
Gli studenti continuano a oltranza l’occupazione delle aule. Ma davanti agli abusi della biopolitica sono stati in silenzio.È stato il filosofo Byung-Chul Han a spiegare, in maniera piuttosto convincente, il motivo per cui oggi «non è possibile una rivoluzione» (in una raccolta di scritti che porta proprio questo titolo, appena pubblicata da Nottetempo). Non si formerà mai un grande movimento di massa capace di sovvertire l’attuale sistema nonostante le sue storture e i danni che produce all’umanità intera siano più che mai evidenti.Riecheggiando concetti che già affioravano negli scritti di Antonio Gramsci - il quale si scagliava contro gli «indifferenti» che alla fine risultano essere complici - Han sostiene che oggi i migliori alleati del sistema sono proprio coloro che lo subiscono. Siamo in presenza di una sorta di «autototalitarismo», come ebbe a definirlo Vaclav Havel. Un tempo, il dominio veniva imposto brutalmente, con la violenza. Ma «il sistema di dominio neoliberista è strutturato in maniera profondamente diversa. Il potere stabilizzante non è più repressivo, bensì seduttivo, e non è più così visibile come sotto il regime disciplinare». Secondo Han, oggi il potere si impone facendo leva sulla soddisfazione dei desideri. «Anziché renderle remissive, cerca di rendere le persone dipendenti».La stessa logica, dice il filosofo, vale anche per la questione della sorveglianza. Se un tempo – fino agli anni Ottanta – i censimenti suscitavano proteste e rifiuti, oggi sono quasi tutti disposti a fornire volontariamente i propri dati, a mettere a disposizione la propria intimità. «Oggi ci denudiamo volontariamente», chiosa Han.Dunque, prima di tutto, una rivoluzione non è possibile perché a una larga fetta della popolazione l’attuale regime piace. O comunque garantisce una soglia minima di soddisfazione dei desideri tale da sedare ogni sollevazione. «Nell’epoca odierna non esiste una moltitudine collaborativa e interconnessa in grado di elevarsi a protesta globale, a massa dedita alla rivoluzione», afferma Han. «È piuttosto la solitudine a caratterizzare l’attuale regime produttivo di isolati imprenditori di sé stessi». Ma a questa solitudine tanti di noi si sottomettono quasi volentieri, si piegano come se avessero introiettato il dominio: sono i padroni di sé stessi nel senso che si sfruttano da soli. Oppure, si potrebbe aggiungere, più semplicemente la maggioranza cede alla pigrizia, si adagia nella comodità e nella finta libertà offerta – ad esempio – dalla rivoluzione digitale. Si fa ammaliare dai mantra della propaganda globale del pensiero prevalente.Byung-Chul Han nel suo saggio cita uno scrittore americano che su questi temi ha molto ragionato e molto scritto. Si tratta di Dave Eggers, che al capitalismo di sorveglianza ha dedicato un romanzo di enorme successo intitolato The Circle, da cui è stato tratto un film forse non all’altezza. Il seguito di quel libro si intitola The Every, ed è appena uscito per Feltrinelli. Nella citazione di Erich Fromm che lo apre se ne intravede il contenuto profondo: «Non c’è anche, forse, oltre a un desiderio innato di libertà, un desiderio istintivo di sottomissione?». Nel sequel, Eggers s’aggira proprio attorno al tema della sottomissione felice. Mette in scena una eroina, Delaney Wells (cognome non casuale), che si infiltra all’interno di una gigantesca azienda tecnologica - chiamata appunto The Every – nel tentativo di distruggerla dall’interno. Le cose, manco a dirlo, non andranno esattamente come Delaney si aspettava, e dal fondo dei pensieri sorge una domanda amara: ma davvero qualcuno desidera una libertà che non sia possibilità di scelta infinita fra prodotti? Davvero qualcuno è disposto seriamente a scollarsi dal pensiero dominante per poi ritrovarsi ai margini? La risposta non è affatto scontata.E in effetti basta dare uno sguardo alla realtà che ci circonda per condividere il cupo realismo che caratterizza Han e (in minor quantità) Eggers. La vittoria del sistema dominante è talmente esorbitante che esso è riuscito a inglobare addirittura l’antagonismo, e ormai da tempo. Il triste spettacolo ancora in corso all’Università La Sapienza di Roma lo dimostra senza ombra di dubbio. Collettivi di sinistra stanno occupando la facoltà di Scienze politiche in nome dell’antifascismo e contro la polizia fascista e manganellatrice. Il preside della facoltà, Tito Marci, pare abbia addirittura concesso l’aula in cui i giovinastri hanno passato la notte (così è secondo La Stampa) e si è detto disposto a «individuare altri spazi se l’assemblea dovesse continuare». Sembra di assistere a una stanca rappresentazione di burattini. A Roma si consuma un rito incancrenito, pietoso. Professori che rimpiangono la gioventù barricadera si schierano con gli studenti sgrammaticati che ripetono gli stessi slogan di quarant’anni fa, parole surreali che aleggiano prive di significato nel vuoto pneumatico.Ecco il dissenso spettacolarizzato a incanalato a beneficio del potere. La recita dell’antifascismo è comoda, perché per parteciparvi non è richiesto alcuno sforzo: basta evitare di andare a lezione e farsi un paio di docce in meno. Le frasi ripetute a pappagallo sono esattamente quelle che rimbombano in ogni dove. Il nemico dichiarato è il fascista inesistente, bersaglio preconfezionato buono per attirare i tordi della protesta. I giornali battono sulla grancassa, e tutti quelli liberal si schierano con lo studentame. I politici progressisti cavalcano gli eventi, indignandosi a comando e puntando il ditone contro il neo insediato governo destrorso. Ovviamente, nessuno ricorda perché tutto è iniziato: gli attivisti sinistrorsi volevano tappare la bocca a Fabio Roscani di FdI e Daniele Capezzone, invitati a un convegno presso la facoltà. Così i censori e gli intolleranti divengono vittime, ed è piuttosto noto che la vittima sia l’eroe della nostra era.Urlo dopo urlo, occupazione dopo occupazione, si perde tempo, il polverone si alza e l’attenzione viene distratta dai problemi più gravosi. Soprattutto, lo sguardo viene allontanato per l’ennesima volta dal vero autoritarismo in ascesa, un regime di cui gli studenti – indolenti prigionieri volontari – non riescono a intuire i tratti, a cui non possono opporsi perché non hanno gli strumenti culturali necessari e non posseggono sufficiente capacità di critica, imbevuti come sono di propaganda.Berciano contro il fascismo, come no. Però si sono fatti rinchiudere in casa dai lockdown, si sono fatti imporre un mortifero sistema di sorveglianza chiamato green pass senza fiatare. Peggio: si sono trasformati nei più zelanti servi del sistema perché – credendo di contestarlo – s’avventano bellicosi contro i suoi oppositori, vogliono metterli a tacere col marchio d’infamia.Il capitalismo di sorveglianza guadagna terreno, la rivoluzione green dei fondi d’investimento disegna scenari distopici, il totalitarismo digitale si fa sempre più pervasivo. E le nuove generazioni che fanno? Se ne vanno a caccia di fascisti inesistenti. I giovani della Sapienza si sentono rivoluzionari, ma sono collaborazionisti.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






