2023-11-27
«La Germania sbanda e il conto rischiamo di pagarlo anche noi»
Marco Fortis (Imagoeconomica)
L’economista Marco Fortis: «Forte del suo export drogato dall’euro, Berlino credeva di colonizzare la Cina. E ora Pechino la tiene per il collo».Professor Marco Fortis, economista e vicepresidente della Fondazione Edison, si aspettava il rallentamento della nostra economia?«Il rallentamento in realtà c’è stato nel secondo trimestre. Il terzo è rimasto piatto. Il turismo, complici anche problemi quali l’alluvione in Emilia-Romagna, non è stato all’altezza delle aspettative. La diminuzione della produzione industriale si è avuta nel secondo trimestre con lo stop al Superbonus. È dentro l’edilizia che va infatti a finire un’importante fetta della manifattura: infrastrutture metalliche in genere, cemento, piastrelle, legnami e rubinetterie». Gli altri Paesi?«La Germania nel terzo trimestre ha fatto -0,1%, la Francia +0,1% e il Regno Unito zero. Tutta l'Europa è ferma. Solo la Spagna cresce di più ma perché era rimasta molto indietro nella reazione post Covid. Ma se vuole trovare dati interessanti sulla nostra economia deve cercarli all’estero, in Gran Bretagna. Il loro ufficio statistico certifica che l’Italia nel terzo trimestre 2023 è sopra del 3,3% rispetto al quarto trimestre 2019. L’ultimo pre Covid. Parigi e Londra sono a +1,8%, e Berlino soltanto a +0,3%. La Spagna: +2,1%. Stati Uniti oltre il 7%. Ma non hanno mai fatto chiusure come le nostre in tempi di pandemia».Con le regole europee sospese… siamo cresciuti di più.«Il debito pubblico italiano è cresciuto in valore assoluto del 16% confrontando il secondo trimestre del 2023 con quello del 2019. Quello francese del 29% e quello tedesco del 24%. La stabilità del governo Draghi ha giocato un ruolo importante. Ora avremo sicuramente ricadute in termini di aumento del debito a causa degli effetti del Superbonus. Questo ha avuto un impulso importante ma esagerato generando spinte inflattive e sacche di disonestà; tanto pagava Pantalone. Peccato perché dopo 15 anni di depressione vi erano già segnali di risveglio del settore prima del Covid. Rendere la misura più strutturale, e con una percentuale ragionevole, sarebbe stato molto meglio. Avrebbe avuto un effetto rigenerante e non dopante».L’impatto del piano Industria 4.0 a lei tanto caro è stato rilevante?«Quegli incentivi e defiscalizzazioni hanno innescato un circolo virtuoso di investimenti. Le imprese hanno acquistato macchinari e robotica diventando strutturalmente competitive e migliorando -ad esempio- organizzazione del magazzino e gestione dei fornitori. L’Italia nei primi sei mesi del 2023 ha esportato 345 miliardi di dollari. Praticamente quanto i 351 del Giappone che ha il doppio dei nostri abitanti. Il Paese della qualità totale e del just in time. Ricorderà gli slogan degli anni Novanta. Non considero l’export olandese. È un Paese di transito e non di manifattura. Ma le do un’anteprima».Cioè?«Fondazione Edison ha costruito un modello di analisi statistica dettagliatissima su 5.613 prodotti. In 1.586 casi l’Italia è fra i primi cinque posti quanto a surplus commerciale. In 244 comparti siamo al primo posto: con un surplus commerciale con l’estero di circa 76 miliardi. In 390 siamo secondi: altri 79,9 miliardi di surplus. In 362 siamo terzi con 51,3 miliardi di avanzo. Ce ne sono 318 in cui siamo quarti e con 34,3 miliardi di dollari di surplus. Quindi 272 in cui siamo quinti: altri 26.4 miliardi. 1.586 comparti in cui noi competiamo a livello Champions League. 268,1 miliardi di surplus. Ma posso darle un’altra novità assoluta!»Fortis inarrestabile…«Non prendiamo il 2022. L’esplosione dei prezzi dell’energia falsa tutto. L’Italia nel 2021 aveva la settima migliore bilancia commerciale con l’estero, pari a 48 miliardi di dollari (compresa l'’nergia) fra i Paesi del G20. Davanti soltanto Cina, Germania, Russia, Arabia Saudita, Australia e Brasile. Solo Cina e Germania sono Paesi manifatturieri. La Francia aveva -134 miliardi. Lo stesso Giappone del just in time -16 miliardi. Regno Unito -227. L’Italia è con la Germania l’unica grande potenza occidentale con un surplus manifatturiero commerciale importante. Dividiamo il surplus in tre parti. Le faccio vedere una cosa mai vista prima».Mi sorprende sempre… le do atto.«Nel 2021, il disavanzo in energia (11,5% del commercio mondiale) era -57 miliardi. Poi c’è il macro-mondo automotive, elettronica, telefonini. Le mega imprese, per intendersi. Il disavanzo italiano è contenuto: -9 miliardi. Francia? -45! Giappone? +120. Campioni come Corea e Cina: +133 e +264. Tolti questi due capitoli, rimane il 66,3% del commercio mondiale. E qui, siamo terzi al mondo con +114 miliardi di surplus. Dietro di noi il Giappone. Questo è il Made In Italy che quasi nessuno vede talvolta anche nel mondo imprenditoriale».Cosa non va nella politica del governo su questi temi?«Aver recuperato d’accordo con l’Europa risorse spendibili per il Pnrr e per le imprese è stato importante. Bisogna andare verso Industria 5.0. Nel settore meccanico, le do un altro dato che nessuno conosce. L’Italia disponeva nel 2022 di uno stock ben 22.769 robot installati nelle sue fabbriche contro i 15.895 degli Usa. Servono tecnici da formare, non nell’istituto tecnico vecchio stampo, dove c’è dentro un tornio della Seconda guerra mondiale, ma robot di ultima generazione. Siamo quelli del Parmigiano Reggiano, del prosciutto di Parma, del San Daniele, del Grana Padano, della frutta e verdura fresca. Ma abbiamo anche un’industria alimentare all’avanguardia nei prodotti da forno, merendine, cioccolati. Abbiamo 10.866 robot installati nell’industria alimenti e bevande in Italia. Terzi al mondo. Davanti a noi solo la Cina e Usa. Il Giappone ne ha poco meno di 8.700. Incredibile. La Germania 6.373; quasi la metà nostra». Forse siamo riusciti a fermare in parte il demenziale regolamento europeo sul packaging con l’ultimo voto in plenaria al Parlamento Ue…«I burocrati europei non premiano i migliori. Quelli che fanno Pil raggiungendo i migliori livelli di sostenibilità. Il nostro indice di pressione sulle materie prime in Ue è inferiore solo a quello della Spagna e dell’Olanda. Ma questi non sono Paesi che hanno la nostra manifattura. L’Europa, in generale, è la parte di mondo che sta facendo meglio in termini di Indice di Sviluppo Umano sostenibile corretto per le pressioni planetarie (reddito pro capite, aspettativa di vita e scolarizzazione, più CO2 emessa e prelievo di risorse naturali). Tenendo conto della sostenibilità ambientale siamo al terzo posto nel mondo. C’è solo il Giappone nei primi dieci Paesi a non essere europeo. Al nono posto. Questi burocrati trattano l’Europa come se fosse colei che distrugge il mondo. Timmermans, che dopo questa sconfitta elettorale spero debba rendere conto delle scelte fallimentari imposte, ragiona in termini di spostamento ma non di riduzione dell’inquinamento. Se chiudiamo un’acciaieria qua, riaprirà in Cina. Ma non con i nostri standard ambientali. Emetteranno più CO2 e l’inquinamento aumenterà».Le diranno che loro possono farlo perché devono crescere…«E quindi sono autorizzati ad inquinare perché noi lo facevamo nell’Ottocento con la tecnologia di allora? Siamo ai primi posti in Europa, e soprattutto in Italia, quanto a riciclo di carta e plastica. Se la Cina deve fare i telefonini, non deve essere autorizzata a a produrli a scapito di ambiente e lavoratori».Lei ha espresso dure critiche sulla politica monetaria della Bce. Ha faticato a riconoscere il problema inflazione?«Ha fatto troppo in troppo poco tempo. L’unico risultato ottenuto è la stagnazione. L’inflazione sta scendendo principalmente perché scendono i prezzi dell’energia e non c’entra nulla la Bce. Ma quella cosiddetta “core” (che non ne tiene conto) è ancora alta». Perché?«Se lei ha comprato materie prime e le ha in carico coi prezzi dell’anno scorso non può abbassare di colpo i prezzi. I meccanismi di trasmissione hanno i loro tempi». La nostra è un’inflazione da carenza di offerta in campo energetico. Non da eccesso di domanda. Servirebbero più investimenti. E quindi una politica monetaria opposta?«Ma non investimenti diffusi a pioggia bensì concentrati in pochi grandi progetti. Un reattore nucleare small modular di ultima generazione ultrasicuro da 300 Megawatt si potrebbe farlo, esagero, in un centro città e potrebbe essere spento o acceso a seconda delle necessità. Non è come i reattori nucleari fatti in Francia negli anni Settanta. Impensabile andare avanti solo con le rinnovabili, per definizione intermittenti. E ci servirà ancora il gas per molto tempo».La Germania dalla metà del 2019 a settembre 2023 ha perso oltre il 9% in termini di produzione industriale. Tornerà ad essere il malato d’Europa?«Spero di no, perché è pur sempre un pilastro. E ne risentiremmo. Ma siamo di fronte ad uno sbandamento di proporzioni mai viste. La Germania è diventato un meraviglioso gigante dell’export con le riforme ma soprattutto grazie alla droga dell’euro. Un Paese con 80 milioni di abitanti si è trovato ad avere un mercato di 300 milioni di persone senza il problema che la moneta si rivalutasse nonostante i surplus commerciali. I greci hanno continuato ad indebitarsi per comprare Mercedes anziché una Lexus. Cosa che sarebbe avvenuta con la rivalutazione del marco, se non ci fosse stato l’euro. Poi la Germania ha creduto di colonizzare economicamente Paesi come Russia e Cina. Dalla prima prendeva il gas a buon prezzo. Cosa ora impossibile. E la Cina ha le batterie con cui i tedeschi ora pretendono di vincere la sfida dell’auto elettrica. Ma Pechino li tiene per il collo. L’impero industriale tedesco da colonizzatore diventa colonizzato».
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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