2025-02-25
Merz prova l’inciucio tra Cdu e Spd. Saltano i leader di Verdi e liberali
In Germania l’erede di Olaf Scholz promette un governo «entro Pasqua» ma sulle trattative pesano il nodo immigrazione e il vincolo del pareggio di bilancio. Il green Robert Habeck e Christian Lindner (Fdp) si dimettono dopo la batosta elettorale.La Germania ha votato. E ha emesso diverse sentenze. L’Unione cristiano-democratica, formata da Cdu e Csu, è tornata la prima forza del Paese. Il suo candidato, Friedrich Merz, sarà con ogni probabilità il decimo cancelliere nella storia della Repubblica federale tedesca. L’Unione ha vinto, sì, ma non ha convinto. Il suo consenso aggregato (28,6%), infatti, è tutt’altro che esaltante: l’obiettivo dichiarato di superare la soglia del 30% è stato fallito. Non a caso, si tratta del secondo peggior risultato dell’Unione dal 1949 a oggi. Basti pensare che la Cdu ha raccolto da sola il 22,6%, di poco sopra ai sovranisti dell’Afd (20,8%).I motivi di questa prestazione poco brillante sono presto detti. Innanzitutto, l’Unione viene ancora associata dall’elettorato all’era merkeliana, su cui pesa la folle apertura delle frontiere del 2015. In campagna elettorale, è vero, Merz ha più volte sconfessato l’operato di Angela Merkel, ma evidentemente non è bastato. Al di là dell’ombra lunga dell’ex cancelliera, non ha inciso la figura piuttosto scialba di Merz stesso: anzi, come confermato da numerosi sondaggi, il leader della Cdu non ha rappresentato alcun valore aggiunto per la coalizione che lo ha sostenuto.La fortuna, però, è venuta in soccorso dell’aspirante cancelliere. Per soli 13.500 voti, il Bsw di Sahra Wagenknecht si è fermato al 4,97%, mancando di un soffio la soglia di sbarramento del 5% e, quindi, l’accesso al Bundestag. Il tonfo dei populisti di sinistra ha così permesso a Merz di doversi alleare con un solo partito - anziché due - per formare una maggioranza parlamentare (seppur risicata). E questo partito sarà senz’altro la Spd, in una riedizione del «grande inciucio» di merkeliana memoria. Ciò significa che non ci sarà bisogno dei Verdi: circostanza che, ovviamente, avrebbe rallentato di parecchio i negoziati. Tant’è che, nella giornata di ieri, Merz (che ha ricevuto anche una telefonata da Giorgia Meloni che, secondo una nota di Palazzo Chigi, «ha confermato l’auspicio di poter ulteriormente intensificare le già eccellenti relazioni bilaterali ed espresso la disponibilità a lavorare sin da subito per rafforzare la sicurezza e rilanciare la competitività dell’Europa ed affrontare le numerose sfide comuni, a partire dal contrasto all’immigrazione irregolare») «ha fatto sapere che il suo obiettivo è annunciare il governo entro Pasqua, cioè tra meno di due mesi.Eppure, benché Merz si mostri più che fiducioso, non sarà semplice trattare con la Spd. Malconci e sfiduciati, i socialdemocratici hanno intenzione di porre alcuni paletti insormontabili: altrimenti, è chiaro, rischiano di sparire definitivamente. Già la sera delle elezioni, per esempio, Olaf Scholz ha dichiarato che la nuova politica migratoria - da stabilire con l’Unione - dovrà rimanere tassativamente all’interno del perimetro tracciato da Bruxelles: un bel problema, insomma. E, comunque, non è tutto oro ciò che luccica: rifondare la «grande coalizione» rossonera renderà sì più spedite le trattative ma, al contempo, non garantirà al governo i due terzi del Parlamento, fondamentali per far passare alcune riforme capitali. Tra queste, rientra senz’altro l’abolizione del «freno al debito», cioè l’emendamento al pareggio di bilancio inserito in Costituzione nel 2009. Se la Germania vuole uscire dall’attuale recessione economica, eliminare questo lascito dell’austerità merkeliana è di vitale importanza. Ieri, non a caso, Merz ha suggerito di abolire questo vincolo tramite il Parlamento ancora oggi in carica.L’altro vincitore delle elezioni di domenica è senza dubbio l’Afd. I sovranisti di Alice Weidel, con il loro 20,8%, hanno raddoppiato i consensi del 2021, consolidandosi come seconda forza del Paese. Per raggiungere questo traguardo storico, il partito blu è riuscito a drenare voti a tutto lo spettro politico: a farne le spese sono stati soprattutto Unione, Fdp e Spd. L’Afd, poi, si conferma una corazzata nell’Est, dove ha raccolto percentuali bulgare: spicca in particolare la Sassonia, dove i sovranisti hanno ottenuto il 42,9%. Anche all’Ovest, però, il partito ha offerto un’ottima prestazione. L’Afd, inoltre, è la formazione più votata dai lavoratori e dai disoccupati, mentre rimane di tendenza tra giovani e giovanissimi (pur dovendo condividere il primato con la Linke).Gli sconfitti di questa tornata, invece, sono soprattutto i partiti della coalizione semaforo: la Spd (16,4%) ha incassato il peggior risultato della sua storia, mentre i Verdi (11,6%) proseguono senza sosta la loro crisi di lungo periodo e, infine, i liberali della Fdp (4,3%) non sono neanche riusciti a entrare in Parlamento. Per tutti e tre, è una disfatta che ha già avuto conseguenze dirompenti: Scholz (Spd) ha subito dichiarato che non parteciperà alle trattative con l’Unione, Robert Habeck (Verdi) ha lasciato la guida del partito e Christian Lindner (Fdp) ha persino annunciato la fine della sua carriera politica. Le dimissioni degli ultimi due sono significative. Habeck, una star politica dall’ego ipertrofico, era diventato il simbolo della svolta green in salsa teutonica: oltre che per l’uomo, quindi, è un fallimento anche e soprattutto per le idee che ha sostenuto. Lindner, invece, era un fido alleato di Emmanuel Macron nelle stanze di Bruxelles: non una buona notizia per l’Eliseo.Oltre ai liberali, come detto, non ha superato la soglia di sbarramento - seppur di poco - neanche la Wagenknecht. Un risultato sorprendente, a cui fa da contraltare l’ottima prova della Linke (8,8%), il partito da cui la Wagenknecht era fuoruscita e che sembrava destinato a morte certa: la leader dell’estrema sinistra, Heidi Reichinnek, ha ribaltato i pronostici con un programma radicale e una vincente campagna social su TikTok, campo in cui ha conteso il primato all’Afd.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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