Sensibilissimi al fascino dei petrol dollari, dopo CR7 all’Al Nassr, anche Leo si accasa con i rivali sauditi dell’Al Hilal. Contratto biennale stratosferico da 1 miliardo. Due pensionati che non riescono a rassegnarsi all’anagrafe e ancora si cercano e si sfidano.
Sensibilissimi al fascino dei petrol dollari, dopo CR7 all’Al Nassr, anche Leo si accasa con i rivali sauditi dell’Al Hilal. Contratto biennale stratosferico da 1 miliardo. Due pensionati che non riescono a rassegnarsi all’anagrafe e ancora si cercano e si sfidano.Un derby da spiaggia. Per giocarlo, Leo Messi raggiungerà Cristiano Ronaldo in Arabia Saudita alla modica cifra di 500 milioni di euro all’anno con i bonus (così spiffera la France Presse, anche se papà Jorge Messi, che cura gli interessi del figlio, smentisce decisamente). Anche per lui è pronta una reggia a Riyad, però dall’altra parte del Kingdom Centre: avrebbe firmato il contratto con l’Al-Hilal, pronto a incrociare i tacchetti dalla prossima stagione con l’Al-Nassr del fuoriclasse portoghese già ambientato nel regno fra le dune. Così i nonni del dribbling - la Pulce compie 36 anni il mese prossimo, due in meno di CR7 - potranno perpetuare una leggenda tutta loro, fuori dalle direttrici del calcio che conta ma con la soddisfazione di far parlare di sé, della propria opulenza, di qualche gol facile, della luce riflessa nello specchio dell’altro, fino a quando sulle loro interminabili carriere farà buio.L’uscita di scena del campione del mondo argentino dal Paris Saint Germain era nell’aria già lo scorso anno: un impatto modesto, la chimera Champions league, la mai sbocciata sintonia con parte della squadra avevano raffreddato gli entusiasmi dei proprietari qatarioti del club. Una volta evaporati gli entusiasmi per il mondiale di Doha, Messi era solo un soprammobile costosissimo all’ombra della Tour Eiffel, peraltro diventato col tempo pure capriccioso. In scadenza di contratto, recentemente era stato messo fuori squadra per un viaggio in Arabia senza autorizzazione (oggi se ne comprende il motivo), poi perdonato perché ha chiesto scusa. Negli ultimi mesi le banche argentine stavano realizzando un trust per provare a riportarlo a casa, ma «Dolar Messi» (a Buenos Aires sulle banconote da 10 pesos c’e la sua faccia) non dev’essere alla loro portata. Anche il Barcellona sembrava intenzionato ad affondare il colpo per consentire a Leo di chiudere la carriera sulle Ramblas, ma per liberare 35 milioni di euro a stagione l’indebitatissima società catalana avrebbe dovuto azzerare ogni altro investimento. Ne valeva la pena? No. In nessun luogo del mondo, tranne che in Arabia Saudita dove principi e sceicchi sognano il derby nel deserto fra i due highlander con la sciatica. Con un eufemismo, il presidente dell’Al-Hilal non ha problemi di liquidità: è Nawaf bin Faysal Al Saud, membro della famiglia reale, già leader del Cio d’Arabia e noto per aver boicottato l’Adidas, rea di avere sponsorizzato la maratona di Gerusalemme. Può permettersi di offrire a Messi il doppio di quanto il magnate Musalli Al-Muammar, numero uno dell’Al-Nassr, paga Cristiano Ronaldo. Sembrava che 200 milioni l’anno (23.000 euro l’ora) fossero inarrivabili ma si sa che i record sono fatti per essere battuti e noi non siamo di sicuro quelli dell’invidia sociale. Al di là della rivalità fra i due top club di Riyad (il terzo è l’Al-Shabab che per ora può lucidare solo la figurina dell’ex interista Ever Banega) c’è un motivo di interesse nazionale per questa Reunion da Jethro Tull settantenni: l’Arabia si candida a ottenere i Mondiali del 2030 e ritiene di poter contare su testimonial planetari di sicuro effetto mediatico. Messi e Ronaldo di nuovo nella stessa foto. Si sono cercati, si sono sfidati, si sono tollerati per tutta la vita, hanno caratterizzato la generazione Playstation, ci hanno sfiniti con i goal e palloni d’oro ad anni quasi alterni (7 a 5). Adesso tornano a guardarsi negli occhi. Il primo, simbolo del genio naturale senza parastinchi, tutto accelerazioni e libertà, malinconie e colpi di tacco. Il secondo, fenomeno di potenza pura applicata alla classe non innata, ma allenata come se fosse un tiro a giro. Il primo John McEnroe senza l’isteria del ricco newyorchese, il secondo tutta la vita Bjorn Borg. Entrambi - Messi e Ronaldo - protagonisti di una diarchia «non oppositiva ma cooperativa», nel senso che hanno dominato insieme (l’uno con la regalità spirituale, l’altro con l’espressione della forza) moltiplicando l’impatto e anche il valore del contratto. Ora sono costretti a farsi più in là, a trascinarsi fra massaggiatori e integratori per combattere la clessidra del tempo, mentre il pallone degli dèi rotola docile fra i piedi di Erling Haaland, Kylian Mbappè, Kevin De Bruyne, Karim Benzema (che pure non è un virgulto).Rimane singolare la parabola etica del campione argentino, simbolo per 15 anni della (molto presunta) società capofila del calcio dei diritti umani - Barcellona mes que un club, Unicef, Pep Guardiola, melassa Ong -, poi fiore all’occhiello dell’aggressività qatariota nella Parigi multicult ed ora in procinto di sbarcare dai rivali arabi. Dove, per dire, le donne non possono viaggiare, lavorare, accedere all’istruzione superiore o sposarsi senza il consenso di un tutore maschile. Vicende molto lontane da uno stop di petto e da quelle accelerazioni in slalom che Messi dovrà esibire per battere CR7 nel derby d’Arabia. Ad allenare la pulce atomica sarà il connazionale Ramon Diaz, puntero anni Novanta della Fiorentina e dell’Inter, mentre a creargli problemi tattici dalla panchina rivale ci sarà l’ex romanista Rudi Garcia. Finiremo per buttare un’occhiata, a quello strano derby senza adrenalina sugli spalti. Con lo sfondo magnificente del Kingdom Centre. E in primo piano due vecchi fenomeni che se la raccontano guardando il tramonto.
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