2025-05-27
Messina invita all’ecumenismo su Generali
Lando Maria Sileoni (Imagoeconomica)
Il ceo di Intesa: «Se Unicredit volesse scalare il Leone, direi ad Andrea Orcel di fermarsi. Golden power? Il risparmio è sicurezza nazionale». Giuseppe Castagna gelido su Gae Aulenti: «Per Bpm bisogna offrire un prezzo giusto». Carlo Cimbri: «Ops su Pop Sondrio operazione semplice».Nel salone affollato del del 129° Consiglio nazionale della Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, più che un confronto tra colleghi è andato in scena un vero e proprio vertice tra banchieri di gran blasone. A fare da cerimoniere Lando Maria Sileoni, storico segretario del sindacato che ha fatto del confronto e del dialogo la cifra del suo intervento «Dobbiamo difendere le nostre banche, anche quelle banche che non hanno un’anima italiana ma manager italiani, con lavoratori italiani che vanno tutelati», ha detto. E non sono mancate né le stoccate, né le rivelazioni. A parlare, tra gli altri, Carlo Messina (Intesa Sanpaolo), Giuseppe Castagna (Banco Bpm), Luigi Lovaglio (Mps) e Carlo Cimbri, presidente di Unipol, grande azionista di Bper e di Banca popolare di Sondrio. L’istituto modenese oggi lancerà l’Ops su quello valtellinese. «L’operazione più semplice sul mercato» e dal chiaro «senso industriale», ha dichiarato Cimbri. Per tutti un unico grande palcoscenico: quello del risiko bancario che agita la finanza italiana.Carlo Messina preferisce restare alla finestra. Invita alla prudenza. Parlando dell’ipotesi di una scalata di Unicredit a Generali, con il sorriso ha spiegato che se mai dovesse accadere «la prima cosa che farei sarebbe chiamare Andrea Orcel per dirgli: fermati». Non un ultimatum, ma un invito alla cautela, dettato - spiega - dal fatto che l’amministratore delegato di Unicredit ha già due operazioni in corso come Commerzbank e Banco Bpm. Troppa carne al fuoco.Messina ci tiene a chiamarsi fuori: «In termini di riserve tecniche, siamo già più grandi di Generali. Le implicazioni antitrust non possono essere ignorate. Farei da spettatore anche in quel caso». E poi c’è il tema del golden power. Messina non lo evita, anzi: «Le questioni che riguardano il risparmio sono elementi di sicurezza nazionale. E io mi stupisco che le decisioni siano arrivate solo adesso». In un mondo che cambia - tra guerre, transizioni energetiche e ritorni d’orgoglio industriale - il golden power diventa quasi una necessità costituzionale: «Noi abbiamo 1.400 miliardi di risparmio degli italiani. Davvero possiamo pensare che sia gestibile senza paletti?», si chiede Messina.Il quadro è chiaro: Intesa resta fuori dal risiko, forte della sua posizione dominante e dei conti solidissimi. E in questo scenario, ha appena annunciato un’operazione che parla chiaro: buyback da 2 miliardi di euro, via dal 2 giugno al 24 ottobre 2025, per un massimo di 1 miliardo di azioni da annullare. Una scelta da leader di sistema: niente guerre, ma più ricchezza da distribuire agli azionisti. Dall’altro lato del campo c’è Giuseppe Castagna, ad di Banco Bpm che invece del risiko è gran protagonista. Come predatore per l’Opa di Anima. Come preda essendo oggetto dell’Ops di Unicredit. Un’operazione zoppa: «Il prezzo non soddisfa gli azionisti. Chi vuole comprarci deve offrire un prezzo giusto». E poi una stoccata: «Banco Bpm lavora al 100% in Italia, Unicredit ha il 35% degli impieghi nel Paese e in calo. Le differenze sono chiare». Ma è sul tema del golden power che Castagna trova la sua battaglia: «Non è né astruso né inatteso ciò che il governo ha chiesto. Il golden power è uno strumento del governo. E lo accettiamo come si accettano le decisioni della Bce, anche quando non ci piacciono». E rincara: «Unicredit ha un problema in Russia da anni. Non mi sorprende che ci siano preoccupazioni». Tradotto: tra equilibri geopolitici e sovranità economica, il golden power serve eccome. A dare un tono strategico al dibattito ci pensa Luigi Lovaglio, ad di Mps. «Se il tassello Mediobanca andasse al suo posto, tutto sarebbe pronto per un disegno più ambizioso. Magari l’unione con Banco Bpm per dar vita al famoso terzo polo bancario. Messina chiude il cerchio con una visione geopolitica del risiko italiano: «Non vedo grande valore in quel che sta accadendo. Le operazioni sono ostili e rischiano di danneggiare l’immagine del Paese. Meglio chiudere la fase della dialettica e dell’incertezza». Il rischio? Che tutto sia solo una corsa contro il tempo: «Nel 2026 nessuno farà più i risultati che ha fatto nel 2024 e nel 2025. Chi oggi fa M&A, lo fa perché sa che la festa finirà». Infine, un consiglio da investitore: «Se un titolo incorpora un premio per sinergie ancora tutte da dimostrare, io da risparmiatore ci penserei due volte». Messina non la manda a dire, nemmeno alla Borsa.In sostanza dal palco della Fabi non sono arrivate dichiarazioni di guerra, ma una mappa molto precisa del campo di battaglia. I grandi gruppi si osservano, si misurano, si studiano. Ma il messaggio più chiaro lo manda proprio Messina: le banche non sono solo numeri e bilanci, ma pezzi della ricchezza nazionale. E come tali vanno trattate. Anche - e forse soprattutto - quando si parla di fusioni.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)