2024-09-14
Cotogna da salvare. Amata dai Romani ma oggi dimenticata
La mela cotogna è un simbolo che accompagna la storia d'Europa da Aristofane a Giambellino, passando per Gesù Cristo e Plinio (iStock)
Può essere mela o pera, nel Rinascimento veniva raffigurata in mano a Gesù. La si usa in cucina, ma anche negli armadi.C’è un frutto che avrebbe bisogno di qualche seduta psichiatrica per capire di che polpa è fatto. È una mela o è una pera? La domanda è lecita perché c’è chi lo chiama mela e chi, al contrario, lo definisce pera.Il frutto in questione è la cotogna che, se avesse i neuroni al posto dei semi, rischierebbe un disturbo dissociativo dell’identità. In realtà la cotogna sa bene cos’è. Non è mela, né pera. È cotogna, un frutto a sé stante che dà adito a equivoci per via della forma che assume, giustificando chi lo chiama mela cotogna e chi pera cotogna. La cotogna è un frutto platonico, chimerico, una sorta di frutto ideale che, purtroppo, è nella lista dei frutti sempre più dimenticati. È il pomo perfetto. Guardi una cotogna e vedi una mela, ne guardi un’altra e vedi una pera. Yin e yang. Metà e metà. Anema e core. La cotogna è il Leopoldo Fregoli della fruttiera, il trasformista della famiglia delle rosaceae, ha due facce come Giano bifronte. È un frutto androgino, ambiguo, come sarebbe piaciuto ad Aristofane.È una specie a sé stante anche se viene chiamata dai più mela cotogna. Frutto sacro ad Afrodite, la dea della bellezza, nella Grecia classica era il simbolo dell’amore e della fertilità. La sposa entrava nella casa dello sposo portando in dote una cotogna che simboleggiava l’augurio di un matrimonio felice. Obbedendo a Solone (pare che sia stato il legislatore ateniese a dare il via all’usanza), la fanciulla mangiava la cotogna prima di adagiarsi sul talamo nuziale, certa che quel virgineo spuntino sarebbe stato fruttifero di figli. Una convinzione rimasta viva a lungo: nei quadri matrimoniali del Rinascimento è spesso presente il cotogno con i suoi frutti. C’è un dipinto del pittore veneziano Giovanni Bellini che ritrae una Madonna col bambino: le mani di entrambi si stringono attorno a una cotogna. Secondo l’interpretazione di studiosi dell’arte, sarebbe il simbolo della resurrezione. Anche in un quadro del pittore trevigiano Paris Bordon, vissuto nel Cinquecento, che ritrae le nozze tra Marte e Venere, è presente un albero di mele cotogne, simbolo di amore e fertilità.Il nome cotogna deriva dal greco cydonia e si riferisce alla città cretese di Cidòne, dov’era coltivata. Come al solito Plinio è esaustivo: «Mala quae vocamus cotonea et greci cydonia, ex Creta insula advecta». E cioè: «La mela che chiamiamo cotonea (cotogna) e i greci cydonia, viene importata dall’isola di Creta». In greco veniva chiamata anche chrysòmelon, mela d’oro. Il che fa pensare che i famosi pomi d’oro del giardino delle Esperidi fossero cotogne. Gli antichi Romani usavano le cotogne in molti modi, spessissimo col miele per mitigarne il sapore acidulo: ne ricavavano una bevanda fermentata addolcita con il succo d’api. Apicio considerava le cotogne un ottimo ingrediente per dar sapore ai piatti. Suggerisce, tra le altre, la ricetta di un pasticcio di porri, mele cotogne, garum (salsa di pesci marinati), olio, mosto e miele. De gustibus… Sempre Apicio suggeriva il modo di conservare le cotogne: «Scegli mele cotogne senza difetti, con rametti e foglie; mettile in un vaso e versaci sopra miele e mosto cotto. Si conserveranno a lungo». Marziale le consigliava all’amico Cecropio farcite di miele: «Si tibi saturata Cydonea melle ponentur, dicas: “Haec melimela placent”». Traduciamo liberamente: «Se ti serviranno mele cotogne ripiene di miele, esclamerai: che bontà queste mele di miele». Plinio evidenzia le proprietà medicinali del frutto: la cotogna è un antidoto al veleno e trasformata in unguento, l’oleum melinum che veniva ricavato dai fiori del frutto giallo, veniva usato come collirio. Funzionava come una sorta di lacrima artificiale, praticamente acqua, che oggidì fanno pagare l’iradiddìo.Ilaria Gozzini Giacosa, autrice dello splendido A cena da Lucullo, sottolinea come la frutta comparisse sulle tavole patrizie in grande quantità e varietà e chiudeva i pranzi dei Romani: «Ab ovo usque ad malum, dice il detto: dall’antipasto alla frutta dove il termine malum non indica solo le mele, ma anche pere, melograne, lazzeruole, mele cotogne, prugne, more di rovo e di gelso». L’acidulo della polpa sparisce quando si cuoce il frutto o lo si trasforma in cotognata, così si chiama la confettura che da essa si ricava. Oltre che per produrre marmellate, la cotogna si usa per fare ottime mostarde, gelatine, distillati, dolci e piatti elaborati. Sono famose le gelatine di Ragusa e le cotognate di Codogno, cittadina in provincia di Lodi che, nello stemma, porta un simbolico cotogno carico di frutti. Sono davvero buone le mele cotogne cotte nel vino. Aggiungendo magari un po’ di cannella e qualche chiodo di garofano si ottiene una sorta di brulè scaccia raffreddori. La cotogna serviva alla nonna per dare un buon profumo a biancheria e abiti e tenere lontane le tarme dai tessuti. Il suo consiglio rimane attuale: porre negli armadi, insieme ai vestiti, o nei cassetti con le lenzuola una cotogna trafitta da chiodi di garofano, utile per cacciare le micidiali farfalline. In gastronomia, le mele cotogne si abbinano bene con le carni, con quella del maiale e delle oche soprattutto.Nonostante tutti questi usi, nonostante il bene che fa, la cotogna è un frutto sempre più dimenticato. Si trova ancora in negozi di frutta e verdura di nicchia, nei mercatini a chilometro zero, presso qualche coltivatore molto sensibile alla biodiversità e alla tradizione. La si trova nei modi di dire dell’idioma nazionale e nei dialetti. In italiano e in vernacolo, «cotogno» è sinonimo di cazzotto. In provincia di Lecce è il cutugnu, a Verona il codogno, a Catania i bambini giocano al pugnu cutugnu. Auguratevi che nessuno vi dica mai: «Sei giallo come un codogno». Significherebbe che non avete una bella cera. Codogno è anche sinonimo di «duraccione», di tipo lento a capire. Nonna Amalia, donna di un’infinita bontà, correggeva il recalcitrante sottoscritto battendo le nocche su un tavolo o una superficie dura esclamando: «Te sì proprio un codogno».Cydonia oblonga, Mill. Questo è il nome scientifico del cotogno. Cydonia abbiamo già visto perché, oblonga lo deve alla forma allungata. Mill è l’abbreviato dello studioso Philip Miller, il botanico scozzese che classificò la pianta appartenente alla famiglia delle rosaceae. Molto ricca di pectina, è l’ideale per fare marmellate, cotognate, confetture di mele cotogne al 100% o in macedonia con altri frutti. Ha meno calorie e più potassio delle mele normali. Fa bene a stomaco e intestino per le proprietà astringenti e antinfiammatorie. La presenza di acido malico favorisce la digestione. La mela cotogna cotta diventa particolarmente dolce e, grazie alla ricchezza di fibre, favorisce la motilità intestinale. Il frutto è usato anche nella industria cosmetica, con i semi si produce un gel antiforfora per i capelli.Dulcis in fundo: la ricetta della cotognata, facile da fare. Per sei persone occorrono due chilogrammi di cotogne, due di zucchero e due limoni. Si lavano bene le cotogne ma senza togliere le bucce. Si tagliano a spicchi eliminando i semi e si riducono gli spicchi a pezzi. Si mette a bollire una pentola d’acqua sul fuoco e, quando l’acqua inizia a bollire, vi si versano i pezzi di cotogna e i due limoni tagliati a metà. S’incoperchia e si cuoce a fuoco basso per 40 minuti. Ultimata la cottura, si lascia raffreddare. A questo punto si toglie la buccia ai pezzi e si passano al setaccio, ottenendo una morbida purea che va posta in una pentola con lo zucchero e un po’ d’acqua. Si ricuoce a fuoco basso per mezz’ora mescolando continuamente. Quando la cotognata è pronta, va versata in una pirofila spianando la superficie. Si faccia riposare per un paio di giorni fino a quando non sarà solidificata. È il momento di tagliarla a cubetti da porre su un vassoio e spolverare di zucchero a velo. Non resta che servire.
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