2023-12-24
«La tradizione esalta il valore delle donne, come nell’antica Roma»
L’antropologo Mario Polia: «Un errore applicare i nostri concetti di femminilità e mascolinità al passato. Rischiamo di distorcere storia e attualità».Mario Polia, antropologo, è autore di numerosi saggi estremamente suggestivi dedicati alle società tradizionali. Il suo ultimo lavoro, edito da Cinabro, si intitola La donna romana. Mater et sacerdos, e sbriciola numerosi stereotipi sulla presenza femminile nelle civiltà del passato. Molto più libere di quanto pensiamo.Professore, da diverso tempo si dibatte del ruolo della donna nella nostra società. Ma nella società romana come viveva la donna? Era oppressa come spesso si sostiene oggi? «Il mio libro è una rivalutazione del ruolo della donna nelle società antiche e nella fattispecie nella società romana, cui è dedicato. Parla soprattutto del ruolo della donna come educatrice e di un altro ruolo che aveva nell’antica Roma e che poi le è stato tolto: il ruolo sacerdotale. Per intendersi: la sposa del pontefice massimo o del flamine di Giove o degli altri flamini non derivava il suo prestigio dall’essere sposata a un sacerdote di altissimo rango, bensì aveva una propria dignità sacerdotale che affiancava quella del marito. Ed era incaricata di compiere alcuni riti nell’ambito del sacro femminile, preclusi all’uomo».Insomma, la donna aveva un ruolo di grande prestigio.«La manifestazione più grande, più intensa di questo sacerdozio femminile a Roma era il ruolo che lo Stato aveva affidato alle vergini vestali, custodi del fuoco sacro di Roma. La Vergine vestale, la vestale massima e le sue sacerdotesse rappresentavano nell’ambito statale quello che la Mater rappresentava nella famiglia: la madre custode del fuoco, del focolare domestico».Che cosa simboleggiava questo fuoco? «Il fuoco rimanda a un’energia divina radiante, attiva, trasformatrice, vitale. Cicerone - uno che si intendeva di queste cose perché era membro del collegio degli auguri ed era un profondo conoscitore della religione romana - sottolineava questo aspetto importante del culto di Vesta, senza il quale vano sarebbe stato il valore delle legioni di Roma e dunque la potenza politica e militare di Roma». Si può dire quindi che la potenza di Roma dipendesse anche dalle donne e da questo ruolo sacerdotale? «Non solo la potenza di Roma. Ma forse a questo punto è il caso di chiarire un po’ di cose. Spesso parliamo della femminilità o della virilità utilizzando dei cliché nostri che riteniamo perfettamente validi, e che sono validi nel nostro mondo. Il problema sorge quando li proiettiamo su un mondo diverso dal nostro. È vero: la donna romana, come la donna greca, non è mai entrata attivamente nella politica, non faceva parte del Senato, né di altre istituzioni dello Stato. Ma era presente eccome».In che modo? «Ad esempio la Sibilla di Delfi ha regolato i destini d’Europa. La stessa potenza militare di Roma non muoveva nulla se prima non venivano consultati i famosi Libri Sibillini custoditi nel tempio di Apollo. Quello della Sibilla era un ruolo importantissimo ed era solamente la donna a esercitarlo nell’ambito romano. Faccio un altro esempio. È vero che Roma è stata fondata da Romolo, ma il vero fondatore di Roma, sulla base del diritto civile e del diritto sacrale, è stato Numa Pompilio, un sabino. Pompilio era stato iniziato alla regalità da un’entità femminile».E questo particolare è molto rilevante? «Certo, perché dimostra come l’antichità attribuisse alla donna un prestigio legato al sacro e soprattutto alla veggenza. Le donne antiche, le grandi sibille, erano tutte donne ispirate da Apollo, Dio della luce. Insomma il ruolo della donna, romana e greca, coinvolgeva in qualche modo la sfera della sacralità e della sapienza. E qualcosa di simile si verificava anche presso altre civiltà, figlie della matrice indeuropea. Tra i germani, ad esempio, la sposa era colei che sussurra misteri all’orecchio e prima di prendere una decisione ci si rivolgeva o all’indovino ufficiale oppure, appunto, alla propria sposa. Le si chiedeva di decifrare il futuro». Spesso tendiamo a descrivere le società tradizionali come «patriarcali», poco rispettose della donna. Eppure lei sta descrivendo una situazione radicalmente differente.«Guardi io ho fatto quarant’anni di lavoro in Perù come ricercatore e lì succedeva la stessa cosa. Quando gli spagnoli arrivarono lì enfatizzarono il ruolo dell’inca in quanto re. Ma non bisogna dimenticare che era anche un sacerdote. Egli svolgeva i riti maschili. E la donna svolgeva riti femminili. La compagna dell’inca, la sua sposa, era sacerdotessa al pari dell’uomo. C’è un netto parallelo tra le società tradizionali europee e non europee riguardo al ruolo della donna. Ripeto: spesso giudichiamo delle civiltà e delle antropologie assolutamente diverse dalla nostra secondo i nostri canoni, ma sbagliamo».Possiamo parlare di una netta divisione dei ruoli, in cui entrambi avevano rilevanza?«La potenza virile a Roma era subordinata a una virtù comune all’uomo e alla donna: la pietas. Questa parola latina non va intesa assolutamente nel nostro senso di pietà come sentimento. La pietas è la fedeltà alla parola data, la fedeltà alla legge, la fedeltà all’ordine. Quindi pietas è la fidelitas, i due termini hanno la stessa radice. A Roma la capacità di incarnare lo ius, il diritto, era comune all’uomo e alla donna, ma si esplicava in modi diversi, dovuti appunto alla diversità del sesso e delle funzioni. Il sacerdozio romano prevedeva una suddivisione di ruoli molto precisa. La famiglia del flamine di Giove, ad esempio, era l’archetipo perfetto della famiglia romana, con padre e madre uniti da matrimonio indissolubile. Anche i figli erano coinvolti nell’esercizio delle funzioni sacerdotali come assistenti, come apprendisti che poi avrebbero preso la loro via dopo la pubertà. Questo era l’esempio perfetto della famiglia romana: un matrimonio indissolubile santificato dal servizio totale dei due sposi».
L’amministratore delegato di Fs Stefano Donnarumma (Ansa)