quelli che chiudono le aziende che investono da un’altra parte?». C’è voluta la vendita di Repubblica perché Landini attaccasse Elkann visto che dalla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, l’azienda ha licenziato solo in Italia attraverso esodi incentivati 7.500 lavoratori. Del restom lo ha detto chiaramente Carlo Calenda di Azione: «Da quando la Repubblica è stata comprata da Elkann, Fiom e Cgil hanno smesso di dare battaglia che prima facevano con Sergio Marchionne quando la produzione aumentava, adesso che è crollata non li senti più dire nulla».
Intanto ieri Landini non ha nascosto la sua soddisfazione per la risposta allo sciopero, «le piazze si sono riempite e le fabbriche svuotate», rinfocolando la polemica a distanza con il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che aveva definito «irresponsabile» bloccare il Paese. «Noi stiamo facendo il nostro mestiere, quello che non fa Salvini», la replica del segretario della Cgil. Il vicepremier leghista ieri ha visitato la centrale operativa delle Ferrovie dello Stato per verificare le ricadute dello sciopero, ed ha definito «incoraggianti» i dati sull’adesione, «con disagi limitati» dovuti soprattutto all’effetto «annuncio».
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