Da inizio anno sono complessivamente cresciuti del 18%, ma con grandi differenze: bene India e Cina, male America Latina e Corea del Sud. Influiscono il dollaro forte e le promesse di Trump di altre sanzioni.I mercati emergenti hanno mostrato un andamento positivo complessivo del 18% dall’inizio dell’anno, ma l’andamento al loro interno è stato molto diversificato. Mentre Paesi come India e Cina hanno visto una crescita significativa, altri mercati, come quelli dell’America Latina e della Corea del Sud, hanno registrato performance negative. Del resto, definire alcuni di questi Paesi come «emergenti» può sembrare riduttivo. Ad esempio, la Corea del Sud e Taiwan possono contare su cittadini più benestanti di quelli di alcune nazioni sviluppate come il Portogallo e la Grecia e ospitano aziende di alta tecnologia di punta come Taiwan semiconductor manufacturing co. e Samsung electronics, supportate da una forza lavoro istruita e infrastrutture eccellenti. Recentemente, poi, i tagli dei tassi di interesse della Federal reserve hanno favorito i mercati emergenti di Cina e India, ciascuno con motivazioni specifiche. In Cina, le politiche di supporto del Partito comunista hanno animato il rally delle azioni. In India, la continuità governativa sotto il primo ministro Narendra Modi ha stimolato la fiducia degli investitori sia locali sia internazionali. Al contrario, Brasile e Messico, pur avendo basse valutazioni sulla carta, affrontano incertezze politiche ed economiche. In Messico, l’elezione di Claudia Sheinbaum ha portato a un deprezzamento del peso e preoccupazioni su possibili modifiche costituzionali che potrebbero influenzare negativamente il clima economico. In Brasile, le interferenze politiche sotto Luiz Inácio Lula da Silva suscitano timori riguardo la stabilità futura del Paese.C’è poi da considerare il rafforzamento del dollaro, che aggiunge pressioni su molte economie emergenti. Nonostante le valutazioni apparentemente allettanti, con rendimenti inferiori al 4% annuo negli ultimi cinque anni, le azioni di questi mercati non si avvicinano ai rendimenti globali e statunitensi molto più elevati. Nel contesto complessivo, l’India si distingue per la forte attenzione da parte degli investitori, benché le sue valutazioni siano tra le più elevate a livello globale.Un ulteriore elemento di incertezza per molti Paesi emergenti è rappresentato dalle politiche sui dazi proposte da Donald Trump durante la sua recente campagna elettorale. Se attuate, queste politiche potrebbero avere un impatto negativo significativo su diverse economie emergenti, che spesso dipendono in larga misura dalle esportazioni verso gli Stati Uniti. Trump ha minacciato di applicare dazi più severi su vari paesi, tra cui Cina e Messico, creando un clima di preoccupazione tra gli investitori che temono ripercussioni sul commercio internazionale e il deterioramento delle relazioni economiche. Queste misure, se implementate, potrebbero ulteriormente rallentare la crescita nei mercati emergenti e compromettere la loro stabilità economica nel lungo termine.«Tra le aziende cinesi, un ruolo di spicco è sicuramente occupato da Meituan e Alibaba, che operano nel settore delle consegne, e che hanno registrato guadagni rispettivamente del 46,2% e del 35,6%», fa sapere Kevin Carter, ad di Emqq global e partner di Hanetf. «Attualmente, Soldiexpert, adotta un approccio cauto, sottovalutando i mercati emergenti, con un focus specifico sugli emergenti asiatici», fa sapere Salvatore Gaziano, direttore investimenti della società di consulenza indipendente. «Le azioni dei mercati emergenti sono rimaste indietro rispetto a quelle dei mercati sviluppati per gran parte dell’ultimo decennio», spiega alla Verità Sammy Suzuki, responsabile azionario dei mercati emergenti di AllianceBernstein. «A nostro avviso, tuttavia, alcune tendenze sembrano più promettenti di quanto si possa intendere: le revisioni degli utili per le azioni di questi mercati stanno infatti iniziando a migliorare, in particolare nei titoli tech e nei beni di consumo discrezionali. In linea generale, continuiamo a ritenere che quest’anno sia opportuno adottare un approccio multi asset quando si investe nei mercati in via di sviluppo».
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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