2025-05-14
«Sull’inchiesta mafia e appalti ci fecero desistere»
L’ex generale Mario Mori (Imagoeconomica)
In commissione parlamentare l’ex generale Mario Mori ha chiamato in causa i pm che archiviarono il fascicolo. Il M5s insorge.È esplosa in commissione Antimafia come una bomba a orologeria l’audizione di Mario Mori e di Giuseppe De Donno. I due ex ufficiali del Ros hanno tirato dritto contro i magistrati che nel 1992 hanno gestito l’indagine «Mafia e appalti». Hanno fatto nomi e cognomi: il procuratore Pietro Giammanco, i pm Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone. E anche Roberto Scarpinato, oggi senatore, allora togato tra i protagonisti della richiesta di archiviazione firmata il 13 luglio 1992, sei giorni prima della strage di via D’Amelio, quella in cui perse la vita Paolo Borsellino. «L’indagine Mafia e appalti», ha ricordato Mori, «sostenuta con convinzione da Giovanni Falcone prima e da Borsellino poi, ridefiniva l’approccio degli investigatori alle indagini, indicando politici e imprenditori non come vittime ma come concorrenti nell’illecito condizionamento. Il fenomeno riguardava l’intera isola con importanti connessioni a livello nazionale e questo secondo noi apriva prospettive delicate ma ineludibili». E ha ricordato gli ostacoli che il Ros avrebbe subito nel corso delle indagini e l’atteggiamento quanto meno «attendista» della magistratura locale. «L’insieme delle attività di indagini che poi prenderà a denominazione giornalistica “dossier mafia e appalti”», ha ricordato Mori, «ha rappresentato per me e per De Donno una serie di brucianti sconfitte. Più volte ci è stata chiusa la porta in faccia, costringendoci a ricominciare daccapo fino a obbligarci a desistere». I toni sono stati duri. Mori ha parlato senza filtri e ha tirato in ballo un’altra inchiesta, quella condotta a Massa Carrara dal sostituto Augusto Lama, archiviata anche questa da Gioacchino Natoli (poi intercettato, come ha svelato La Verità, a discutere dell’audizione in Commissione antimafia proprio con Scarpinato) quando fu trasferita a Palermo. Un’indagine delicata, che tracciava legami tra i fratelli Buscemi, fedelissimi di Totò Riina, e il business delle cave di marmo di Carrara, formalmente intestate alla Ferruzzi di Raoul Gardini. A Carrara, secondo quanto ricostruito dai carabinieri, era arrivato addirittura Girolamo Cimino, cognato dei Buscemi, per seguire da vicino gli affari. Mori ha accusato: quei fratelli, legati a doppio filo a Cosa nostra, avrebbero ceduto immobili nel centro di Palermo in qualche modo proprio ai pm Lo Forte e Pignatone. Il generale ha ricordato i procedimenti giudiziari e quelli disciplinari (attivati dal ministro della Giustizia Claudio Martelli) scattati contro chi, come Lama e Felice Lima, aveva provato a procedere. Poi, la frase che ha gelato l’aula: «Lima e Lama sono stati bloccati con artifizi procedurali, Falcone e Borsellino sono stati abbattuti dalla mafia». Le parole non sono cadute nel vuoto. E hanno scatenato il caos. I parlamentari del Movimento cinque stelle hanno reagito con una controffensiva durissima. «Quella di Mori e De Donno», scrivono Stefania Ascari, Anna Bilotti, Federico Cafiero de Raho, Michele Gubitosa, Luigi Nave e lo stesso Scarpinato, «è stata una riscrittura totale della storia. Un’operazione pericolosa, infarcita di menzogne e omissioni, che getta fumo anziché fare chiarezza». Non è l’unica contestazione. I Cinque stelle parlano anche di Borsellino, smentendo la tesi secondo cui non fosse stato informato dell’archiviazione parziale del fascicolo, poi riaperto: «È falso anche questo». Ma secondo il capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Antimafia Riccardo De Corato, ora «intoccabili e professionisti dell’antimafia ne dovranno rispondere». E il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri ha aggiunto: «Le parole di Mori pesano come pietre». Giuseppe Conte, De Raho e Scarpinato, però, hanno indetto per oggi una conferenza stampa. Per loro la commissione Antimafia «è sotto sequestro politico».
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Polizia di fronte al Louvre (Ansa)
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