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2025-02-27
Altro che secoli bui: il Medioevo fu un’epoca di riti e di cultura
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Régine Pernoud (Getty Images). Nel riquadro la copertina del suo libro «Luce del Medioevo»
«Ho iniziato il libro che avete per le mani qualche anno dopo essere uscita dall’École des Chartes, la Scuola di Paleografia, nello stupore di una scoperta ancora tutta nuova. In effetti, per me, come per tutti, al termine degli studi secondari e dopo aver conseguito una licenza classica, il “Medioevo” era un’epoca di “tenebre”». Quella descritta da Régine Pernoud all’inizio del suo Luce del Medioevo è la descrizione di un’epifania. E del conseguente cammino a ritroso sulle orme della storia: se la vulgata di parla dell’Illuminismo come dell’epoca che, man mano, rischiara i secoli bui della superstizione, la storica francese ci racconta tutta un’altra storia.
Nata nel 1909 e vissuta fino al 1928 a Marsiglia, la Pernoud ha ottenuto nel 1929 il diploma superiore in lettere all'Università di Aix-en-Provence. Ha poi conseguito il diploma di laurea in lettere all'Università di Parigi nel 1935 e si è diplomata anche alla già citata École nationale des chartes e all'École du Louvre. Appartenendo a una famiglia povera fu costretta a svolgere svariati lavori precari (istitutrice, lezioni private, archivista) prima di essere assunta nel 1947 con il titolo di conservatore al Museo di Reims. Nel 1949 divenne conservatore al Museo della Storia di Francia, per poi passare agli Archivi nazionali francesi; diresse infine il centro Giovanna d'Arco di Orléans (che fondò nel 1974 su richiesta di André Malraux).
Autrice di molti volumi, il più famoso dei quali è appunto Lumière du Moyen Age, uscito a metà degli anni Quaranta, la Pernoud si è incaricata di svolgere il ruolo di difensore d’ufficio di un’epoca che ha ritenuto ingiustamente diffamata. Come detto, per lei stessa si è trattato di un lento risveglio: «Sia in letteratura sia in storia, eravamo stati muniti di un solido arsenale di giudizi precostituiti che ci portavano solamente a definire ingenui gli uditori di Tommaso d’Aquino e barbari i costruttori dell’abbazia romanica di Le Thoronet. Nulla in quei secoli oscuri che valesse la pena di attardarvisi. Ed è solo con un analogo senso di rassegnazione che ho affrontano una scuola destinata, nelle mie intenzioni, a offrirmi semplicemente una carriera di bibliotecario. Ma ecco che invece mi si apre una finestra su un altro mondo. E che dopo poco più di tre anni di corso […] “quei tempi detti oscuri” mi appaiono sotto una luce insospettata. E merito di quella scuola è quello di mettere direttamente lo studente davanti ai veri materiali di cui è fatta la Storia. Nessuna “letteratura”, scarsissima considerazione per le opinioni manifestate dai docenti, ma un’esigenza rigorosa di fronte ai testi antichi o ai monumenti d’epoca nel senso più ampio dell’espressione».
Il Medioevo visto dalla storica francese è un’epoca di ricchezza culturale e di legami umani complessi è stratificati. Un’epoca in cui «ogni obbligazione, ogni transazione, ogni accordo devono tradursi in un gesto simbolico, forma visibile e indispensabile dell’adesione interiore. Quando per esempio si vende un terreno, l’atto di vendita è costituito dalla consegna, da parte del venditore al nuovo proprietario, di un filo di paglia o di una zolla di terra provenienti dal terreno in questione; se in seguito viene steso uno scritto, ciò che non sempre avviene, esso servirà soltanto per memoria: l’atto essenziale è la traditio, come nei nostri tempi la stretta di mano in certi mercati. […] Il Medioevo è un’epoca in cui il rito trionfa, in cui tutto ciò che si compie nella coscienza deve obbligatoriamente tradursi in un gesto; ciò soddisfa un bisogno profondamente umano: quello del segno fisico senza il quale la realtà rimane imperfetta, incompiuta, fatiscente».
Tra le tante fake news della storia scritta con il paraocchi smentite dalla Pernoud, merita di essere ricordata quella sullo ius primae noctis, che secondo un radicato pregiudizio avrebbe concesso al sovrano il diritto di giacere con la moglie dei suoi sottoposti nella prima notte di nozze. Tutto nasce, spiegava la Pernoud, dall’«usanza di reclamare un’indennità pecuniaria dal servo che lasciava il feudo per sposarsi in un altro e nacque il famoso “diritto signorile” sul quale si sono dette tante sciocchezze: era soltanto il diritto ad autorizzare il matrimonio dei propri servi; ma siccome nel Medioevo tutto si traduceva in una cerimonia, tale diritto diede luogo a gesti simbolici di cui si è esagerata la portata: come per esempio posare la mano o la gamba sul letto coniugale, da cui l’impiego di particolari termini giuridici che hanno suscitato astiose interpretazioni del resto completamente erronee».
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Riduci
In un testo che ha fatto storia, la medievista francese Régine Pernoud ribaltava il pregiudizio negativo che gravava sui cosiddetti «secoli bui».«Ho iniziato il libro che avete per le mani qualche anno dopo essere uscita dall’École des Chartes, la Scuola di Paleografia, nello stupore di una scoperta ancora tutta nuova. In effetti, per me, come per tutti, al termine degli studi secondari e dopo aver conseguito una licenza classica, il “Medioevo” era un’epoca di “tenebre”». Quella descritta da Régine Pernoud all’inizio del suo Luce del Medioevo è la descrizione di un’epifania. E del conseguente cammino a ritroso sulle orme della storia: se la vulgata di parla dell’Illuminismo come dell’epoca che, man mano, rischiara i secoli bui della superstizione, la storica francese ci racconta tutta un’altra storia.Nata nel 1909 e vissuta fino al 1928 a Marsiglia, la Pernoud ha ottenuto nel 1929 il diploma superiore in lettere all'Università di Aix-en-Provence. Ha poi conseguito il diploma di laurea in lettere all'Università di Parigi nel 1935 e si è diplomata anche alla già citata École nationale des chartes e all'École du Louvre. Appartenendo a una famiglia povera fu costretta a svolgere svariati lavori precari (istitutrice, lezioni private, archivista) prima di essere assunta nel 1947 con il titolo di conservatore al Museo di Reims. Nel 1949 divenne conservatore al Museo della Storia di Francia, per poi passare agli Archivi nazionali francesi; diresse infine il centro Giovanna d'Arco di Orléans (che fondò nel 1974 su richiesta di André Malraux).Autrice di molti volumi, il più famoso dei quali è appunto Lumière du Moyen Age, uscito a metà degli anni Quaranta, la Pernoud si è incaricata di svolgere il ruolo di difensore d’ufficio di un’epoca che ha ritenuto ingiustamente diffamata. Come detto, per lei stessa si è trattato di un lento risveglio: «Sia in letteratura sia in storia, eravamo stati muniti di un solido arsenale di giudizi precostituiti che ci portavano solamente a definire ingenui gli uditori di Tommaso d’Aquino e barbari i costruttori dell’abbazia romanica di Le Thoronet. Nulla in quei secoli oscuri che valesse la pena di attardarvisi. Ed è solo con un analogo senso di rassegnazione che ho affrontano una scuola destinata, nelle mie intenzioni, a offrirmi semplicemente una carriera di bibliotecario. Ma ecco che invece mi si apre una finestra su un altro mondo. E che dopo poco più di tre anni di corso […] “quei tempi detti oscuri” mi appaiono sotto una luce insospettata. E merito di quella scuola è quello di mettere direttamente lo studente davanti ai veri materiali di cui è fatta la Storia. Nessuna “letteratura”, scarsissima considerazione per le opinioni manifestate dai docenti, ma un’esigenza rigorosa di fronte ai testi antichi o ai monumenti d’epoca nel senso più ampio dell’espressione».Il Medioevo visto dalla storica francese è un’epoca di ricchezza culturale e di legami umani complessi è stratificati. Un’epoca in cui «ogni obbligazione, ogni transazione, ogni accordo devono tradursi in un gesto simbolico, forma visibile e indispensabile dell’adesione interiore. Quando per esempio si vende un terreno, l’atto di vendita è costituito dalla consegna, da parte del venditore al nuovo proprietario, di un filo di paglia o di una zolla di terra provenienti dal terreno in questione; se in seguito viene steso uno scritto, ciò che non sempre avviene, esso servirà soltanto per memoria: l’atto essenziale è la traditio, come nei nostri tempi la stretta di mano in certi mercati. […] Il Medioevo è un’epoca in cui il rito trionfa, in cui tutto ciò che si compie nella coscienza deve obbligatoriamente tradursi in un gesto; ciò soddisfa un bisogno profondamente umano: quello del segno fisico senza il quale la realtà rimane imperfetta, incompiuta, fatiscente».Tra le tante fake news della storia scritta con il paraocchi smentite dalla Pernoud, merita di essere ricordata quella sullo ius primae noctis, che secondo un radicato pregiudizio avrebbe concesso al sovrano il diritto di giacere con la moglie dei suoi sottoposti nella prima notte di nozze. Tutto nasce, spiegava la Pernoud, dall’«usanza di reclamare un’indennità pecuniaria dal servo che lasciava il feudo per sposarsi in un altro e nacque il famoso “diritto signorile” sul quale si sono dette tante sciocchezze: era soltanto il diritto ad autorizzare il matrimonio dei propri servi; ma siccome nel Medioevo tutto si traduceva in una cerimonia, tale diritto diede luogo a gesti simbolici di cui si è esagerata la portata: come per esempio posare la mano o la gamba sul letto coniugale, da cui l’impiego di particolari termini giuridici che hanno suscitato astiose interpretazioni del resto completamente erronee».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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