A New York arriva il circo degli orrori: al Met gala donne lampadario e uomini con tacchi a spillo

All'annuale evento che si tiene al Metropolitan museum, i vip di Hollywood hanno mostrato il lato peggiore della moda. Harry Styles, ex One Direction, si presenta vestito da donna con tacchi e orecchino di perle, Lady Gaga sfila in mutande e calze a rete. Ma il peggiore è Jared Leto, il rocker attore si presenta sul red carpet con in braccio la riproduzione della sua testa.
Lo speciale contiene gallery fotografiche e approfondimenti sul gala.
Ogni anno le celebrities che si trovano a percorrere la scalinata che le porterà al party più esclusivo di New York devono superare - oltre ai flash dei fotografi - il terribile giudizio della critica che impietosa giudica gli abiti di alta moda. Ogni anno, il Met Gala ha un tema preciso che si rifà alla mostra aperta al pubblico nei mesi successivi e sono poche le star che con i loro abiti eccentrici riescono a rappresentare al meglio la corrente o il designer che si va a onorare durante quell'anno. Se durante il Met 2015 sono piovute critiche per i capi che più che omaggio facevano una parodia della moda cinese, e se soltanto l'anno scorso la paura di tappare di fronte a un tema delicato come quello dell'arte sacra ha fatto sfilare centinaia di personaggi in noiose vesti purpuree, il tema «camp» ha portato gli invitati a dare del loro meglio. O peggio.
Lady Gaga, organizzatrice dell'evento insieme ad Alessandro Michele (stilista Gucci), Harry Styles e la tennista Serena Williams, ha dato il via alle danze con una performance in cui ha cambiato abiti ben quattro volte (tutti firmati Brandon Maxwell), passando da un gonfio completo rosa shocking, a un più classico abito senza spalline nero (con un ombrello come accessorio), a un vestito super aderente che ricordava Barbie concludendo in completo intimo come una vera drag queen (gruppo che insieme agli omosessuali ha abbracciato il fenomeno «camp»). Il giudizio per la cantante è stato positivo, mentre per i look Gucci la giuria non è sempre stata clemente. Harry Styles, reduce del successo con la boy band One Direction, ha indossato orecchini di perle, smalto colorato sulle unghie, scarpe col tacco e una camicia in pizzo trasparente, in un inno al «gender fluid» che però non si sposa minimante con l'animo «camp» della serata. Il problema principale riscontrato sul tappeto rosso è uno: le celebrities si prendono troppo sul serio. Ogni passata di smalto e ogni ombretto indossato da un individuo di sesso maschile vuole essere una dimostrazione di qualche tipo, piuttosto che un modo di saper giocare con la moda senza prendersi troppo sul serio. Jared Leto, anche lui in Gucci, con un plastico della sua testa tra le mani ha sicuramente sperato di catturare qualche scatto in più dei suoi coetanei, ma come per tanti altri il suo completo non ha fatto che sollevare qualche sopracciglio e fare qualche sbadiglio a chi delle famose teste mozzate ne aveva già avuto abbastanza. Billy Porter, celebre per aver indossato un abito durante la cerimonia degli Oscar si è presentato avvolto in oro su una portantina alla Cleopatra, mentre Katy Perry in Moschino si è agghindata da lampadario.
L'idea che «camp» fosse sinonimo di cartone animato Disney non è stata presa d'esempio solo dalla cantante che ha deciso di vestire i panni di Lumiere. Insieme a lei Zendaya si è travestita da Cenerentola - seguita dalla sua fata madrina - mentre Kylie e Kendall Jenner in Versace hanno fatto il verso alle sorellastre cattive. Kim Kardashian ha invece collaborato con uno degli stilisti «camp» per eccellenza Thierry Mugler, che dopo 20 anni è tornato a produrre abiti, facendola sfilare in una creazione in latex a effetto bagnato. Una seconda pelle che evidenzia ogni sua forma (chirurgicamente acquisita). Celine Dion ha portato un omaggio agli anni Venti, vincendo il red carpet anche solo per la sua personalità così «camp» da sempre. La rapper Cardi B ha invece cercato di prendere il posto di Rihanna, con un ampio abito rosso fatto di piume e paillettes.
Una gara al più ridicolo, osannata da critici ormai troppo abituati a elogiare anche i completi più assurdi. Siamo sicuri che quello messo in scena fosse il «camp» di Oscar Wilde o quello che abbiamo visto è solo un tentativo di essere «all'ultimo grido» a tutti i costi? L'importante, in entrambi i casi, è crederci.
Cosa significa essere «camp»?
L'esposizione di quest'anno al Metropolitan museum di New York prende il nome di Camp, Notes on fashion, riferendosi a un fenomeno nato nei primi del Novecento e andatosi poi a sviluppare ulteriormente negli anni Settanta e Ottanta. La prima descrizione che troviamo della parola «camp» si trova nel libro Passing English of the Victorian Era e legge: «Azioni e gesti di enfasi esagerata». Allo stesso modo, l'Oxford English Dictionary offre come sinonimi del termine «camp», «ostentato, esagerato, teatrale, effemminato o omosessuale». Ma è solo nel 1964, quando Susan Sontag pubblica un saggio - intitolato Notes of Camp proprio come l'attuale mostra - che si ha un vero e proprio riferimento da cui far partire le riflessioni sull'argomento. Il «camp» è per sua natura legato alla rivoluzione sessuale e all'omosessualità, infatti uno dei suoi principali esponenti è stato lo scrittore Oscar Wilde con il suo stile «dandy». Per comprendere il fenomeno, che in Italia ha trovato terreno fertile, è forse utile offrire esempi reali di ciò che nel tempo è stato classificato come «camp», dalla televisione al cinema, passando per la musica. Dallas, Dynasty e in generale le soap opera di origine americana rappresentano il giusto mix di cattivo gusto e ironia che caratterizza questo movimento. Così come lo sono pellicole come Hairspray e Burlesque. Una persona «camp» si presenta in maniera stravagante, spesso lontana dai canoni di bellezza del periodo, con forte sicurezza e autoironia. Per il cinema ne è esempio Elizabeth Taylor, così come Cher per la musica. Secondo Susan Sontag, il «camp» nella moda era rappresentato da «una donna che se ne andava in giro con indosso un vestito fatto di tre milioni di piume». Ma non è soltanto l'abito a rendere una persona «camp», tutto si va a basare sulla contrapposizione tra la ridicolaggine del vestito e l'attitudine di chi lo indossa. Ci vuole sicurezza per essere «camp», e così come diceva lo stilista Alexander McQueen: «Bisogna conoscere perfettamente le regole per saperle rompere».
Cos'è il Met Gala?
Il gala benefico per il Metropolitan museum di New York nasce nel 1948 da un'idea dell'addetta stampa Eleanor Lambert.
L'evento, oltre a raccogliere fondi per l'ala dedicata alla moda, sancisce l'apertura di un'esposizione annuale. L'ingresso al primo gala costava 50 dollari e a partecipare l'evento erano principalmente addetti ai lavori e membri dell'alta società newyorkese. Il ballo inizia a guadagnare glamour quando la direttrice di Vogue Diana Vreeland diventa consulente del Costume Institute nel 1972.
All'evento iniziano così a partecipare anche le celebrities. Oggi il Met Gala è patrocinato da Anna Wintour (con la partecipazione di stilisti e celebrities diversi ogni anno) e porta al museo newyorkese un guadagno di oltre 200 milioni ogni anno.
Un biglietto per partecipare alla serata costa 30.000 dollari e la lista degli invitati si aggira attorno alle 700 persone.
Dyson
Effetto bagnato perKim Kardashian West


























