2022-11-16
Nella Manica guardarono affogare i migranti
Così le autorità transalpine ignoravano i naufraghi di Calais: «Aiuto, sono in acqua». «Sì, ma in quelle inglesi».Supplicavano di aiutarli. Alcuni erano già in mare. E, a telefono con i centralinisti che avrebbero dovuto soccorrerli, si affannavano a spiegare il punto esatto in cui si trovavano. Ma, quando su Whatsapp è arrivata la posizione precisa per il soccorso, dal centro di Sos invece di mandare un gommone hanno commentato: «Adesso sono nelle acque inglesi, se richiamano bisogna rispondere di chiamare il 999 (il servizio d’Oltremanica, ndr)». Le pagine di un fascicolo giudiziario dalle quali trasuda il buonismo alla francese ricostruiscono la tragedia nella Manica del 24 novembre 2021, nota come il naufragio di Calais. Quel giorno un piccolo natante diretto verso il Regno Unito cominciò a imbarcare acqua, finché non affondò. Morirono 27 migranti e tra loro c’erano almeno sei donne e una bambina. Due soli i superstiti. Le trascrizioni delle disperate telefonate dei migranti in cerca di aiuto e quelle di chi avrebbe dovuto tendere loro una mano sono state pubblicate dal quotidiano Le Monde e hanno completamente gelato i galletti alle prese con le filippiche contro l’Italia che gli ha rifilato i passeggeri della Ocean Viking. Ieri proprio Le Monde ha pubblicato in prima pagina una vignetta con Giorgia Meloni china sul tavolo che dà un colpo con il dito alla Ocean Viking per allontanarla. Ma ora emerge che i menefreghisti dei soccorsi in realtà parlano francese. «Per favore, per favore, abbiamo bisogno di aiuto, aiutateci per favore», riporta una delle trascrizioni. Ed è solo una delle tante comunicazioni registrate tra l’imbarcazione naufragata e il Cross, il Centro regionale operativo di sorveglianza e di salvataggio marittimi di Gris Nez, nella regione del Pas de Calais. Il dramma si è consumato nel giro di tre ore, come documenta un servizio trasmesso ieri nel Regno Unito su Itv. Il pool che ha svolto l’inchiesta giornalistica ha avuto accesso ai documenti giudiziari che descrivevano minuto per minuto gli eventi di quella notte, sulla base del registro di emergenza della Guardia costiera francese. Le Monde, invece, fa notare che sono stati contattati anche i soccorsi britannici, ma il rapporto delle loro attività non è stato ancora allegato all’inchiesta. Per ora, però, la documentazione sembra aver messo con le spalle al muro l’accoglienza del Paese dei Lumi. Con uno dei naufraghi in linea con il Cross, si sente l’operatore ripetere a telefono: «Se non ho la tua posizione non posso aiutarti. Mandami subito la tua posizione e ti manderò una barca di soccorso il prima possibile». E nonostante l’invio della posizione (probabilmente l’ultima azione dell’uomo che chiedeva aiuto), nessuna barca di salvataggio è stata inviata. L’operatore, invece di mandare in mare i soccorritori, ha contattato il centro di coordinamento inglese a Dover, riferendo testualmente: «Una canoa è vicina al tuo settore. Ti darò la sua posizione perché è a 0,6 miglia nautiche dalle acque inglesi». Quindi in quel momento l’operatore era consapevole che la barca fosse in acque francesi. C’è anche una seconda chiamata, dello stesso tenore, alle 2:28. I migranti erano ancora in mare e potevano essere tratti in salvo. Ma, stando ai documenti, alle 2:44, la Guardia costiera inglese ha segnalato a Gris Nez che il segnale di linea del telefono di un passeggero era francese e che quindi consideravano la barca in acque francesi. Da entrambe le parti, insomma, si sono tenuti strette le scialuppe. Uno dei sopravvissuti, Ahmad Shexa, ha riferito alla polizia che gli inglesi avevano detto loro che «le onde ci avrebbero portato nelle acque francesi e quindi non sono venuti», contraddicendo così i francesi che segnalavano a Dover il natante in arrivo nella loro area. La telefonata più inquietante viene registrata alle 3:30. Un altro migrante chiama per comunicare che ormai era finito «in acqua». Ma dal Cross hanno risposto: «Sì, ma sei in acque inglesi». E quando l’operatore ha tentato di trasferire la chiamata a Dover, la comunicazione si è interrotta, e il migrante è stato abbandonato al proprio destino. Il braccio di ferro tra Parigi e Londra è andato avanti nonostante i morti. Intorno alle 4 del mattino, durante l’ennesima richiesta di aiuto, l’operatore ha chiesto ancora una volta la posizione. Quella è stata l’ultima chiamata. Mohammed Shekha Ahmed, l’altro sopravvissuto, ha raccontato a un giornale svizzero che «un certo numero di persone ha cercato di restare a galla, tenendosi ai rimasugli dell’imbarcazione». E ha aggiunto che «le squadre di soccorso sono arrivate solo dopo dieci ore». E ora nessuno ammette le proprie responsabilità. Secondo la portavoce della prefettura marittima francese, Véronique Magnin, intervistata da Le Monde, «nessun elemento lascia pensare che non ci fosse coordinamento tra i due centri operativi». Un operatore francese identificato come Clément G., invece, è arrivato perfino a rivendicare che «il lavoro è stato ben fatto con i mezzi a nostra disposizione». Dal suo punto di vista «questi poveretti sono stati sfortunati». Ma le trascrizioni delle telefonate sono inequivocabili. La sfortuna non c’entra.
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica)
Orazio Schillaci e Giuseppe Valditate (Ansa)