
Giancarlo Giorgetti sulla manovra: «Niente extraprofitti, ma si tasseranno gli utili in modo corretto. La Difesa va molto bene». Federico Freni però puntualizza: «No a nuove imposte». Carlo Messina: «Le imprese possono offrire consigli».Nessuna tassa ma frugatevi in tasca per darci un po’ di soldi. Il riassunto può sembrare brutale, ma in estrema sintesi è questo il messaggio lanciato ieri dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di fronte non a una platea qualsiasi ma a quella riunita a Milano da Bloomberg per l’evento Future of Finance. Quindi le sue parole sono subito finite sugli schermi di tutti gli operatori finanziari del mondo con questo titolo battuto dall’agenzia americana: «L’Italia vuole spremere più tasse dalle sue aziende più redditizie». A Piazza Affari il Ftsemib ha subito messo la retromarcia per poi chiudere con un -1,5%. Ma cosa ha detto esattamente Giorgetti? In un’intervista preregistrata il capo del Mef è partito assicurando che il target dell’1% di crescita per quest’anno in Italia è «realistico». Poi, incalzato sull’eventuale tassazione dei cosiddetti extraprofitti, ha annunciato che la manovra «richiederà sacrifici da tutti» e precisato che «extraprofitti è un termine scorretto», ma si andranno «a tassare i giusti profitti, gli utili determinati in modo corretto». Perché «i contributi volontari non esistono, esiste quella che è la stella polare che è l’articolo 53 della Costituzione, tutti sono chiamati a contribuire per le loro possibilità a seconda delle necessità della nazione. Noi siamo impegnati in un percorso particolarmente esigente di rientro, dal deficit», è «un tipo di sforzo che tutto il sistema Paese deve fare, i privati, le aziende e soprattutto la pubblica amministrazione. Paradossalmente, con tutte queste guerre chi produce armi sta andando particolarmente bene e anche in questo caso c’è una situazione di mercato favorevole» (quindi il contributo dovrà arrivare anche da gruppi come Leonardo, di cui lo Stato è azionista). Il ministro Giorgetti è poi tornato sul tema delle privatizzazioni: su Mps «prevediamo entro fine anno di collocare un’altra quota, per mettere la ciliegina sulla torta il Monte può e deve diventare un player nel futuro sistema bancario italiano».A scuotere la platea (e anche la Borsa), però, è stata soprattutto la chiamata di contribuzione per tutti. Il sottosegretario al Mef, Federico Freni, qualche ora dopo ha cercato di smorzare assicurando che «non c’è allo studio alcun aumento delle tasse per nessuno». Ma la frittata ormai è fatta. Anche perché, subito dopo la proiezione in video dell’intervista a Giorgetti, a salire sul palco della sala del Four Seasons è stato l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Che ha sottolineato come una banca come Intesa il suo contributo al Paese lo stia già dando. «Lo scorso anno abbiamo fatto il più importate programma di contribuzione sociale al Paese, 1,5 miliardi di donazioni a persone povere e pensiamo che Intesa e altre aziende possano aumentare» questo contributo, ha detto Messina. Ma non ricorrendo alla tassazione o gravando sui conti delle società. Secondo il banchiere, chi sta generando «utili significativi» per via della congiuntura, può pensare «di aumentare i salari» così da stimolare i consumi e sostenere il Pil. Un altro contributo può arrivare, senza bisogno di imporre nuove tasse, con il coinvolgimento delle grandi imprese: «In altri Paesi le più importanti società cercano di dare consigli in incontri con il governo, in Italia non è il caso o comunque io non sono invitato», ha detto Messina. Aggiungendo che sarebbe una buona prassi «creare un momento in cui ci possono essere dieci ceo delle più grandi aziende che cercano di dare consigli, idee e offrire soluzioni per migliorare le condizioni del Paese». Insomma, il messaggio è chiaro: noi diamo già un contributo come banca di sistema, piuttosto confrontatevi con banche e aziende e creiamo una specie di cabina di regia dove chi è del mestiere può dare suggerimenti, offrire soluzioni. Sul palco di Bloomberg ieri Messina è stato anche chiamato a commentare l’operazione varata da Unicredit su Commerzbank. Se l’acquisizione verrà completata, ha spiegato, «non sarà un’operazione crossborder e potrà fare sinergie» perché l’istituto guidato da Andrea Orcel «ha un’altra banca nel Paese», ovvero Hvb. «In Germania Unicredit e Deutsche bank sono le uniche banche che possono creare valore con Commerzbank. L’unico modo per fare sinergie di costo», ha aggiunto, «è ridurre il personale e quindi è necessario avviare confronti con i sindacati, la politica e tutti gli stakeholder». Di certo, Intesa si chiama fuori dal risiko almeno per i prossimi due anni. La banca potrebbe fare solo mosse molto selettive nel wealth management o nel private banking perché deve concentrarsi «sulla crescita delle commissioni e lo sviluppo delle tecnologia», ha spiegato l’ad. Sottolineando che il modello di business di Intesa, completamente diverso da quello di Unicredit, è basato sulla gestione dei risparmi degli italiani, sulla consulenza finanziaria e sul comparto assicurativo. Il parere di Messina su Unicredit-Commerzbank è condiviso anche dall’ad di Mediobanca Alberto Nagel: «Nel caso in cui l’acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit andasse in porto si tratterebbe di “consolidamento domestico”, per effetto delle sinergie tra Hvb e Commerzbank, più che di un’operazione crossborder», ha detto ieri Nagel sul palco dell’evento di Bloomberg. Aggiungendo che le due grandi operazioni che si sono viste quest’anno, l’Opa ostile di Bbva su Sabadell e l’acquisizione dell’asset management di Axa da parte di Bnp Paribas «sono buoni esempi di quello che possiamo vedere nel futuro» e si tratta «di consolidamento all’interno del mercato».
Leone XIV (Ansa)
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