2022-12-19
D’Alema sbianchetta il suo passato per cancellare il ponte affari-politica
L’ex premier al «Corriere» si presenta come un semplice «consulente» che ha lasciato il Palazzo dal 2013. Ma scorda la candidatura nel 2018 e i consigli a Giuseppe Conte. Amnesie anche su respiratori e armi alla Colombia.all’Europarlamento, vicenda in cui tra l’altro sono coinvolti alcuni onorevoli che un tempo erano considerati di stretta osservanza dalemiana. Rispondendo alle domande del cronista, il primo e unico comunista che sia riuscito a sedersi sulla poltrona di Palazzo Chigi ha sbianchettato una serie di fatti che invece sono utili per comprendere come vadano le cose nell’universo della sinistra. Il più rilevante dei passaggi oscurati riguarda la candidatura alle politiche del 2018, quella sotto le bandiere di Articolo uno, micropartitino creato dallo stesso D’Alema insieme con Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani, e nelle cui file è confluito fino al giorno del suo arresto Antonio Panzeri, l’ex sindacalista che aveva l’abitudine di conservare centinaia di migliaia di euro sotto il letto. Inspiegabilmente, D’Alema non cita la campagna elettorale di cinque anni fa, quasi che negli ultimi dieci egli si sia dedicato esclusivamente alla consulenza per imprese multinazionali. Per avvalorare la sua lontananza dalla scena politica, e dunque respingere qualsiasi accostamento imbarazzante, D’Alema spiega di aver lasciato il Parlamento nel 2013 e di essersi dimesso dagli organismi dirigenti del partito che lui stesso ha contribuito a fondare. «Non si possono accettare porte girevoli tra politica e attività economica», ha commentato con il distacco dell’osservatore neutrale. Peccato che, pur avendo lasciato la Camera, Spezzaferro (così era chiamato ai tempi dell’università) abbia continuato a frequentare la politica, entrando e uscendo proprio da quelle porte girevoli che dovrebbero delimitare i confini fra il mondo degli affari e quello delle istituzioni. Infatti, se davvero l’ex premier nel 2013 avesse scelto di intraprendere un’attività imprenditoriale, lasciandosi alle spalle la politica, non avrebbe dovuto ricandidarsi cinque anni dopo. Fosse stato per lui, la sua carriera da deputato non si sarebbe interrotta, ma sarebbe proseguita fino a pochi mesi fa. Un pericolo che grazie al cielo è stato scongiurato dagli elettori, i quali nel 2018 fecero mancare i voti ad Articolo uno, evitando che D’Alema aggiungesse un’altra legislatura al proprio curriculum. A dire il vero, nell’intervista al Corriere si registra qualche lacuna anche nella ricostruzione del ruolo giocato durante la pandemia. All’epoca, l’ex ministro degli Esteri si occupò di respiratori da vendere alla sanità pubblica. Operazione andata a segno, ma che per lo Stato non si rivelò un buon affare, in quanto il macchinario si scoprì difettoso dopo essere stato pagato. «C’era una corsa disperata ad acquistare questi prodotti sul mercato cinese», ha ricordato D’Alema, specificando che la fornitura andava saldata in anticipo. «Io ho trovato un’associazione che l’ha fatto. Ma attenzione, il modello del ventilatore fu scelto, su indicazione del Comitato tecnico scientifico, dalla Protezione civile italiana, non da D’Alema». Insomma, «io ho fatto un favore al Paese, colpa della Protezione civile se poi i respiratori si sono rivelati una patacca: prima di pagarli dovevano verificarne il funzionamento». Peccato che il leader maximo (altro soprannome dell’ex premier) dimentichi di aggiungere che il supercommissario all’emergenza Covid fosse un suo fedelissimo, ossia quel Domenico Arcuri che durante la pandemia aveva poteri speciali che gli consentivano di acquistare qualsiasi cosa senza che nessuno avesse nulla da ridire. E infatti, comprò mascherine perfino da un’improbabile compagnia di giro composta da intermediari tra cui figuravano giornalisti e bottegai. Del resto, ai tempi D’Alema sussurrava anche a Giuseppe Conte, dunque si fa fatica a ritenerlo estraneo alla politica se nelle nomine e nelle scelte il suo parere era tenuto nella massima considerazione. C’è qualcuno che giudica poco opportuna questa commistione di ruoli? «In tutti i Paesi del mondo ci sono persone che hanno avuto un ruolo istituzionale e che poi continuano a dare il loro contributo utilizzando le competenze al servizio dello sviluppo economico», è stata la risposta. E infatti D’Alema ha dato il suo contributo per piazzare navi militari alla Colombia e ora briga insieme a investitori del Qatar per intermediare l’acquisizione della raffineria di Priolo. «Anche qui, quante bugie», è stato il commento dell’ex presidente del Consiglio, «agli investitori ho solo dato un consiglio: andate e parlate con il governo». Peccato che una riga dopo lo stesso D’Alema usi la prima persona plurale, spiegando di aver parlato con Mario Draghi e con il ministro Roberto Cingolani.Ma oltre alle dimenticanze, nel colloquio con il Corriere della Sera a colpire è il giudizio che l’ex premier dà di sé stesso, denotando un completo distacco dalla realtà. «Persino una persona mite come il sottoscritto arriva al punto che non ne può più di leggere certe menzogne. Infatti, mi sono rivolto agli avvocati per discutere della questione nelle sedi preposte». Come è noto, e ben ricorda Giorgio Forattini, l’ex premier ha l’abitudine di rivolgersi ai legali quando si sente messo alle strette. Dunque, non stupisce che anche in questa occasione minacci querele. Ciò che risulta sorprendente è che egli si descriva come una persona mite. Secondo il dizionario, mite è colui che ha un carattere dolce e che è lontano dagli eccessi. La pecora è un animale mite. Ma tutto di D’Alema si può dire, tranne che egli sia una pecora. Dunque, oltre a essere affetto da amnesia, sospettiamo che l’ex premier soffra di un disturbo della personalità. Chissà, un giorno potrebbe perfino pensare di essere San Francesco, il poverello di Assisi che trasforma il vino in oro e invece di benedire gli uccelli potrebbe imporre le mani su aerei e corvette militari. Ovviamente da offrire ai Paesi del Terzo mondo affinché difendano i diseredati della terra. Laudato si’ mi Signore Massimo.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
Continua a leggereRiduci
Mark Zuckerberg (Getty Images)