2025-09-24
«Ok a Palestina con ostaggi liberi e Hamas via»
Il premier Meloni annuncia una mozione per il riconoscimento dello Stato subordinando, però, il disco verde a due condizioni e auspica: «Spero nel consenso dell’opposizione». Ma Conte sbraita: «È solo una trovata». Salvini duro: «Nazione inesistente».Arriva a New York con una «credenziale» che persino Emmanuel Macron, appiedato dal corteo presidenziale di Donald Trump, le invidia. Proprio i francesi dell’Express (settimanale della gauche caviar) l’hanno incoronata come «la donna forte d’Europa» e Giorgia Meloni questo è venuta a fare e a dire all’assemblea generale dell’Onu. Ha ribadito: no al riconoscimento dello Stato palestinese, non prima che siano liberati gli ostaggi, non prima che Hamas si sia ritirato.Tuttavia, ha detto che è pronta a presentare una mozione che ponga come soluzione finale del conflitto israelo-palestinese il riconoscimento di due Stati. Ne ha avute anche per Bruxelles che insegue ancora la chimera del Green deal, oltre a concordare con il presidente Usa sia sulla necessità di bloccare l’immigrazione clandestina, sia su quella di rivedere funzionamento e ordinamento degli organismi multilaterali. È una Meloni che si pone al centro delle relazioni internazionali e che interpreta il ruolo di perno dell’Europa. L’opposizione nostra, casereccia nei modi, ma niente affatto casalinga rispetto agli interessi italiani, si è impalcata: «Ma come? Non è andata all’alta Conferenza sulla Palestina convocata da Macron e diretta dall’Arabia Saudita? Così ci esclude dai Paesi civili». Ora sarebbe facile notare che il presidente francese anticipa tutti sul riconoscimento della Palestina perché spera di nascondere sotto il tappeto di Gaza la polvere delle difficoltà interne, ma l’Italia a quell’appuntamento c’era; rappresentata dal ministro degli Esteri (e vicepremier) Antonio Tajani che ha ripetuto una posizione arcinota: siamo per i due popoli e i due Stati. Solo che c’è un piccolo particolare, lo Stato palestinese non c’è e oggi riconoscerlo è fare un regalo ad Hamas: si fermino le bombe su Gaza, ma Hamas liberi gli ostaggi.Il problema del campo largo è che in politica estera Elly Schlein e Giuseppe Conte pensano cose opposte (evidentissima la frattura sull’Ucraina e sul riarmo europeo) e cercano di nascondere le divisioni dietro il mainstream palestinese. Il capo dei 5 stelle, in serata, prova a smarcarsi: «Quella di Meloni sul riconoscimento della Palestina è una trovata, resta l’ignavia del governo». La Schlein è rimasta un po’ indietro e ribadisce: «Inaccettabile che la Meloni all’Onu non abbia detto la posizione del governo». Ma si trovano di fronte un centrodestra coeso come non mai. Ieri in serata,Matteo Salvini, vicepremier e segretario della Lega, ha ribadito: «La Palestina è uno Stato inesistente». E sul pratone di Pontida, domenica, aveva scandito: «È una giusta prospettiva quella di due popoli e due Stati, ma riconoscere oggi la Palestina sarebbe un errore, significa riconoscere autorevolezza ai terroristi di Hamas». Con questa compattezza Giorgia Meloni ha potuto ribadire quello che da sempre è stato il suo pensiero e che è quello di tutto il governo. Ha anticipato, prima di giungere al Palazzo di vetro: «Presenteremo una mozione per il riconoscimento della Palestina, ma con il rilascio degli ostaggi e l’espulsione di Hamas dalla striscia di Gaza». Su questo punto il presidente americano Donald Trump è stato ancora più duro, come durissimo è stato sul Green deal. Tutti provano a sostenere la tesi che Trump è sotto schiaffo da Bibi Netanyahu visto che nel consiglio permanente di sicurezza Onu gli Usa sono i soli rimasti a non voler riconoscere lo stato palestinese (Cina e Russia lo fanno per opportunismo diplomatico, Francia e Uk per difficoltà interne dei loro leader e per la fortissima pressione che la componente islamica fa sui governi) e si accusano Italia e Germania di accodarsi pedissequamente. Giorgia Meloni ha chiarito che le cose non stanno così anche se, sul Green deal, ha dato ragione a Trump. Il presidente del Consiglio ha affermato con forza: «Io non sono contraria al riconoscimento della Palestina, però dobbiamo darci le priorità giuste. Penso che un’iniziativa del genere possa trovare, spero, anche il consenso dell’opposizione; di certo non trova il consenso di Hamas, non trova magari il consenso da parte diciamo degli estremisti islamisti, ma dovrebbe trovare consenso nelle persone di buon senso. Liberino gli ostaggi e i terroristi di Hamas si ritirino: la principale pressione politica va fatta nei confronti di Hamas, perché è Hamas che iniziato questa guerra ed è Hamas che impedisce che la guerra finisca rifiutandosi di consegnare ostaggi». Del resto, anche Abu Mazen - presidente dell’Autorità palestinese - ha chiesto la liberazione degli ostaggi israeliani e il disarmo dei terroristi. A spronare Giorgia Meloni ad approfondire la sua analisi sul contesto internazionale è stato sicuramente Donald Trump che, nel suo discorso, ha affrontato con dura chiarezza tanto il tema dell’immigrazione illegale che lui intende combattere in ogni modo, quanto il Green deal. Il presidente americano ha insistito molto sull’urgenza di rendere efficienti gli «organismi multilaterali» con una dura frecciata nei confronti dell’Onu e dello stesso António Guterres, il segretario generale delle Nazioni unite, che guida un’assemblea dove i Paesi antioccidentali sono ormai la maggioranza.Commentando queste dichiarazioni, Giorgia Meloni ha affermato: «Ci sono dei passaggi del discorso del presidente Trump che ho assolutamente condiviso. Sono d’accordo con lui nel sostenere che un approccio ideologico al Green deal quale quello che si è avuto in Europa abbia finito per minare la competitività dei nostri sistemi». Il nostro premier, conversando con i giornalisti a margine dell’ottantesima assemblea generale dell’Onu, ha poi preso in esame anche le affermazioni del presidente statunitense sui migranti affermando che, oltre a quelle sul clima, «condivido buona parte delle cose dette da Trump sui migranti, in particolare concordo con Trump sul fatto che gli organismi multilaterali, per lavorare bene e migliorare il proprio ruolo nel contesto in cui ci troviamo, debbano sapere rivedere ciò che non funziona».
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