2021-03-04
Mandano i figli a scuola: arrivano i carabinieri
I militari sono intervenuti in una media di Casto, nel Bresciano. Assieme ai ragazzi disabili c’erano una decina di compagni spediti dai genitori perché, lasciandoli da soli a casa, si beffavano delle lezioni on line. Legge ristabilita, ma che sapore amaroDi solito i carabinieri denunciano i genitori per inosservanza dell’obbligo di istruzione. Il reato è stato depenalizzato dopo il 2020 per chi ha figli alle medie, rimane soltanto in caso di non frequenza della scuola elementare, però mamme e papà sono comunque tenuti a vigilare e controllare che i minori si rechino realmente a scuola, per ricevere l’istruzione obbligatoria. In un Comune del Bresciano, invece, genitori che mandano i ragazzini in classe perché imparino qualche cosa di buono si sono presi una bella lavata di capo. È accaduto a Casto, paese di poco meno di 1.700 anime posto alla confluenza di torrenti che scendono dalla zona di Comero e da Alone, nella parte orientale della Lombardia. L’Arma si è presentata per un controllo nell’unica scuola media secondaria di primo grado, cinque classi in tutto, che doveva essere chiusa visto che da ieri è in zona arancione rafforzato. Al suo interno ha trovato 25 dei 51 alunni che normalmente la frequentano. Una quindicina sono disabili, quindi in presenza come impone la legge. Altri dieci, invece, avevano risposto all’appello senza giustificazione. In aula non avrebbero dovuto esserci, proprio per evitare possibili contagi. Il perché l’ha spiegato ai carabinieri il professor Luca Bonomi, che nella scuola svolge il ruolo di fiduciario del dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale di Vestone, Paolo Ferretti. «Da casa non partecipavano attivamente e quindi si era optato per farli presenziare al fine di tenerli maggiormente sotto controllo», ha detto il responsabile delle medie a Casto. «Venivano fatti affluire», si legge nel verbale dei militari, agli ordini del comandante Emanuele Marini che decide di «approfondire la situazione per tutelare il diritto alla salute senza nuocere a quello allo studio». Detto fatto. Gli alunni con disabilità vengono sistemati in un’aula e riprendono le lezioni, mentre in un’altra sezione sono convocati i genitori dei dieci ragazzini che hanno «forzato» i sigilli della scuola chiusa. I carabinieri probabilmente si aspettavano storie di famiglie che non possono permettersi la didattica a distanza, che hanno pochi computer e nessuna connessione Internet. Immaginavano difficoltà nell’uso delle tecnologie online, come continuano a essere segnalate in molte parti d’Italia. Invece no, «tutti erano in possesso degli strumenti elettronici necessari e della copertura del traffico dati», ha scritto il comandante sempre nel verbale. «Si trattava solo di mancanza di disciplina dei ragazzi che, in assenza dei genitori presenti, non seguivano le lezioni ma dedicavano il tempo ad altro». Mamme e papà avranno pensato che l’unica soluzione, per non farli restare indietro nello studio, era di spedirli a scuola. «Cacciando» di casa gli adolescenti svogliati e rimettendoli sotto il controllo, la responsabilità degli insegnanti, i genitori di Casto avranno tirato un sospiro di sollievo. Durato poco, perché gli uomini dell’Arma hanno imposto loro di riprendersi i figlioli a casa. C’era sì anche la questione della palese violazione della legge, perché in fascia arancione rafforzato le lezioni in presenza sono sospese e gli studenti devono collegarsi al computer per proseguire con la didattica a distanza. Ma dopo un giro di consultazioni tra il comandante Marini, il tribunale dei minori, il capo di gabinetto della prefettura di Brescia e il sindaco di Casto, si è deciso di chiudere la vicenda riconsegnando i giovani ai rispettivi familiari. Però rimane la lezione impartita ai genitori sull’obbligo, per loro, di controllare che la Dad sia seguita correttamente. Morale della favola, potremmo dire che sono tante le mamme e papà che lavorano e non possono seguire i figli nelle lezioni a distanza. Oppure ci provano, si ingegnano, però non ne hanno le capacità o il tempo. La didattica a distanza può essere un incubo non solo per i ragazzi ma per gli stessi genitori, che di mestiere non fanno i professori. Non si tratta di far fare i compiti a casa, c’è tutto un processo di apprendimento da seguire, per il quale molti (i più) non sono affatto preparati. Quanto è successo nel paesino del Bresciano deve far riflettere sulla «disinvoltura» con la quale tanti, troppi dpcm impongono l’apprendimento tra le mura domestiche attraverso videolezioni. E si capisce perché governatori si battano per mantenere le scuole in presenza, come accade in Trentino e in Alto Adige, controllando l’andamento dei contagi. A casa, inoltre, se non c’è abbastanza vigilanza da parte della famiglia, l’utilizzo prolungato di Internet diventa pericoloso per un minorenne. Proprio la polizia postale di Brescia segnalava ieri un aumento, avvenuto durante il lockdown, dei reati legati alla pedopornografia. Tante ore chiusi in casa, molto spesso lasciati soli davanti al computer, non aiuta i giovani a concentrarsi nello studio e li espone a rischi della Rete, forse peggiori di un contagio Covid a scuola.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)