2023-05-22
«Realtà manipolata per colpire chi viene ritenuto avversario»
Il politologo Marco Tarchi: «Giornalisti e intellettuali fanno continue falsificazioni per inculcare idee senza diritto di replica. Basta vedere cos’è successo con Alain de Benoist».Marco Tarchi è uno dei più autorevoli intellettuali italiani: impossibile da incasellare, impossibile da ignorare. È stato il primo a prendere la parola per denunciare il trattamento riservato dalla stampa italiana ad Alain de Benoist, un altro pensatore libero con cui Tarchi ha costruito da molti anni un prezioso sodalizio.Professore, sembra non finire mai: ogni settimana una nuova polemica sul fascismo di ritorno e la destra che avanza. Persino un intellettuale libero e non incasellabile come Alain de Benoist viene preso di mira perché per la prima volta dopo decenni lo hanno invitato al Salone del libro di Torino. Non è un po’ stanco? Davvero non possiamo uscire da questo recinto ideologico?«Si figuri se non ne sono stanco; però riguardo la sua domanda non sono ottimista: sarà difficile liberarsi di questa situazione, e devo dire che non ci voleva molto ad immaginare che la situazione, a partire dal giorno dopo le ultime elezioni, sarebbe peggiorata».Cioè?«Cioè che sarebbe stato utilizzato ogni argomento per cercare di mettere in difficoltà il governo Meloni, nei confronti del quale io ho molte riserve personali, ma credo che gli avversari dovrebbero cercare di attaccarlo su questioni che attengono al suo modo di agire, non ad altro. Invece gli attacchi arrivano pure perché un consulente del ministro Sangiuliano, l’editore Francesco Giubilei - ha chiamato al Salone un autore di cui ha appena pubblicato un volume importante sull’identità, e questo autore si permette di esprimersi davanti al pubblico venuto ad ascoltarlo. Queste sono basse manovre - chiamiamole in questo modo per non dire di peggio - di cui non ci libereremo, almeno finché non cesserà l’atteggiamento strumentale di gran parte del giornalismo italiano e della classe intellettuale. I quali non esistano a manipolare la realtà dei fatti per cercare di colpire tutti coloro che ritengono ideologicamente avversari».Ho la sensazione che ormai non sia nemmeno più una questione ideologica, ma un mero gioco di potere. Ne abbiamo avuto la conferma con le polemiche sull’addio alla Rai di Fabio Fazio: una parte della sinistra pretende di avere il controllo dell’informazione e della cultura. Non tollera che altri trovino spazio.«Sono d’accordo. Aggiungerei però che c’è un altro fattore alla radice di questo atteggiamento: l’idea di fondo di una certa parte del mondo della sinistra che al proprio versante appartenga tutto ciò che si può considerare positivo in una parola, il Bene, mentre tutto ciò che le è estraneo è il Male: è rozzezza, è stupidità, è malvagità, eccetera. Su questo manicheismo, su questa dicotomia, la sinistra prima quella comunista, poi la sua reincarnazione liberal-progressista ha costruito la sua egemonia nel mondo della cultura e dell’informazione, anche se naturalmente tende sempre a negarne l’esistenza, sostenendo che tutti sono liberi di dire ciò che vogliono...».E non è così? In fondo la censura non c’è, grazie al cielo. «Formalmente, no. Ciò che accade è un po’ diverso. Quella parte della sinistra detiene le chiavi di tutti i luoghi nei quali si può effettivamente esercitare una qualche influenza culturale, vietando agli estranei l’ingresso nella cittadella, e poi dice agli avversari: “Perché invece di lamentarvi non fate le vostre cose nelle nicchie marginali di cui disponete? Statevene tranquilli, nessuno vi manderà la polizia in casa”. Ecco, questa è una situazione di egemonia caratteristica dei regimi blandamente autoritari, a parole tanto deprecati, e non è così che dovrebbe funzionare una autentica democrazia. Questa pretesa di superiorità intellettuale descritta perfettamente da un intellettuale che viene da quel mondo e che tuttora ritiene di appartenervi, Luca Ricolfi, produce una discriminazione di fatto costante di chi la pensa diversamente. Pubblicare per un editore di rilievo o su un giornale ad ampia diffusione per chi dissente dalla vulgata dominante è tabù a meno che non resti circoscritto nella sua specializzazione accademica. A ciò vanno aggiunte le manipolazioni».Ad esempio? «Parlavamo del caso de Benoist. Durante la campagna stampa dei giorni passati abbiamo letto affermazioni molto discutibili e anche falsificazioni. Guido Caldiron, sul Manifesto, ha scritto che de Benoist ha svolto una critica radicale della democrazia, sostenuto le tesi più violentemente anti-egualitarie per «rendere nuovamente possibile discriminare e dividere, separare e selezionare gli esseri umani». Un mostro, insomma. Ma de Benoist, per lo meno da 35 anni a questa parte, dice l’esatto contrario. Cerca di promuovere la democrazia partecipativa e combatte l’omologazione, non la parità etica fra le persone. Quindi siamo alla falsificazione pura e semplice».Salman Rushdie ha scritto qualche giorno fa che siamo in un momento molto brutto della storia dell’Occidente: un’epoca cui si censura, si cancellano le idee e non c’è abbastanza libertà di espressione. È vero secondo lei? O questa storia della libertà di espressione limitata è una ossessione della destra e di quelli che pensano di essere contro il sistema?«Io ritengo che ci sia un grande pericolo, perché la socializzazione alle idee censorie è sempre più forte e parte, sfortunatamente, dai primi livelli educativi. Siamo di fronte al tentativo di inculcare alcune idee prodotto di una ben precisa ideologia in maniera ultimativa e imperativa, senza concedere alcun tipo di replica. La discriminazione avviene nel giornalismo, nell’accademia, nelle istituzioni culturali ma anche, in maniera ancor più pericolosa, in molti ambienti scolastici. In Paesi come la Francia dove questo processo è molto più avanzato di quanto non lo sia da noi - c’è un forte dibattito su questo tema. Ci sono scuole, facoltà universitarie e licei in cui è proibito parlare di determinati temi, anche in forma di dibattito, citando autori che non sono considerati compatibili con la cosiddetta ideologia woke. Si censura chi non si adegua alle teorie del gender, chi critica la cancel culture, chi fa presenti, sulla base di analisi scientifiche, le ricadute negativa della crescita del multiculturalismo».Ecco un aspetto curioso. Come dimostra qui da noi il caso di Carlo Rovelli, non si censura solo l’intellettuale «di destra», ma chiunque esca dai limiti prefissati.«Sì. Ci sono stati vari casi in cui la caccia alle streghe non colpisce intellettuali di destra, bensì ricercatori di diversa estrazione che si sono azzardati a pubblicare volumi e inchieste che toccavano questi temi. Ormai si punta a soffocare ogni forma di dissenso, e questo ci porta molto fuori dalla democrazia».Spesso la destra punta il dito contro quella che definisce egemonia culturale di sinistra. Io però ho la sensazione che siamo di fronte a qualcosa di diverso. Un’egemonia del liberalismo (nel senso in cui lo intende ad esempio de Benoist) o comunque di una sinistra che ha assunto molto delle pose ideologiche del liberalismo. Un tempo forse si sarebbe parlato di americanismo, oggi potremmo forse parlare della cultura globalizzata. Che ne pensa?«Che l’offensiva proviene da varie direzioni. C’è una sinistra old style che insiste sull’antifascismo e sulle accuse di negazionismo a chi non sottoscrive la sua visione della storia e ce n’è una new look di ispirazione statunitense, più radicale e a volte violenta, che dietro la formula della lotta contro tutte le discriminazioni si fa veicolo di una sorta di liberalismo estremo, dove all’individuo si assegnano tutti i diritti e ai soggetti collettivi popoli, culture si nega persino il diritto all’identità».Tra i nuovi mantra ideologici ci sono quelli, particolarmente insidiosi, del pensiero cosiddetto «green». La «transizione ecologica» è divenuta incontestabile, come emerso negli ultimi giorni dalla discussione pubblica sulla alluvione in Emilia Romagna. «Sono tra coloro che da vari decenni ritengono l’attenzione ai problemi ecologici fondamentale, ma anche io sono preoccupato dal divieto di dibattito che esiste sulle cause e le conseguenze di questi disastri. Ogni tipo di dogmatismo va combattuto, da qualunque parte provenga, altrimenti impoveriremo la nostra società e la ridurremmo ad una sorta di cassa di risonanza delle idee di “quelli che contano”, tecnici o politici che siano, e ritengono di essere gli unici ad avere diritto di parola».È corretto secondo lei affermare che la cultura woke o questo nuovo tipo di ecologismo (più di facciata che altro) siano forme di religione o comunque di gnosi? A me pare che abbiano una componente messianica: pochi eletti si ritengono in possesso della mappa per giungere al paradiso in Terra. E chi non è convinto è un malvagio, un traditore. «In tutte le ideologie c’è un fondo etico che confina con la religiosità: hanno dogmi, puntano alla salvezza dell’individuo, dell’umanità, di una classe sociale, di una razza, di un popolo. E spesso suscitano forme di fanatismo. Nei casi che cita, siamo già arrivati a questo stadio».