2019-05-07
A New York arriva il circo degli orrori: al Met gala donne lampadario e uomini con tacchi a spillo
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All'annuale evento che si tiene al Metropolitan museum, i vip di Hollywood hanno mostrato il lato peggiore della moda. Harry Styles, ex One Direction, si presenta vestito da donna con tacchi e orecchino di perle, Lady Gaga sfila in mutande e calze a rete. Ma il peggiore è Jared Leto, il rocker attore si presenta sul red carpet con in braccio la riproduzione della sua testa. Lo speciale contiene gallery fotografiche e approfondimenti sul gala.Ogni anno le celebrities che si trovano a percorrere la scalinata che le porterà al party più esclusivo di New York devono superare - oltre ai flash dei fotografi - il terribile giudizio della critica che impietosa giudica gli abiti di alta moda. Ogni anno, il Met Gala ha un tema preciso che si rifà alla mostra aperta al pubblico nei mesi successivi e sono poche le star che con i loro abiti eccentrici riescono a rappresentare al meglio la corrente o il designer che si va a onorare durante quell'anno. Se durante il Met 2015 sono piovute critiche per i capi che più che omaggio facevano una parodia della moda cinese, e se soltanto l'anno scorso la paura di tappare di fronte a un tema delicato come quello dell'arte sacra ha fatto sfilare centinaia di personaggi in noiose vesti purpuree, il tema «camp» ha portato gli invitati a dare del loro meglio. O peggio. Lady Gaga, organizzatrice dell'evento insieme ad Alessandro Michele (stilista Gucci), Harry Styles e la tennista Serena Williams, ha dato il via alle danze con una performance in cui ha cambiato abiti ben quattro volte (tutti firmati Brandon Maxwell), passando da un gonfio completo rosa shocking, a un più classico abito senza spalline nero (con un ombrello come accessorio), a un vestito super aderente che ricordava Barbie concludendo in completo intimo come una vera drag queen (gruppo che insieme agli omosessuali ha abbracciato il fenomeno «camp»). Il giudizio per la cantante è stato positivo, mentre per i look Gucci la giuria non è sempre stata clemente. Harry Styles, reduce del successo con la boy band One Direction, ha indossato orecchini di perle, smalto colorato sulle unghie, scarpe col tacco e una camicia in pizzo trasparente, in un inno al «gender fluid» che però non si sposa minimante con l'animo «camp» della serata. Il problema principale riscontrato sul tappeto rosso è uno: le celebrities si prendono troppo sul serio. Ogni passata di smalto e ogni ombretto indossato da un individuo di sesso maschile vuole essere una dimostrazione di qualche tipo, piuttosto che un modo di saper giocare con la moda senza prendersi troppo sul serio. Jared Leto, anche lui in Gucci, con un plastico della sua testa tra le mani ha sicuramente sperato di catturare qualche scatto in più dei suoi coetanei, ma come per tanti altri il suo completo non ha fatto che sollevare qualche sopracciglio e fare qualche sbadiglio a chi delle famose teste mozzate ne aveva già avuto abbastanza. Billy Porter, celebre per aver indossato un abito durante la cerimonia degli Oscar si è presentato avvolto in oro su una portantina alla Cleopatra, mentre Katy Perry in Moschino si è agghindata da lampadario. L'idea che «camp» fosse sinonimo di cartone animato Disney non è stata presa d'esempio solo dalla cantante che ha deciso di vestire i panni di Lumiere. Insieme a lei Zendaya si è travestita da Cenerentola - seguita dalla sua fata madrina - mentre Kylie e Kendall Jenner in Versace hanno fatto il verso alle sorellastre cattive. Kim Kardashian ha invece collaborato con uno degli stilisti «camp» per eccellenza Thierry Mugler, che dopo 20 anni è tornato a produrre abiti, facendola sfilare in una creazione in latex a effetto bagnato. Una seconda pelle che evidenzia ogni sua forma (chirurgicamente acquisita). Celine Dion ha portato un omaggio agli anni Venti, vincendo il red carpet anche solo per la sua personalità così «camp» da sempre. La rapper Cardi B ha invece cercato di prendere il posto di Rihanna, con un ampio abito rosso fatto di piume e paillettes. Una gara al più ridicolo, osannata da critici ormai troppo abituati a elogiare anche i completi più assurdi. Siamo sicuri che quello messo in scena fosse il «camp» di Oscar Wilde o quello che abbiamo visto è solo un tentativo di essere «all'ultimo grido» a tutti i costi? L'importante, in entrambi i casi, è crederci.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.