Il documento condiviso con Francia e Austria e approvato da altri 9 Paesi mette in guardia dai pericoli sociali, ecologici ed economici. Via libera ai cibi coltivati solo con l’assenso dell’authority dei farmaci.
Il documento condiviso con Francia e Austria e approvato da altri 9 Paesi mette in guardia dai pericoli sociali, ecologici ed economici. Via libera ai cibi coltivati solo con l’assenso dell’authority dei farmaci.La diplomazia alla fiorentina, intesa come bistecca, funziona. Ieri l’Italia ha colto un successo decisivo: il Consiglio europeo dei ministri agricoli, agrifish in euroburocratese, ha dovuto prendere atto che per 12 Stati la carte coltivata non s’ha da fare né domani né mai. E l’Italia , che molti vorrebbero isolata, è oggi alla testa del nuovo disegno agricolo dell’Europa. Il colpo è riuscito al ministro Francesco Lollobrigida che con il suo collega Orazio Schillaci, ministro della Salute, ha firmato la legge che nel nostro Paese pone limiti e mette paletti alla commercializzazione, produzione e importazione di alimenti derivanti da coltivazione cellulare e ha lasciato che il suo omologo, l’austriaco Norbert Totsching, illustrasse agli altri titolari dei dicasteri agricoli riuniti a Bruxelles il documento che definisce la carne coltivata una minaccia per l’economia agricola, per la biodiversità, per la salute dei cittadini, per il commercio. Il documento che è una presa di posizione politica è di fondamentale importanza perché di fatto impedisce alla Commissione di procedere unilateralmente. E il dubbio che così fosse viene se si considera con quali onori è stato accolto, anche in Italia di recente, Bill Gates che ha un rapporto privilegiato con Ursula von der Leyen ma è il primo propugnatore dei cibi da laboratorio. Ma è soprattutto un capolavoro politico dell’Italia che ha convinto l’Austria e soprattutto la Francia a farsi promotrici del documento. All’assemblea nazionale francese, forse con un po’ di disdoro di chi sosteneva che la legge Lollobrigida-Schillaci isolava l’Italia e ci faceva fare un passo indietro quando in realtà la ricerca non viene toccata e la stessa Ue finanzia con 20 milioni gli sperimentatori dei cibi in vitro, è in discussione una normativa in tutto simile a quella adottata dal nostro Parlamento. Nel documento che è stato firmato anche da altri nove paesi (Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Lituania, Malta, Romania a Slovacchia) c’è un elemento di fondamentale importanza. Lo ha portato avanti la Coldiretti - ha raccolto un milione di firme oltre al sì di 20 consigli regionali sulla sua petizione per vietare la carne coltivata - che attraverso il proprio presidente Ettore Prandini ha chiesto che l’Efsa (è l’ente che deve approvare i cibi da mettere in commercio) sottoponga le eventuali autorizzazioni ai cibi coltivati non al disciplinare alimentare, ma quello dei farmaci che impone trial di esposizione e una serie assai nutrita di prove di laboratorio. Questo uno dei punti più qualificanti del documento che pone altri paletti: giuridici (le etichette e le norme di commercializzazione), sanitari, etici con una preventiva consultazione popolare, ambientali, di sostenibilità perché l’eliminazione dei prati-pascolo distrugge biodiversità e senza il liquame zootecnico s’incrementa la chimica in campo, sociali perché si rischia di far scomparire e comunità rurali, economici perché la carne coltivata apre le porte all’oligopolio alimentare. L’impatto economico peraltro sarebbe devastante: la zootecnia vale in Europa qualcosa meno di 200 miliardi e rappresenta circa il 40% del valore aggiunto agricolo (In Italia vale 17 miliardi peri al 32% del valore) senza contare le filiere che attiva - dal caseario, alla trasformazione delle carni- e con un’occupazione stimata in circa 4 milioni di addetti. Va notato peraltro che la CO2 agricola è il 10% del totale delle emissioni europee che a loro vola rappresentano il 9% di quelle globali. Egualmente come ha chiarito il professor Andrea Poli, presidente della Nutrition Foundation «le carni rosse se assunte in quantità limitate non sono affatto un pericolo per la salute, anzi». Il ministro Francesco Lollobrigida a margine del Consiglio europeo ha osservato: «Credo che sia giunto il tempo di analizzare gli esiti delle politiche finora poste in essere dall’Unione Europea, valutandoli pragmaticamente. Negli ultimi dieci anni le aziende agricole sono diminuite del 24%, in Italia del 30%. Vuol dire che si sono fatti degli errori. La qualità del cibo che i nostri agricoltori garantiscono più di altri deve essere protetta, il reddito degli agricoltori va salvaguardato, non possiamo negare che tra il 2021-2022, dati Eurostat, abbiamo avuto una crescita dei costi di produzione del 22% e solo del 15% del valore. Nel tentativo di guardare all’ambiente solamente in Europa, si è perso di vista invece la necessità di garantire il primo tutore dell'ambiente che per noi resta l'agricoltore».Sostanzialmente Lollobrigida di fronte alle proteste che stanno paralizzando la Germania, la Francia (con esiti luttuosi purtroppo) i Balcani dice che gli agricoltori hanno ragione e che va archiviata la stagione di Frans Timmermans con il Farm to Fork unico strumento di politica agricola. Sul punto è intervenuto l’eurodeputatao Nicola Procaccini (FdI) co-presidente del gruppo Ecr al Parlamento europeo sottolineando: «Le priorità tracciate dal ministro Lollobrigida al Consiglio agricoltura a Bruxelles rappresentano elementi fondamentali per la nuova politica agricola della Ue e le sorti del settore agricolo. Da qui bisogna ripartire, cioè invertire le priorità: gli agricoltori devono essere considerati come fondamentali per lo sviluppo e la tutela di un settore nevralgico come quello agroalimentare. Fino a oggi, invece, una visione ideologizzata del settore agricolo da parte della Ue ha considerato gli agricoltori, così come i pescatori, quali nemici della natura e quindi penalizzati nella loro attività».
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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