
Il premier a Kiev con Volodymyr Zelensky e Ursula Von der Leyen. Il francese «sequestrato» dalle proteste non partecipa al vertice dei grandi.Fermo sostegno all’Ucraina. È questo, in estrema sintesi, il succo del primo vertice del G7, presieduto da Giorgia Meloni. Il summit, tenutosi ieri in videoconferenza, si è svolto in una data particolarmente simbolica, a due anni esatti cioè dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Per l’occasione, il presidente del Consiglio si è recato a Kiev, accompagnato dal presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, dal primo ministro belga, Alexander De Croo, e da quello canadese, Justin Trudeau.«Noi leader del G7 ci siamo incontrati oggi con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, per riaffermare il nostro incrollabile sostegno all’Ucraina e rendere omaggio ancora una volta al coraggio e alla resilienza del popolo ucraino che ha combattuto instancabilmente per la libertà e il futuro democratico dell’Ucraina», si legge nel comunicato finale del summit. «Stiamo intensificando la nostra assistenza in materia di sicurezza all’Ucraina e stiamo aumentando le nostre capacità di produzione e consegna, per assistere il Paese», prosegue il documento, che chiede anche a Mosca di «chiarire pienamente le circostanze» della morte di Alexei Navalny.«Questa terra è un pezzo della nostra casa e noi faremo la nostra parte per difenderla», ha dichiarato la Meloni. «Questo posto è il simbolo del fallimento di Mosca e dell’orgoglio dell’Ucraina, ci ricorda che c’è qualcosa di più forte di missili e guerra: è l’amore per la terra e la libertà», ha aggiunto. «Ci sono gesti eroici che hanno cambiato il corso della storia, uno di questi ha avuto luogo qui il 24 febbraio di due anni fa. Qui dove è iniziata l’eroica resistenza del popolo ucraino, qui dove è fallito il piano di Vladimir Putin di rovesciare il regime democratico in pochi giorni e sostituirlo con un governo fantoccio che rispondesse alle sue istruzioni», ha continuato l’inquilina di Palazzo Chigi. «Continuiamo a sostenere l’Ucraina in quello che ho sempre ritenuto giusto, il diritto del suo popolo a difendersi: questo presuppone necessariamente anche un sostegno militare perché confondere la tanto sbandierata parola “pace” con “resa”, come fanno alcuni, è un approccio ipocrita che non condivideremo mai», ha anche detto la Meloni, che ha poi donato a Zelensky la medaglia coniata dal Poligrafico e Zecca dello Stato dedicata alla resistenza ucraina.E proprio Zelensky ha espresso significativa gratitudine al nostro presidente del Consiglio. «Giorgia, ti sono grato, grazie mille per la tua leadership e per il fatto che ti sei unita a noi oggi in questo formato. Auguro all’Italia una presidenza produttiva del G7», ha dichiarato il presidente ucraino. «I nostri incontri con il premier italiano, Meloni, sono sempre significativi. Oggi abbiamo un risultato importante. Abbiamo firmato un accordo bilaterale di cooperazione in materia di sicurezza tra Ucraina e Italia», ha anche affermato Zelensky. «Questo documento stabilisce una solida base per il partenariato di sicurezza a lungo termine dei nostri Paesi. Abbiamo anche discusso di un ulteriore sostegno all'Ucraina nel contesto della presidenza italiana del G7. Sono grato all’Italia per il sostegno all’Ucraina», ha proseguito, mentre la Meloni, riferendosi all’intesa, ha specificato che prevede «l’impegno a una collaborazione immediata e rafforzata nel caso di un futuro attacco nei confronti dell’Ucraina». Zelensky ha inoltre reso noto di aver siglato un accordo con il Canada.«L’Ucraina è decisamente più forte oggi rispetto a due anni fa. Oggi abbiamo firmato un altro accordo di sicurezza che rafforza la posizione del nostro popolo, in particolare dei nostri soldati. Si tratta di una decisione forte e tempestiva che rafforzerà significativamente la nostra resilienza. Il primo ministro Trudeau e io abbiamo firmato un accordo di cooperazione in materia di sicurezza tra Ucraina e Canada, che stanzia oltre 3 miliardi di dollari canadesi in assistenza macrofinanziaria e per la difesa nel 2024», ha dichiarato il leader ucraino. Tutto questo, mentre la Casa Bianca ha fatto sapere che Joe Biden ha partecipato al summit virtuale di ieri «per parlare del nostro continuo sostegno all’Ucraina e dei passi che possiamo fare insieme per continuare a chiedere conto alla Russia».La Von der Leyen, dall’altra parte, ha annunciato che l’Ue aprirà un ufficio per la Difesa e l’Innovazione a Kiev. Non solo. Il presidente della Commissione europea ha avuto un incontro anche con il premier ucraino, Denys Shmyhal. «Abbiamo parlato dei prossimi passi riguardo lo Strumento per l’Ucraina da 50 miliardi di euro. Il primo pagamento da 4,5 miliardi di euro sarà a marzo. Abbiamo parlato di come gestire le esportazioni ucraine e affrontare i problemi al confine di terra. E del nostro lavoro congiunto sull’industria della Difesa», ha detto la Von der Leyen.Dal punto di vista geopolitico, le posizioni espresse ieri dalla Meloni vanno soprattutto inserite nella sua strategia di progressivo avvicinamento agli Stati Uniti. Il presidente del Consiglio ha d’altronde sempre manifestato una linea energicamente atlantista, anche per controbilanciare le manovre dell’asse franco-tedesco. Non a caso, l’altro ieri la Casa Bianca ha ufficialmente comunicato che il primo marzo Joe Biden accoglierà la Meloni a Washington. Secondo una nota del governo americano, i due leader discuteranno della crisi ucraina e di quella mediorientale. Cercheranno inoltre di coordinarsi sulla spinosa questione dei rapporti con la Repubblica popolare cinese, non rinunciando infine a un confronto in previsione del prossimo summit della Nato.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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