2022-09-19
La preoccupante crisi tra Mali e Costa d'Avorio
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Manifestazione per il rilascio dei 49 soldati ivoriani detenuti a Bamako (Ansa)
Lo scorso luglio, Bamako ha posto in stato di detenzione 49 soldati ivoriani, accusandoli di essere dei mercenari. In particolare, secondo le autorità giudiziarie maliane, i prigionieri si sarebbero macchiati di “associazione a delinquere, attacco e cospirazione contro il governo, minaccia alla sicurezza esterna dello Stato, possesso e trasporto di armi da guerra e complicità in questi crimini”. Secondo Voice of America, i soldati ivoriani erano stati inviati in Mali per mettere in sicurezza un edificio di una compagnia aerea che stava eseguendo un contratto con il contingente tedesco di forze di pace nel contesto della missione delle Nazioni Unite in loco, Minusma.
A inizio settembre, tre donne presenti nel contingente sono state liberate: gli altri 46 individui restano invece per il momento bloccati in Mali. Nel frattempo, le tensioni tra i due Paesi africani stanno aumentando. “È una presa di ostaggi che non rimarrà senza conseguenze”, ha recentemente riferito ad Africa News una fonte vicina alla presidenza ivoriana. “Quando la Costa d'Avorio chiede il rilascio dei suoi soldati, (essa) continua a fungere da asilo politico per alcune personalità del Mali soggette a mandati di cattura internazionali”, ha detto dal canto suo il presidente maliano, Assimi Goita. Il governo ivoriano ha frattanto parlato di “ricatto”, chiedendo l’intervento diplomatico della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale.
Sbaglierebbe chi cercasse di inquadrare questa crisi esclusivamente in un quadro di carattere regionale. Le implicazioni di tali tensioni possono avere infatti dei risvolti internazionali piuttosto preoccupanti. Ricordiamo che l’attuale presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, è molto vicino politicamente a Emmanuel Macron: una situazione quindi antitetica a quella in cui si trova Bamako che, negli scorsi mesi, ha irrigidito notevolmente i propri rapporti con Parigi, avvicinandosi sempre più a Mosca. Il Paese sta d’altronde ospitando i temibili mercenari del Wagner Group, mentre il Cremlino spera di usare a sua volta il Mali per estendere la propria influenza sul Sahel e, chissà, forse anche sul Golfo di Guinea. Non si può quindi affatto escludere che la crisi in corso tra Bamako e Yamoussoukro vada ricompresa nel più ampio contesto della rivalità africana tra Francia e Russia. Una rivalità che si sta facendo sempre più accesa e di cui sta progressivamente approfittando nel Sahel anche la Turchia.
Tutto questo, senza ovviamente trascurare le connessioni con la crisi ucraina. A inizio settembre, si è infatti recato in Costa d’Avorio il presidente polacco, Andrzej Duda, incontrando Ouattara, per parlare di Ucraina e commercio internazionale. “Siamo preoccupati per l'impatto della guerra in Ucraina sul commercio internazionale e sulla crescita dell'economia globale, che rischia di entrare in recessione, e in particolare per i cattivi impatti sui Paesi africani”, ha detto Ouattara nell'occasione. Insomma, l’Africa si conferma sempre più centrale nello scacchiere geopolitico globale. E le sue connessioni con le sorti europee si stanno rafforzando.
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Cresce la tensione tra Mali e Costa d’Avorio: un elemento che potrebbe inasprire la rivalità tra Francia e Russia nel continente africano. Lo scorso luglio, Bamako ha posto in stato di detenzione 49 soldati ivoriani, accusandoli di essere dei mercenari. In particolare, secondo le autorità giudiziarie maliane, i prigionieri si sarebbero macchiati di “associazione a delinquere, attacco e cospirazione contro il governo, minaccia alla sicurezza esterna dello Stato, possesso e trasporto di armi da guerra e complicità in questi crimini”. Secondo Voice of America, i soldati ivoriani erano stati inviati in Mali per mettere in sicurezza un edificio di una compagnia aerea che stava eseguendo un contratto con il contingente tedesco di forze di pace nel contesto della missione delle Nazioni Unite in loco, Minusma. A inizio settembre, tre donne presenti nel contingente sono state liberate: gli altri 46 individui restano invece per il momento bloccati in Mali. Nel frattempo, le tensioni tra i due Paesi africani stanno aumentando. “È una presa di ostaggi che non rimarrà senza conseguenze”, ha recentemente riferito ad Africa News una fonte vicina alla presidenza ivoriana. “Quando la Costa d'Avorio chiede il rilascio dei suoi soldati, (essa) continua a fungere da asilo politico per alcune personalità del Mali soggette a mandati di cattura internazionali”, ha detto dal canto suo il presidente maliano, Assimi Goita. Il governo ivoriano ha frattanto parlato di “ricatto”, chiedendo l’intervento diplomatico della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale.Sbaglierebbe chi cercasse di inquadrare questa crisi esclusivamente in un quadro di carattere regionale. Le implicazioni di tali tensioni possono avere infatti dei risvolti internazionali piuttosto preoccupanti. Ricordiamo che l’attuale presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, è molto vicino politicamente a Emmanuel Macron: una situazione quindi antitetica a quella in cui si trova Bamako che, negli scorsi mesi, ha irrigidito notevolmente i propri rapporti con Parigi, avvicinandosi sempre più a Mosca. Il Paese sta d’altronde ospitando i temibili mercenari del Wagner Group, mentre il Cremlino spera di usare a sua volta il Mali per estendere la propria influenza sul Sahel e, chissà, forse anche sul Golfo di Guinea. Non si può quindi affatto escludere che la crisi in corso tra Bamako e Yamoussoukro vada ricompresa nel più ampio contesto della rivalità africana tra Francia e Russia. Una rivalità che si sta facendo sempre più accesa e di cui sta progressivamente approfittando nel Sahel anche la Turchia. Tutto questo, senza ovviamente trascurare le connessioni con la crisi ucraina. A inizio settembre, si è infatti recato in Costa d’Avorio il presidente polacco, Andrzej Duda, incontrando Ouattara, per parlare di Ucraina e commercio internazionale. “Siamo preoccupati per l'impatto della guerra in Ucraina sul commercio internazionale e sulla crescita dell'economia globale, che rischia di entrare in recessione, e in particolare per i cattivi impatti sui Paesi africani”, ha detto Ouattara nell'occasione. Insomma, l’Africa si conferma sempre più centrale nello scacchiere geopolitico globale. E le sue connessioni con le sorti europee si stanno rafforzando.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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