2025-02-03
Mattarella tace sulle toghe fuori controllo
Sergio Mattarella (Imagoeconomica)
La storia che Giacomo Amadori racconta oggi sulla Verità è un effetto collaterale di un sistema fuori controllo. Apparentemente non c’è nulla di incredibile nell’indagare anche chi ricopre funzioni di polizia giudiziaria: pure tra le forze dell’ordine ci sono mele marce. Ma l’aspetto sorprendente dell’indagine avviata dal procuratore capo di Roma, quel Francesco Lo Voi al centro delle polemiche per aver iscritto il premier nel registro delle notizie di reato, è che oltre ad aver messo sotto controllo tutti gli uomini della Guardia di finanza distaccati presso la Procura, sospettandoli di aver violato il codice, l’alto magistrato ha lasciato che venissero intercettati indirettamente alcuni suoi colleghi.Infatti, le microspie installate negli uffici per captare le conversazioni dei militari delle Fiamme gialle, hanno carpito i discorsi degli stessi pm che con i finanzieri avevano contatti quotidiani. Il risultato è che Lo Voi ha potuto ascoltare ogni cosa che si sussurrava in Procura. Incidenti di percorso, penserà forse qualcuno, ma che hanno messo a disposizione del capoufficio una quantità di informazioni sensibili che si maneggiano con cura in una Procura, e che in base alla legge dovrebbero essere riservate, in quanto è vero che i pm riferiscono a colui che è preposto a guidare i magistrati inquirenti, ma è altrettanto certo che godono singolarmente di autonomia e indipendenza, oltre che di una certa libertà di manovra.Il caso, piuttosto anomalo (in passato ci sono state indagini con cui alcuni pubblici ministeri hanno intercettato altri giudici, ma non mi risultano vicende di Procure che si sono autointercettate) dimostra a quale livello di scontro e di confusione possano arrivare diversi apparati dello Stato. A quanto pare, non c’è solo un potere come la magistratura che esonda e cerca di fermare un altro potere costituito dall’esecutivo, impedendogli di operare il contenimento di un’ondata migratoria. Esiste un potere che indaga su un altro e che come effetto collaterale riesce perfino ad auto intercettarsi. Follie.Tuttavia, in questa totale perdita di controllo, c’è un aspetto che più di ogni altro colpisce ed è il silenzio di Mattarella. Da settimane si parla di giustizia. Prima perché i magistrati hanno deciso di «resistere, resistere, resistere» contro una riforma che il Parlamento sta discutendo. Poi per via dell’iscrizione nel registro degli indagati di mezzo governo. Quindi, per una serie di sentenze fotocopia che i giudici della sezione immigrazione trasferitisi di punto in bianco alle Corti d’Appello hanno emesso sfidando l’esecutivo. E il presidente della Repubblica, che è capo del Csm, ovvero dell’organo di autogoverno di pm e giudici, che fa? Tace. In questi giorni si celebra il decimo anniversario della sua ascesa al trono, ovvero il triennio di una riconferma che la Costituzione non prevede. La maggioranza dei giornali a tal proposito si è sperticata in lodi, pubblicando soffietti di elogio nei suoi confronti. Dal quadretto idilliaco dei panegirici a otto colonne è mancata però sempre la questione giustizia. A Mattarella si riconoscono doti di pacatezza, di autorevolezza, di sensibilità ed equilibrio, di capacità nel ricondurre nel giusto alveo i dissidi politici e di rappresentare anche all’estero gli interessi degli italiani. Nessuno però che dica come il decennio del presidente della Repubblica sul tema giustizia sia un vero e proprio fallimento, fra l’altro in un settore dove ha una funzione propria: presidente del Consiglio superiore della magistratura. Negli anni scorsi abbiamo assistito al più grande scandalo che abbia mai coinvolto le toghe, ma l’uomo del Colle, invece di pretendere lo scioglimento del Csm dopo che sono venute a galla le trattative tra politica e correnti per spartirsi gli uffici giudiziari, ha accettato le dimissioni di alcuni magistrati coinvolti, senza tuttavia pretendere una vera pulizia. Né sui dissidi tra giudici e politica ha sentito il bisogno di intervenire. E ora che di fronte alla separazione delle carriere le toghe minacciano una rivolta, il capo dello Stato continua a tacere, quasi che la questione non fosse affar suo. Come se le toghe non debbano rispettare il Parlamento applicando le leggi licenziate dalle Camere. Il risultato di questi silenzi, ma forse sarebbe meglio chiamarla inattività, sono uno scontro senza precedenti e un caos mai visto. Ma soprattutto c’è una credibilità, quella delle toghe, giunta al minimo storico. Mai come ora si è avuta la percezione di una casta che non accetta le regole che pure impone a tutti gli altri cittadini. Mai si era visto uno scollamento totale fra opinione pubblica e Palazzo (in questo caso, di Giustizia). Ma forse, nonostante i peana dei giornali, fra opinione pubblica e Quirinale.
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