2019-11-28
Matteo processa i pm e minaccia gli italiani: «Invaderò radio e tv»
Matteo Renzi: «Decidono le toghe cosa è partito?». Luigi Di Maio: «Chiarezza sui soldi pure ai movimenti». Il Pd apre ai finanziamenti pubblici.L'inchiesta sulla fondazione turborenziana Open, al di là degli aspetti giudiziari, non ha tardato a mostrare il suo inevitabile riverbero politico: anzi, a trasformarsi in una potente miccia collocata sotto il già traballante tavolo della maggioranza giallorossa. Gli attori da considerare sono almeno tre. Il primo è Matteo Renzi, che anche ieri ha sparato a ripetizione, non solo contro l'indagine, ma pure contro gli incolpevoli italiani, minacciando un bombardamento mediatico («Farò più tv del previsto. Più radio del previsto. Più social del previsto»). Il secondo è Luigi Di Maio, sempre più nelle vesti del guastatore della linea politica che unisce Beppe Grillo e il Pd, da cui il ministro degli Esteri cerca in qualche modo di divincolarsi, perfino a costo di dare la sensazione di scalciare l'amico (o ex amico?) Davide Casaleggio, come vedremo. Il terzo attore - spaventato e paralizzato - è il Pd, diviso tra una malcelata gioia nel vedere l'odiato Renzi nei guai e il timore di ritrovarsi addosso qualche schizzo di fango (visto che fino a poco fa il Giglio Tragico era nel Pd, e alcuni petali sono ancora domiciliati presso la sede dem). Sullo sfondo, rimane un tema mai affrontato seriamente negli ultimi anni, ma solo a pezzi, nevrastenicamente, e sempre in una logica scandalistica: e cioè il finanziamento della politica. Partiamo da Renzi. Ieri il senatore-conferenziere ha tuonato su Facebook: «Perquisire a casa e in azienda, all'alba, persone non indagate che hanno dato lecitamente contributi alla fondazione Open è un atto senza precedenti. Due giudici fiorentini decidono che Open non è una fondazione ma un partito. E quindi cambiano le regole in modo retroattivo. Aprendo indagini per finanziamento illecito ai partiti! Ma come? Se era una fondazione, come può essere finanziamento illecito a un partito? E allora chi decide oggi che cosa è un partito? La politica o la magistratura? Chiameremo in causa tutti i livelli istituzionali per sapere se i partiti sono quelli previsti dall'articolo 49 della Costituzione o quelli decisi da due magistrati fiorentini. Nel frattempo raccomando a tutte le aziende di non finanziare Italia viva se non vogliono rischiare». Insomma, un mix tra una legittima autodifesa, una provocazione finale, una dose di vittimismo, e un confuso appello «a tutti i livelli istituzionali». Qualcuno vi ha perfino letto il tentativo di tirare per la giacca il presidente della Repubblica, quando ha citato «rispettosamente» anche il Csm: cosa contro cui la sinistra - se un simile accenno fosse venuto da una fondazione di destra sotto indagine - avrebbe gridato selvaggiamente.Più tardi, dalla sua E-news, Renzi ha rincarato la dose, parlando di un «clamoroso vulnus». E infine, in una conferenza stampa, ha rinnovato l'attacco ai pm fiorentini Turco e Creazzo: «Mi sento oggetto di attenzioni speciali da parte di alcuni magistrati. Un tempo i magistrati della Procura di Firenze cercavano il mostro di Scandicci, non vorrei che adesso avessero fatto confusione con il senatore di Scandicci…». E ancora, cambiando bersaglio: «Sento il silenzio dei costituzionalisti: evidentemente devono riprendersi dalla battaglia del referendum del 2016…».A dare manforte a Renzi ci ha pensato il vecchio sodale Luca Lotti, che è ancora nel Pd, per dire che «non sono mai esistite carte di credito o bancomat della fondazione Open intestati a parlamentari. Comunque, ovviamente, è tutto rendicontato e messo nero su bianco». Qualcuno ha notato che, nella dichiarazione ripresa dalle agenzie, Lotti ha parlato di carte o bancomat «intestati»: resta da capire - ma è solo un dubbio che magari potrà essere chiarito presto - se vi siano stati carte o bancomat usati da parlamentari, al di là dell'intestatario. Sono dubbi circolati in Rete ieri. Quanto a Luigi Di Maio, in una diretta social, è tornato sul varo di una Commissione d'inchiesta sui fondi ai partiti («incluse associazioni, fondazioni, movimenti», ha precisato). Insomma, pare includendo anche il Movimento, cosa che c'è da dubitare abbia fatto piacere a Grillo e Casaleggio. «Ci dobbiamo sottoporre tutti a questo controllo», ha scandito Di Maio. «Qui non parliamo di atti illegali, ma di atti legali che richiedono trasparenza. Dobbiamo mettere in condizione i cittadini di sapere da chi abbiano preso i soldi i partiti».E allora ecco il cuore della questione: come si finanzia la politica. E non c'è dubbio che le strade siano due: o il finanziamento pubblico (bocciato dagli italiani in un referendum nel 1993) o il finanziamento privato (però trasparente).L'esponente Pd più esplicito è stato Matteo Orfini: «O ripristiniamo il finanziamento pubblico o accettiamo senza criminalizzarlo quello privato, con il conseguente potere di condizionamento degli interessi». Conclusione di Orfini? «Io sceglierei quello pubblico». Resterebbe un'alternativa, scansata da troppi: e cioè chiudere le falle attualmente aperte rispetto agli obblighi di trasparenza delle fondazioni. Oggi infatti non è chiaro se tali obblighi si limitino a statuti e bilanci o riguardino anche i versamenti sopra la soglia dei 5.000 euro (come sarebbe assolutamente necessario). Né si vede come la fragilissima Commissione di garanzia sugli statuti dei partiti possa farsi carico di controllare davvero anche centinaia di associazioni.