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2020-10-13
Mascherine in casa e scure sulle feste. Le nuove restrizioni sono un delirio
Ansa
«Se proprio questa curva dovesse continuare a risalire prevedo qualche lockdown molto circoscritto territorialmente, ma non siamo più nella condizione di intervenire in modo generalizzato sul territorio nazionale o su ampie aree del territorio»: Giuseppe Conte esclude l'ipotesi di un nuovo lockdown nazionale, e ci mancherebbe altro, con un'economia italiana già in ginocchio. La giornata di ieri, in attesa del varo del nuovo Dpcm sul coronavirus, trascorre tra una riunione e una indiscrezione, una smentita e una smentita della smentita. Il premier Conte riunisce intorno alle 18, in videoconferenza, la cabina di regia tra governo, Regioni, Province e Comuni, insieme ai ministri agli Affari regionali, Francesco Boccia, e alla Salute, Roberto Speranza, prima di incontrare di nuovo il Comitato tecnico scientifico e poi i capidelegazione dei partiti di maggioranza (le Regioni avrebbero chiesto al governo 24 ore per visionare e ragionare sul nuovo Dpcm).
I pilastri fondamentali della strategia di contrasto alla seconda ondata saranno, per ora, l'obbligo della mascherina anche all'aperto per l'intera giornata, tranne per chi si dedica al jogging e al footing; la chiusura di bar, pub e ristoranti alle 24 e lo stop della vendita delle bevande da asporto alle 21 per evitare assembramenti in piedi all'esterno dei locali; la chiusura alle 21 dei locali senza servizio al tavolo; la spinta allo smart working; un tetto massimo 30 invitati per quel che riguarda le feste per matrimoni, battesimi, prime comunioni e cresime; lo stop agli sport amatoriali da contatto come calcetto, basket e pallavolo, ma non per quel che riguarda i campionati agonistici.
I limiti alle feste e agli incontri conviviali nelle abitazioni private fanno discutere. «Proveremo a incidere», ha spiegato a Che tempo che fa il ministro della Salute, Speranza, «su alcuni pezzi della vita delle persone che consideriamo non essenziali. Io ho proposto che vengano vietate tutte le feste, che in questo possono essere evitate». Ok, e chi controlla se qualcuno organizza una festicciola in casa propria per la comunione di sua figlia? «Quando c'è una norma», ha risposto Speranza, «questa va rispettata e gli italiani hanno dimostrato di non aver bisogno di un carabiniere o di un poliziotto a controllarli personalmente. Ma è chiaro che aumenteremo i controlli, ci saranno le segnalazioni». Avete letto bene: le segnalazioni. Eppure l'articolo 14 della Costituzione, che non ci risulta sia stato ancora abrogato, recita così: «Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale». Per sgominare gli spacciatori di fette di torta ci vuole un mandato di un giudice, non basta (per fortuna) la telefonata della vicina. «Gli accertamenti e le ispezioni», prosegue l'articolo 14 della Carta, «per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali». Considerato che un Dpcm non è una legge speciale, come può essere ad esempio una norma antiterrorismo, questa follia delle «spiate» non farà altro che ingolfare i centralini delle forze dell'ordine, che di cose serie da fare, ne hanno già in sovrabbondanza. «Nel Dpcm», ha aggiunto Conte, «inseriremo una forte raccomandazione sulle mascherine all'interno delle abitazioni private in presenze di persone non conviventi. Vogliamo dare il messaggio che se si ricevono persone non conviventi anche in casa bisogna usare la mascherina». Il concetto di «ricevere persone non conviventi» andrebbe studiato in filosofia teoretica: se sono conviventi, come fanno e essere ricevute in casa? Non si sa: quello che si sa è che il governo sembra in preda alla confusione più totale, tanto più che ieri sera è circolata pure l'ipotesi di limitare a sei il numero di persone ammesse alle feste in casa, attraverso una «raccomandazione», sostanzialmente una moral suasion.
Non c'è pace neanche per la scuola. Ieri è emersa l'ipotesi di dire stop a gite scolastiche, attività didattiche fuori sede e gemellaggi. E nel confronto con le Regioni si è anche parlato di prevedere la didattica a distanza per gli studenti delle scuole superiori. E vogliamo parlare delle cerimonie, dai matrimoni ai battesimi? Il tetto di partecipanti previsto è di 30 persone: in alcune zone d'Italia, questa cifra si raggiunge soltanto tra fotografi, truccatori e parrucchieri. Limitare la partecipazione a un matrimonio a 30 persone significa far morire letteralmente di fame ristoratori, wedding planner, servizi di catering, proprietari di ville adibite a sala cerimonie. Come prevede il governo di ristorare i ristoratori? Emettendo Conte-bond? Follia totale, così come folle è ridurre sul lastrico i gestori dei campi di calcetto, mentre si lascia tranquillamente che i mezzi pubblici siano affollati come sempre. Infine, un accenno alle smentite sulle ipotesi in circolazione che ieri sono piovute dall'ufficio stampa della Presidenza del consiglio. Ipotesi messe in circolazione, naturalmente, dagli stessi ministri. Altro che «fake news», qui l'unica cosa «fake» è proprio il governo giallorosso.
Dal turismo al calcetto, ecco chi resta fregato
Per capire la mazzata che il nuovo Dpcm rischia di infliggere ai settori che saranno messi nel mirino, occorre partire dai pesantissimi colpi già assestati agli stessi comparti dal lockdown prolungato dei mesi scorsi.
È Mariano Bella, che guida l'Ufficio studi di Confcommercio, a scattare la fotografia attuale, precedente rispetto al nuovo Dpcm, eppure di per sé impressionante: «Già circa 110 miliardi di ricavi in meno in questo 2020», proiezione coerente con le previsioni di un calo del Pil del 9-10%. Ma attenzione, spiega Bella: «Realisticamente questi dati negativi saranno quasi tutti concentrati in alcuni settori: turismo, ristorazione, convivialità, lo stare insieme». Esattamente i settori che avrebbero dovuto essere indennizzati in modo speciale, insieme al commercio in genere, essendo stati colpiti in modo diretto dalle chiusure: eppure, come si ricorderà, sul complesso dei 100 miliardi stanziati da marzo in poi, il governo ne ha assegnati solo 6 ai contributi a fondo perduto alle imprese, e con una formula cervellotica e al ribasso (appena il 20, o il 15 o il 10% della differenza tra i ricavi di aprile 2020 e quelli di aprile 2019).
«Il governo», spiega Bella, «sta sottovalutando gli effetti di questa situazione. In qualche passaggio mostra di averne contezza, come quando nella Nadef dice che anche nel 2021 bisognerà sostenere i lavoratori dei settori più colpiti dal Covid. Però occorrerebbe pensare non solo ai lavoratori dipendenti, ma pure alle imprese. Già adesso, senza ulteriori restrizioni, la nostra stima è di 270.000 imprese del commercio destinate a chiudere da qui a fine anno».
Ecco, se questa è la fotografia attuale, non è difficile immaginare che gli ulteriori interventi restrittivi progettati su ristoranti, bar, centri sportivi sono destinati ad arrecare il proverbiale colpo di grazia. Ad esempio, in ambito sportivo, sembra certo lo stop al calcetto amatoriale: pur limitando l'intervento alla sfera non agonistica, il riverbero sui circoli sportivi sarà pesante. Quanto alla stretta sui matrimoni (non più di 30 invitati), va ricordato che si stimano circa 80.000 imprese in Italia (oltre 10.000 in Lombardia) direttamente o indirettamente legate alla celebrazione delle nozze, con un giro d'affari annuo stimato in 15 miliardi.
In questo, la dinamica di ciò che può accadere è perfino brutale: se i potenziali ricavi da adesso a fine anno (e oltre) rischiano di essere prossimi al livello dei costi fissi, o addirittura inferiori, la sentenza di morte è quasi scritta. Se si va addirittura più in basso dei costi fissi, uno come fa a reggere? Le stime generalmente ritenute attendibili collocano questi costi fissi nel commercio al dettaglio intorno al 50% del totale dei costi di esercizio, e nella ristorazione e nell'alberghiero intorno al 30.
Intanto, si conferma la logica dei figli e dei figliastri. Nessuna pietà per ristoranti, bar e centri sportivi, mentre ci sarà mano più leggera - fa sapere Dario Franceschini - per cinema e teatri. Il che naturalmente rallegra moltissimo per questi settori, e addolora per quelli che invece non riceveranno uguale clemenza: «Continuo a leggere dichiarazioni o a ricevere appelli del mondo dello spettacolo sulla presunta volontà del governo di ridurre il limite di 200 persone al chiuso e di 1000 all'aperto per spettacoli dal vivo e cinema. Non esiste questo rischio», dice il ministro della Cultura.
Resta il dubbio che i settori colpiti siano quelli con minore visibilità mediatica e meno santi in paradiso (politicamente parlando). E rimangono altre due osservazioni lasciate a verbale alla Verità ancora da Mariano Bella. La prima riguarda ciò «che non vediamo, cioè le imprese non nate: si può stimare un 40% in meno rispetto al 2019». La seconda riguarda un paradosso anche dal punto di vista della sicurezza sanitaria: «Proprio nei locali (negozi, ristoranti, ecc) il rispetto delle distanze è garantito. Dunque, a rigor di logica, il governo dovrebbe incentivare a frequentarli, anziché imporre altre restrizioni».
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Coperture indossate con i non conviventi, «raccomandazione» per i party con un massimo di sei persone Valutato lo stop alle gite scolastiche, tagli alle nozze, locali chiusi alle 24 e «divieto di sosta» fuori dalle 21In arrivo l'ennesima mazzata per l'economia. Ma Dario Franceschini pensa solo ai «compagni» di cinema e teatroLo speciale contiene due articoli«Se proprio questa curva dovesse continuare a risalire prevedo qualche lockdown molto circoscritto territorialmente, ma non siamo più nella condizione di intervenire in modo generalizzato sul territorio nazionale o su ampie aree del territorio»: Giuseppe Conte esclude l'ipotesi di un nuovo lockdown nazionale, e ci mancherebbe altro, con un'economia italiana già in ginocchio. La giornata di ieri, in attesa del varo del nuovo Dpcm sul coronavirus, trascorre tra una riunione e una indiscrezione, una smentita e una smentita della smentita. Il premier Conte riunisce intorno alle 18, in videoconferenza, la cabina di regia tra governo, Regioni, Province e Comuni, insieme ai ministri agli Affari regionali, Francesco Boccia, e alla Salute, Roberto Speranza, prima di incontrare di nuovo il Comitato tecnico scientifico e poi i capidelegazione dei partiti di maggioranza (le Regioni avrebbero chiesto al governo 24 ore per visionare e ragionare sul nuovo Dpcm). I pilastri fondamentali della strategia di contrasto alla seconda ondata saranno, per ora, l'obbligo della mascherina anche all'aperto per l'intera giornata, tranne per chi si dedica al jogging e al footing; la chiusura di bar, pub e ristoranti alle 24 e lo stop della vendita delle bevande da asporto alle 21 per evitare assembramenti in piedi all'esterno dei locali; la chiusura alle 21 dei locali senza servizio al tavolo; la spinta allo smart working; un tetto massimo 30 invitati per quel che riguarda le feste per matrimoni, battesimi, prime comunioni e cresime; lo stop agli sport amatoriali da contatto come calcetto, basket e pallavolo, ma non per quel che riguarda i campionati agonistici.I limiti alle feste e agli incontri conviviali nelle abitazioni private fanno discutere. «Proveremo a incidere», ha spiegato a Che tempo che fa il ministro della Salute, Speranza, «su alcuni pezzi della vita delle persone che consideriamo non essenziali. Io ho proposto che vengano vietate tutte le feste, che in questo possono essere evitate». Ok, e chi controlla se qualcuno organizza una festicciola in casa propria per la comunione di sua figlia? «Quando c'è una norma», ha risposto Speranza, «questa va rispettata e gli italiani hanno dimostrato di non aver bisogno di un carabiniere o di un poliziotto a controllarli personalmente. Ma è chiaro che aumenteremo i controlli, ci saranno le segnalazioni». Avete letto bene: le segnalazioni. Eppure l'articolo 14 della Costituzione, che non ci risulta sia stato ancora abrogato, recita così: «Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale». Per sgominare gli spacciatori di fette di torta ci vuole un mandato di un giudice, non basta (per fortuna) la telefonata della vicina. «Gli accertamenti e le ispezioni», prosegue l'articolo 14 della Carta, «per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali». Considerato che un Dpcm non è una legge speciale, come può essere ad esempio una norma antiterrorismo, questa follia delle «spiate» non farà altro che ingolfare i centralini delle forze dell'ordine, che di cose serie da fare, ne hanno già in sovrabbondanza. «Nel Dpcm», ha aggiunto Conte, «inseriremo una forte raccomandazione sulle mascherine all'interno delle abitazioni private in presenze di persone non conviventi. Vogliamo dare il messaggio che se si ricevono persone non conviventi anche in casa bisogna usare la mascherina». Il concetto di «ricevere persone non conviventi» andrebbe studiato in filosofia teoretica: se sono conviventi, come fanno e essere ricevute in casa? Non si sa: quello che si sa è che il governo sembra in preda alla confusione più totale, tanto più che ieri sera è circolata pure l'ipotesi di limitare a sei il numero di persone ammesse alle feste in casa, attraverso una «raccomandazione», sostanzialmente una moral suasion. Non c'è pace neanche per la scuola. Ieri è emersa l'ipotesi di dire stop a gite scolastiche, attività didattiche fuori sede e gemellaggi. E nel confronto con le Regioni si è anche parlato di prevedere la didattica a distanza per gli studenti delle scuole superiori. E vogliamo parlare delle cerimonie, dai matrimoni ai battesimi? Il tetto di partecipanti previsto è di 30 persone: in alcune zone d'Italia, questa cifra si raggiunge soltanto tra fotografi, truccatori e parrucchieri. Limitare la partecipazione a un matrimonio a 30 persone significa far morire letteralmente di fame ristoratori, wedding planner, servizi di catering, proprietari di ville adibite a sala cerimonie. Come prevede il governo di ristorare i ristoratori? Emettendo Conte-bond? Follia totale, così come folle è ridurre sul lastrico i gestori dei campi di calcetto, mentre si lascia tranquillamente che i mezzi pubblici siano affollati come sempre. Infine, un accenno alle smentite sulle ipotesi in circolazione che ieri sono piovute dall'ufficio stampa della Presidenza del consiglio. Ipotesi messe in circolazione, naturalmente, dagli stessi ministri. Altro che «fake news», qui l'unica cosa «fake» è proprio il governo giallorosso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mascherine-in-casa-e-scure-sulle-feste-le-nuove-restrizioni-sono-un-delirio-2648180838.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dal-turismo-al-calcetto-ecco-chi-resta-fregato" data-post-id="2648180838" data-published-at="1602539134" data-use-pagination="False"> Dal turismo al calcetto, ecco chi resta fregato Per capire la mazzata che il nuovo Dpcm rischia di infliggere ai settori che saranno messi nel mirino, occorre partire dai pesantissimi colpi già assestati agli stessi comparti dal lockdown prolungato dei mesi scorsi. È Mariano Bella, che guida l'Ufficio studi di Confcommercio, a scattare la fotografia attuale, precedente rispetto al nuovo Dpcm, eppure di per sé impressionante: «Già circa 110 miliardi di ricavi in meno in questo 2020», proiezione coerente con le previsioni di un calo del Pil del 9-10%. Ma attenzione, spiega Bella: «Realisticamente questi dati negativi saranno quasi tutti concentrati in alcuni settori: turismo, ristorazione, convivialità, lo stare insieme». Esattamente i settori che avrebbero dovuto essere indennizzati in modo speciale, insieme al commercio in genere, essendo stati colpiti in modo diretto dalle chiusure: eppure, come si ricorderà, sul complesso dei 100 miliardi stanziati da marzo in poi, il governo ne ha assegnati solo 6 ai contributi a fondo perduto alle imprese, e con una formula cervellotica e al ribasso (appena il 20, o il 15 o il 10% della differenza tra i ricavi di aprile 2020 e quelli di aprile 2019). «Il governo», spiega Bella, «sta sottovalutando gli effetti di questa situazione. In qualche passaggio mostra di averne contezza, come quando nella Nadef dice che anche nel 2021 bisognerà sostenere i lavoratori dei settori più colpiti dal Covid. Però occorrerebbe pensare non solo ai lavoratori dipendenti, ma pure alle imprese. Già adesso, senza ulteriori restrizioni, la nostra stima è di 270.000 imprese del commercio destinate a chiudere da qui a fine anno». Ecco, se questa è la fotografia attuale, non è difficile immaginare che gli ulteriori interventi restrittivi progettati su ristoranti, bar, centri sportivi sono destinati ad arrecare il proverbiale colpo di grazia. Ad esempio, in ambito sportivo, sembra certo lo stop al calcetto amatoriale: pur limitando l'intervento alla sfera non agonistica, il riverbero sui circoli sportivi sarà pesante. Quanto alla stretta sui matrimoni (non più di 30 invitati), va ricordato che si stimano circa 80.000 imprese in Italia (oltre 10.000 in Lombardia) direttamente o indirettamente legate alla celebrazione delle nozze, con un giro d'affari annuo stimato in 15 miliardi. In questo, la dinamica di ciò che può accadere è perfino brutale: se i potenziali ricavi da adesso a fine anno (e oltre) rischiano di essere prossimi al livello dei costi fissi, o addirittura inferiori, la sentenza di morte è quasi scritta. Se si va addirittura più in basso dei costi fissi, uno come fa a reggere? Le stime generalmente ritenute attendibili collocano questi costi fissi nel commercio al dettaglio intorno al 50% del totale dei costi di esercizio, e nella ristorazione e nell'alberghiero intorno al 30. Intanto, si conferma la logica dei figli e dei figliastri. Nessuna pietà per ristoranti, bar e centri sportivi, mentre ci sarà mano più leggera - fa sapere Dario Franceschini - per cinema e teatri. Il che naturalmente rallegra moltissimo per questi settori, e addolora per quelli che invece non riceveranno uguale clemenza: «Continuo a leggere dichiarazioni o a ricevere appelli del mondo dello spettacolo sulla presunta volontà del governo di ridurre il limite di 200 persone al chiuso e di 1000 all'aperto per spettacoli dal vivo e cinema. Non esiste questo rischio», dice il ministro della Cultura. Resta il dubbio che i settori colpiti siano quelli con minore visibilità mediatica e meno santi in paradiso (politicamente parlando). E rimangono altre due osservazioni lasciate a verbale alla Verità ancora da Mariano Bella. La prima riguarda ciò «che non vediamo, cioè le imprese non nate: si può stimare un 40% in meno rispetto al 2019». La seconda riguarda un paradosso anche dal punto di vista della sicurezza sanitaria: «Proprio nei locali (negozi, ristoranti, ecc) il rispetto delle distanze è garantito. Dunque, a rigor di logica, il governo dovrebbe incentivare a frequentarli, anziché imporre altre restrizioni».
Zerocalcare e il presidente dell’Associazione italiana editori Innocenzo Cipolletta (Ansa)
«Abbiamo preso posizione molto forte quando c’è stata la censura di Scurati alla Rai. Abbiamo preso posizione quando il commissario italiano per la fiera di Francoforte ha dichiarato di aver censurato Saviano», ci dice Cipolletta. «Abbiamo preso posizione contro la censura, anzi l’arresto di uno scrittore come Boualem Sansal in Algeria. Siamo contro le censure. Ora che c’è una proposta di censura nei confronti di una casa editrice, anche se non condividiamo nulla del pensiero che porta avanti, non possiamo essere a favore di questa censura. Perché se censuriamo qualcuno di cui non condividiamo l’opinione, poi alla fine dovremo anche ammettere la censura nei confronti di quelli di cui condividiamo le opinioni. Quindi assolutamente siamo contro le censure». Cristallino. E Cipolletta rincara pure la dose: «Quando si comincia con la censura non si sa più bene dove si finisce. Oggi magari si censura qualcosa che non ci piace, ma domani si cominceranno a censurare anche opinioni che invece condividiamo, e rischiamo di prendere una china molto pericolosa. Se gli editori commettono reati, devono essere denunciati alla Procura. Noi non censuriamo».
Mentre il presidente dell’Aie dà lezioni di liberalismo, a sinistra si scatena lo psicodramma consueto. Zerocalcare ha mollato il colpo e non andrà alla fiera perché, sostiene, ha i suoi paletti. Lo scrittore Christian Raimo invece i paletti vorrebbe piantarli nel cuore dei fascisti e rivendica il tentativo di censura, spiegando che la sua pratica è «sedersi accanto ai nazisti e dire “voi vi alzate io resto qui”». Qualcuno forse dovrebbe dire a Raimo che i nazisti li vede solo lui, e non se ne andranno perché sono voci nella sua testa, amici immaginari che gli fanno compagnia così che si senta anche lui un coraggioso militante pronto al sacrificio per l’idea.
C’è poi chi non rimane a combattere ma se ne va, tipo la casa editrice Orecchio Acerbo, che ha comunicato la sua fuoriuscita dall’Aie «in assoluto e totale disaccordo» con la decisione «di accogliere tra gli espositori di “Più libri più liberi” l’editore Passaggio al Bosco, il catalogo del quale è un’esaltazione di concetti e valori in aperto contrasto con quelli espressi dalla Costituzione antifascista del nostro Paese. Abbiamo deciso», scrivono da Orecchio Acerbo, «di uscire dall’associazione. Decisione presa a malincuore, ma consolidata dopo la davvero risibile argomentazione del presidente Cipolletta: l’Aie non sceglie chi sì e chi no».
Cipolletta risponde con chiarezza: «Ci dispiace, ma ripeto, come associazione di editori cerchiamo di non censurare nessuno e penso che gli editori potrebbero apprezzare, dopodiché se qualcuno non apprezza...». Se qualcuno non apprezza vada per la sua strada: sacrosanto.
In tutto questo bailamme figurarsi se poteva mancare il sindacato.
Slc Cgil e Strade (sezione dei traduttori editoriali) ci hanno tenuto a esprimere «ferma condanna e profonda preoccupazione» per la presenza dell’editore di destra alla kermesse romana. «Consentire la diffusione di narrazioni che celebrano ideologie discriminatorie rappresenta una minaccia per il patrimonio comune di libertà e pluralismo», dice la Cgil. «La libertà di espressione non deve diventare un veicolo per l’apologia del fascismo. Questo non è un semplice dibattito culturale, ma una questione cruciale che misura la capacità della società di respingere ogni tentativo di riabilitazione dell’ideologia fascista. La cultura non può essere un terreno per il travestimento del fascismo come opinione legittima».
In buona sostanza, la Cgil chiede di bandire una casa editrice indipendente tenuta in piedi da ragazzi che lavorano guadagnando poco e faticando molto, che non sono nazisti né fascisti e che hanno regolarmente chiesto e ottenuto uno spazio espositivo. Dunque il sindacato - invece di occuparsi dei diritti di chi lavora - opera per danneggiare persone oneste che fanno il loro mestiere. Il tutto allo scopo di obbedire ai diktat di un gruppetto di autori che masticano amaro perché costretti a riconoscere l’esistenza di una cultura alternativa alla loro. Il succo della storia è tutto qui: non vogliono concedere «spazi ai fascisti» semplicemente perché temono di perdere i propri. Si atteggiano a comunisti ma difendono con i denti la proprietà privata della cultura che vorrebbero dominare con piglio padronale. Stavolta però gli è andata male, perché persino l’associazione degli editori ha capito il giochino e si tira indietro.
I padroncini dell’intelletto vedono sfumare la loro autoattribuita primazia e allora scalciano e strepitano, povere bestie.
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Ecco #Edicolaverità, la rassegna stampa podcast del 5 dicembre con Carlo Cambi
Andrea Sempio (Ansa)
Un attacco frontale. Ribadito anche commentando i risultati dell’incidente probatorio genetico-forense depositati dalla perita genetista Denise Albani: «L’ennesimo buco nell’acqua a spese del contribuente, ho perso il conto, tutto per alimentare un linciaggio mediatico di innocenti, sbattuti da mesi in prima pagina».
Il punto è che queste parole, pronunciate per demolire l’impianto accusatorio delle nuove indagini, finiscono per sbattere contro un dettaglio che l’avvocato Aiello (che aveva chiesto di trasferire il fascicolo da Pavia a Brescia «per connessione» ottenendo un rigetto) tiene da parte: fu proprio Venditti, nel 2016, a iscrivere il fascicolo (poi archiviato) su Andrea Sempio sulla base quasi degli stessi presupposti che anche all’epoca sembravano non tenere conto dell’intangibilità del giudicato, ovvero la sentenza definitiva di condanna a 16 anni per Stasi. Tant’è che furono richieste (proprio da Venditti e dalla collega Giulia Pezzino) e poi disposte dal gip perfino intercettazioni di utenze e, in ambientale, di automobili (attività che, proprio come quelle odierne, non sono gratuite). Anche la critica sulla prova genetica nasce zoppa. La genetista Albani, incaricata nell’incidente probatorio, ha depositato una relazione di 94 pagine che evidenzia gli stessi limiti già noti all’epoca: «L’analisi del cromosoma Y non consente di addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto». Ma, nonostante le criticità, i calcoli mostrano una corrispondenza «moderatamente forte/forte e moderato» tra le tracce di Dna sulle unghie di Chiara Poggi e l’aplotipo Y della linea paterna di Sempio. La conclusione è matematica: per la traccia «Y428 – MDX5», la contribuzione di Sempio è «da 476 a 2153 volte più probabile». Per la «Y429 – MSX1» è «approssimativamente da 17 a 51 volte più probabile». Non un’assoluzione, non una condanna, ma un dato: Sempio, o un soggetto imparentato in linea paterna con lui, ha contribuito a quelle tracce biologiche. La genetista avverte: «L’analisi del cromosoma Y non consente di addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto». Ricorda però un passaggio importante: che la mancata replica (in genetica forense un risultato è considerato affidabile solo se può essere riprodotto più volte) è dovuta a «strategie analitiche adottate nel 2014» dal perito Francesco De Stefano, che «hanno di fatto condizionato le successive valutazioni perché non hanno consentito di ottenere esiti replicati». Ovvero: non è colpa delle nuove indagini se i dati sono lacunosi, ma degli errori di allora.
La relazione (di 94 pagine) sostanzialmente non si discosta da quella già effettuata in passato dal professor Carlo Previderé, che nulla aggiunge su come e quando quelle tracce del profilo «Y» sino finite sulle unghie di Chiara. «Nel caso di specie», scrive infatti la genetista, «si tratta di aplotipi misti parziali per i quali non è possibile stabilire con rigore scientifico se provengano da fonti del Dna depositate sotto o sopra le unghie della vittima e, nell’ambito della stessa mano, da quale dito provengano; quali siano state le modalità di deposizione del materiale biologico originario; perché ciò si sia verificato (per contaminazione, per trasferimento avventizio diretto o mediato); quando sia avvenuta la deposizione del materiale biologico».
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Nel riquadro Nathan Trevallion, il papà della cosiddetta famiglia nel bosco, firma il contratto della nuova casa (Ansa)
I documenti sono stati depositati nell’udienza di ieri pomeriggio, dove avrebbero dovuto essere ascoltati Catherine Birmingham e Nathan Trevallion. Si tratta della coppia anglo-australiana che viveva con i tre figli minori, nella casa nel bosco, ma la coppia non era presente in aula. I genitori stanno combattendo per riottenere i bambini, lontani dalla casa nel bosco ormai da 14 giorni. Le importanti relazioni esaminate in aula sono una della casa-famiglia in cui i minorenni sono ospitati dal 20 novembre e l’altra dei servizi sociali. I ragazzi, dall’inizio della loro permanenza nella casa-famiglia in cui sono ospitati, sarebbero tranquilli e non avrebbero subito traumi, incontrano spesso la madre che viene considerata punto di riferimento dei piccoli e che sarebbe anche molto empatica. E anche il padre, pur vivendo ancora nella casa nel bosco, si prende cura dei figli.
Secondo la relazione, i bambini Trevallion hanno mostrato sorpresa davanti ai comfort moderni che trovano nella casa famiglia come l’acqua corrente sempre disponibile, il riscaldamento, gli elettrodomestici. Tutte cose che per i coetanei sono la normalità, ma per loro rappresentano una scoperta. All’udienza di comparizione, iniziata ieri verso le 15.30, erano presenti i due avvocati della famiglia, Marco Femminella e Danila Solinas. Sono loro che hanno chiesto un ricongiungimento urgente al tribunale minorile per la famiglia, presentando delle nuove argomentazioni alla luce di nuovi elementi che non erano conosciuti al tempo dell’ordinanza che ha separato genitori e figli. Anche i minori hanno un loro avvocato, Marica Bolognese. Maria Luisa Palladino è la tutrice provvisoria dei tre bambini.
I genitori hanno anche presentato ricorso, sulla decisione di allontanare i figli minori, alla Corte d’appello che dovrà decidere il 16 dicembre. Intanto, ieri si è iniziato a valutare l’impegno della coppia per garantire quanto disposto dal magistrato in termini di adeguatezza dell’ambiente domestico. La coppia ha deciso di cambiare abitazione per tre mesi, gli è stata messa a disposizione una casa colonica, sempre a Palmoli, immersa nel verde, dove resterà il tempo necessario per sistemare il casolare in cui abitava. A quanto sembra, però, si attende ancora un progetto di ristrutturazione della vecchia abitazione e in Comune a Palmoli non è stata ancora avviata alcuna procedura in merito. «Abbiamo fiducia nella magistratura, speriamo nel ricongiungimento, forniremo altri elementi utili, ma per ora non possiamo dire nulla», ha spiegato l’avvocato Solinas, assediata dai cronisti, all’ingresso del Tribunale per i minorenni dell’Aquila. «Stiamo lavorando bene», ha detto rispondendo alle domande dei giornalisti riferite alla strategia difensiva da attuare in udienza.
E anche all’uscita, i toni della Solinas e di Femminella erano distesi: «È stato un momento di colloquio, di confronto, di chiarimento e quindi di condivisione di un percorso. La decisione spetta al tribunale. L’udienza è il luogo deputato all’interlocuzione, al confronto è stata un’udienza assolutamente proficua, lunga. Si prospetta una proficua collaborazione». «Tra gli elementi che sono valutati in maniera positiva dal tribunale c’è sicuramente la disponibilità dei genitori in questi giorni», hanno aggiunto i due legali, che però non hanno potuto nemmeno ipotizzare quando i giudici scioglieranno la riserva. «Le tempistiche non le posso prevedere», ha risposto la Solinas ai cronisti. Non è chiaro, quindi, se la decisione del Tribunale dei minori arriverà prima o dopo quella della Corte d’appello.
Nelle due ore di udienza sono stati valutati su richiesta degli avvocati dei Trevallion i nuovi aspetti non conosciuti al momento dell’ordinanza di allontanamento del 20 novembre, questo per ottenere l’accoglimento della richiesta di ricongiungimento urgente per la famiglia, che sarà decisa nei prossimi giorni.
Intanto ieri il portavoce di Pro vita & famiglia, Jacopo Coghe, ha consegnato oltre 50.000 firme al ministero della Giustizia, raccolte dalla onlus con una petizione popolare rivolta al ministro Carlo Nordio per chiedere l’immediato ricongiungimento della famiglia Trevallion. «Il caso è diventato il simbolo di una deriva pericolosa, ovvero quando lo Stato, invece di sostenere i genitori, si sostituisce a loro. Così facendo calpesta il diritto dei minori a crescere con il proprio padre e la propria madre e lede il primato educativo che spetta alla famiglia», ha spiegato Coghe.
«In attesa di novità, speriamo positive, dall’udienza al Tribunale dei minori dell’Aquila di oggi pomeriggio (ieri, ndr)», aggiunge Coghe, «chiediamo al ministro Nordio di fare tutto quanto in suo potere affinché questa famiglia venga riunita e simili casi non si ripetano più. Non esiste tutela dei bambini senza rispetto dei loro genitori».
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