La lagna del «partigiano» Marinelli. Prima interpreta il Duce, poi frigna

La nonna antifascista, per fortuna, è contenta. L’attore Luca Marinelli ci ha tenuto a farlo sapere. Era molto preoccupato perché a lui è toccato il ruolo di Benito Mussolini nella nuova serie Sky. E si tratta di un ruolo «veramente doloroso», ovviamente «per un discorso di etica», un ruolo cui lui «non si voleva avvicinare», che gli ha fatto vivere un «sentimento orrendo». Ma per fortuna la nonna adesso «è contenta». E gli ha dato il via libera. Per tranquillizzarla Luca ha dovuto organizzare una visione in anteprima, una proiezione privata dell’intera serie a Cinecittà, al termine delle quale l’onore antifascista della famiglia Marinelli è stato dichiarato salvo. Fare una fiction non è reato. Incredibile: si può interpretare Mussolini senza finire appesi a testa in giù. «Nonna alla fine mi ha detto: hai fatto bene. E questo mi ha rincuorato». Viva la resistenza in pellicola. Viva i partigiani del set. Stamattina mi son svegliato e ho trovato un attor. O bella ciao.
L’attore Luca Marinelli racconta questo suo travaglio familiar-resistenziale in una doppia paginata sul Corriere della Sera, una lunghissima intervista a cura di Walter Veltroni. Chiarisce subito che lui quel ruolo non lo voleva proprio fare, anzi non si voleva nemmeno avvicinare ad esso, gli faceva schifo, ma poi «purtroppo ha dovuto farlo». E già qui scatta il primo allarme antifascista: com’è che avranno obbligato il povero Marinelli, eroe della resistenza, a interpretare l’insopportabile ruolo del Duce? Con l’olio di ricino? Col manganello? L’avranno tenuto segregato a Ventotene? Quel che è certo è il suo tormento: «Ho dovuto indossare le vesti di chi disprezzava l’umanità. Un sentimento orrendo che ho vissuto per sette mesi, durante le ore del set». Una vera tortura, in pratica. Ma questo è il fiore del partigiano morto per la serie Sky.
L’enorme sacrificio di Marinelli però è stato compensato. Perché questo ottimo attore quarantenne, già premiato con Nastri d’Argento, David di Donatello e riconoscimenti alla Mostra di Venezia, nonché dotato di un curriculum eclettico, dalla fiction con Barbara d’Urso ai camei nei Cesaroni, per non dire del film Lo chiamavano Jeeg Robot, è di colpo diventato un esperto di fascismo. E come tale viene intervistato da Walter Veltroni, che tratta Marinelli alla pari di Renzo De Felice, non chiedendogli dettagli sulla fiction ma giudizi sul Ventennio. E lui, l’attore passato da Jeeg Robot al Duce, è lieto di offrire risposte che in realtà sono lezioni di storia. Del resto ha capito tutto. Soprattutto, ha capito che Mussolini «non era mai sincero, neanche con sé stesso». Che non «aveva una dimensione privata». E che «Dio non era qualcosa che lui prendesse in considerazione». E come abbia fatto a capire tutto ciò leggendo il copione di una serie tv, tratta dal libro di Antonio Scurati, è difficile dirlo. Ma l’ha capito. E non esita a farlo sapere anche se, dice, i grandi maestri gli hanno insegnato che «quando scelgo un ruolo la cosa più importante è sospendere il giudizio». Ma come si fa a sospendere il giudizio in un caso come questo? Proprio quando si interpreta Mussolini? E quando ti intervista Veltroni? I grandi maestri perdoneranno. Ubi Walter minor cessat.
Non è nemmeno sfuggito all’occhio attento di Jeeg Renzo Robot De Felice, al secolo Luca Marinelli, lo stretto nesso del Ventennio con i tempi attuali. Su questo, bisogna ammetterlo, l’intervistatore lo ha molto facilitato, perché una domanda sì e una no, fra quelle poste da Walter, era di questo tenore: «È accaduto, può succedere di nuovo?», «Lei teme che si possa tornare a sistemi autoritari?», le frasi di Mussolini non le «sembrano attuali?». Debitamente stuzzicato, l’intervistato non esita a buttarsi a capofitto sull’attualità del pericolo fascismo. Altrimenti che partigiano del set sarebbe? Così spiega in modo chiaro che lui non ha affatto voluto «relegare il racconto ad una storia del passato» ma piuttosto ha voluto «portarlo al presente». Poi aggiunge che la storia del Duce è «profondamente attuale». E poi ancora: «Vedo tanti parallelismi», «tutto può degenerare rapidamente», «la libertà ci può essere tolta in un tempo non breve». E se io muoio sulla smart tv tu mi devi seppellir. O bella ciao.
Il professor Marinelli, già laureato alla cattedra dei Cesaroni, ne approfitta per distribuire anche altre pillole di saggezza. Per esempio scopre che «in alcune parti del mondo oggi ci sono delle dittature» (chi l’avrebbe mai detto?). Poi declama: «I silenzi sono il concime di ogni dittatura» (plagio dei baci Perugina?). Quindi paragona Mussolini a «questi politici che vediamo fare dirette sui vari social, che entrano in casa tua fingendo di parlare direttamente con te» (i famosi fasci di Instagram). Ma soprattutto Marinelli usa le due pagine messe a disposizione dal Corrierone per esprimere tutta la sua infinita sofferenza per aver dovuto vestire i panni di Mussolini. Cosa che ovviamente, lui non avrebbe mai voluto fare.
E dire che nella sua breve ma straordinaria carriera Marinelli ha già interpretato altri ruoli non propriamente edificanti, da Diabolik al killer della ’ndrangheta. Eppure non s’è mai sentito obbligato a scusarsi. Per il Duce invece sì. «È stato doloroso», dice, è stato un «sentimento orrendo». Un po’ come se Al Pacino si sentisse in dovere di chiedere scusa per aver interpretato il Padrino o Anthony Hopkins si giustificasse per aver vestito i panni di Hannibal Lecter. Ve lo immaginate? «Ho chiesto il permesso a mia nonna, perché non è vero che in famiglia siamo cannibali».
Sembra assurdo, si capisce. Ma si sa che quando si parla del fascismo è tutto diverso. Quando si parla del fascismo, come sottolinea argutamente Veltroni, sparisce persino il sole. «Non c’è mai il sole in questo film», nota Walter. «Sì, non c’è mai il sole», risponde Luca. Un intero film al buio, vi rendete conto?, per non mescolare il fascismo con il sole. E tutto perché la nonna di Marinelli è antifascista. Ma quella del sole, evidentemente, molto di più.






