2023-03-16
Meloni: «O il Mes cambia o niente ratifica»
Giorgia Meloni (Getty Images)
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «Finché ci sarà un governo guidato dalla sottoscritta non vi si accederà». E utilizza la sponda di Confindustria che aveva aperto a una modifica affinché «i miliardi depositati» servissero per fare una politica industriale.Il premier Giorgia Meloni al congresso del sindacato di Maurizio Landini. La Fiom annuncia: lasceremo la sala.Lo speciale contiene due articoli. L’Italia non ha alcuna intenzione di ratificare la riforma del Mes, né di utilizzarlo: Giorgia Meloni alla Camera, nel corso del question time, spazza via ogni dubbio su una questione delicata quanto importante per il nostro Paese. La riforma del Meccanismo europeo di stabilità, ricordiamolo, per entrare in vigore deve essere ratificata in sede parlamentare da tutti gli Stati membri della Ue: manca ancora il via libera dell’Italia, le pressioni sono tante, ma la Meloni dimostra di voler resistere e, con la sponda di Confindustria, utilizza una strategia raffinata, basata sul principio del «non diciamo no a prescindere, ma chiediamo cambiamenti in senso migliorativo». La riforma del Mes, così concepita, ricordiamolo, è un trappolone per i Paesi come l’Italia, che hanno un debito pubblico molto alto, e che rischierebbero una stretta molto forte sulle proprie manovre finanziarie da parte della Ue, una sorta di commissariamento economico. Non solo: il nuovo Mes potrebbe essere utilizzato anche per salvare le banche in crisi, ma solo quelle dei paesi che hanno una buona sostenibilità del debito: in pratica, l’Italia potrebbe essere chiamata a versare decine di miliardi di euro che però non potrebbe utilizzare in caso di un eventuale crac di un nostro istituto bancario.Rispondendo all’interrogazione del deputato del terzo polo Luigi Marattin sul Mes, la Meloni mette le cose in chiaro: «In riferimento alla ratifica della riforma del Mes», argomenta Giorgia Meloni a Montecitorio, «farei mezzo passo indietro: nonostante l’accordo modificativo sottoscritto dall’Italia risalga a gennaio 2021, non è stato mai portato a ratifica. Questo offre una diapositiva su quanto la materia necessiti di un approfondimento. Gli strumenti sono strumenti e si giudicano in quanto tali, in relazione alla loro efficacia e alla loro efficacia in un determinato contesto. È la ragione», aggiunge il premier, «per cui questo governo ha ricevuto lo scorso novembre dal parlamento il mandato non ad aspettare la Germania, ma a non ratificare la riforma in assenza di un quadro chiaro dell’impianto regolatorio non solo in materia di governance e non solo in materia di stabilità ma in materia bancaria».Dunque, non solo niente accesso al Mes, ma pure niente ratifica: «Da più di un decennio», ricostruisce la Meloni, «si dibatte della natura del Mes, che ha esercitato la sua funzione pochissime volte sebbene abbia una dotazione finanziaria molto importante. L’Italia, certo, finché ci sarà un governo guidato dalla sottoscritta non potrà mai accedere al Mes, ma temo che non accedano neppure gli altri, come nessuno lo ha usato nemmeno durante la pandemia, nonostante una linea di credito con condizionalità inferiori a quelle di partenza. Quando è stato istituito aveva condizioni molto stringenti perché aveva una linea austeritaria che tutti rivendicavano e sulla quale molti si sono dovuti ricredere perché purtroppo ha colpito soprattutto chi era in maggiore difficoltà. Ha senso continuare a ragionare», sottolinea il presidente del Consiglio, «di uno strumento che così configurato non verrà ragionevolmente utilizzato benché vi siano diversi miliardi che ogni Stato deposita nel fondo? Sarebbe sensato interrogarsi sullo strumento. Ho letto una intervista di Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria, storicamente un sostenitore del Mes, che ipotizza di usarlo come uno strumento di politica industriale europea. Il tema è esattamente questo: l’Europa potrà affrontare le sfide future se riesce a fare sistema proiettandosi verso una politica di sviluppo comune e la proposta di Confindustria viene presa seriamente in considerazione da questo governo. Noi», dice ancora la Meloni, «vogliamo discutere della governance europea e della possibilità che le risorse destinate al salva-Stati possano essere davvero utili agli Stati che aderiscano».Le parole di Bonomi erano state altrettanto chiare: «Se Giorgia Meloni vuole fare una battaglia per la trasformazione del Mes un fondo per la competitività europea», aveva detto il leader degli industriali, «Confindustria c’è. Se il problema è che il Mes non è più consono agli obiettivi che ci siamo dati, andiamo in Europa a cambiarlo».Curiosità anche per il primo «duello» tra la Meloni e Elly Schlein da quando la nuova segretaria del Pd si è insediata. Dai toni si percepisce che tra le due c’è rispetto personale, oltre che istituzionale: «C’è un dramma di questo Paese», dice la Schlein illustrando la sua interrogazione, «di cui non vi sentiamo parlare mai. La precarietà e il lavoro povero. Occorre fissare per legge un salario minimo perché sotto una certa soglia non si può chiamare lavoro, ma sfruttamento. Mi stupisce che non vediate il nesso tra la crisi della natalità e la precarietà in cui versano moltissime donne. Questo», aggiunge la Schlein, «mi spinge a chiederle: perché non approviamo subito un congedo paritario pienamente retribuito e non trasferibile di almeno tre mesi?». «Sui congedi parentali», risponde la Meloni, «sono sempre disponibile a confrontarmi e a discutere. è una delle nostre priorità. Ma il governo non è convinto che per fronteggiare il fenomeno lavoro povero la soluzione sia quella di un salario minimo legale. Penso», ha concluso, «che sarebbe molto più efficace estendere la contrattazione collettiva e tagliare le tasse sul lavoro».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meloni-mes-cambia-o-niente-2659605064.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-numeri-dellistat-smentiscono-le-bandierine-della-cgil-sul-lavoro" data-post-id="2659605064" data-published-at="1678956705" data-use-pagination="False"> I numeri dell’Istat smentiscono le bandierine della Cgil sul lavoro Che in Italia ci sia una questione di quantità e qualità del lavoro, lo dicono i numeri e nessuna partito si permette di metterlo in dubbio. È sul modo in cui il problema va affrontato che si spalancano le praterie delle diverse posizioni della politica che con ogni probabilità saranno oggetto della discussione del - per tanti versi storico - intervento del premier Giorgia Meloni al congresso della Cgil. L’appuntamento è a Rimini per venerdì 17 marzo, a 27 anni di distanza dall’ultima presenza di un presidente del Consiglio sul palco del più grande e «rosso» sindacato italiano. E alla faccia del galateo, c’è chi - leggi Fiom, i metalmeccanici della Cgil - ha già fatto sapere che all’annuncio del nome della Meloni lascerà la sala. «Sono molto seccata per l’invito», ha detto Eliana Como, dirigente che fa parte del direttivo della sigla. Con o senza Fiom, la Meloni si confronterà su alcuni dei cavalli di battaglia di Landini e compagni: salario minimo, contratti a termine e reddito di cittadinanza saranno di certo al centro del dibattito.Bandierine che la Cgil è solita sventolare per dire che è così che si difende il lavoro. Peccato che i numeri sostengano cose diverse sia sulla rappresentatività che sui temi specifici. Partendo dal merito, ieri l’Istat ha pubblicato gli ultimi dati sul lavoro: l’occupazione sale, ma calano le retribuzioni che perdono potere d’acquisto anche a causa della crescita dell’inflazione che per alcuni prodotti di largo consumo è stata a doppia cifra. Per intendersi: mentre le retribuzioni lorde crescevano intorno all’1%, i prezzi aumentavano dell’8%. Come detto, c’è più lavoro. Ma di che tipo di lavoro stiamo parlando? Nel 2022 i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti di 346.000 unità, mentre quelli a termine hanno segnato un aumento di 147.000 posizioni. Insomma, c’è meno meno lavoro precario e più occupazione stabile. Eppure di fronte a questa fotografia le soluzioni della Cgil restano sempre le stesse: salario minimo - che alla fine riguarderebbe uno sparuto numero di lavoratori, visto che più del 90% dei dipendenti oggi è coperto dalla contrattazione collettiva -, meno lavoro a termine - che secondo i numeri dell’Istat è già in diminuzione rispetto all’incremento degli indeterminati e che comunque applicato con equilibrio garantisce una giusta dose di flessibilità all’occupazione, quella flessibilità che può rappresentare un volano per la crescita degli stipendi -, e altri sussidi che vadano a sostituire il reddito di cittadinanza.Bandierine appunto. Buone per portare migliaia di persone in piazza e strappare ospitate in tv, ma che poi ti fanno perdere rappresentanza in molte delle fabbriche - dall’ex Ilva, per arrivare fino ai vari siti Stellantis, a Hitachi e in parte a Fincantieri - dove la questione del lavoro è affrontata davvero.
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.