2019-11-05
Capolavoro giallorosso: Arcelor Mittal
molla l’Ilva, 15.000 lavoratori a terra
Invece dell'Iva, il governo ha fermato l'Ilva. Nato per impedire che scattassero le clausole di salvaguardia, il Conte due al contrario ha fatto saltare la clausola che doveva garantire l'immunità ai manager dell'azienda e il salvataggio della più grande industria siderurgica italiana, con la conseguenza che ora 15.000 persone rimarranno senza lavoro in alcune delle aree più depresse del Paese. Un bel risultato davvero, di cui l'esecutivo può andare fiero, perché riuscire a operare un suicidio industriale di tale portata era un'operazione difficile e serviva particolare impegno per portarla a compimento. I 5 stelle, per raggiungere l'obiettivo, ce l'hanno messa tutta, assecondando, validamente assistiti dal Pd, la voglia giustizialista e ambientalista che da anni sta strangolando lo stabilimento di Taranto, condannandolo a una lenta, ma inesorabile agonia.La storia, come è a tutti noto, inizia da un'inchiesta della magistratura che ha accusato l'impresa di aver causato la morte di decine se non centinaia di persone. Le polveri dell'industria avrebbero nel corso degli anni intossicato i polmoni degli abitanti del vicino quartiere, un pugno di palazzine cresciute nel tempo attorno alla fabbrica. Che l'Ilva non producesse aria sopraffina non serviva un genio per capirlo, e che dovessero essere disposti investimenti per rendere l'impianto meno inquinante era nella logica delle cose. Peccato che l'autorità giudiziaria, dopo aver dormito per anni, cioè fin dai tempi in cui il laminatoio era di proprietà dello Stato, un bel giorno si sia svegliata, abbia messo in galera i nuovi proprietari e posto sotto sequestro lo stabilimento, disponendo il blocco della produzione, cioè la fine dell'Ilva. Spegnere gli altiforni e fermare la fabbrica equivale alla chiusura di un'industria siderurgica, per di più di quelle dimensioni. Per cui negli ultimi sette anni si sono cercati i modi per proseguire l'attività, provando a guadagnare il tempo necessario a rendere meno inquinante la produzione. Per questo nel 2015, dopo che l'Ilva era stata commissariata e i proprietari espropriati e sbattuti agli arresti, il governo pensò di garantire una specie di ombrello penale ai manager incaricati di guidare l'azienda ed evitarne il fallimento. In quelle condizioni, con l'occhio attento della magistratura su ogni attività e le manette pronte a scattare, nessun amministratore moriva dalla voglia di occuparsi dell'impianto, perché a chiunque parve chiaro - anche ai commissari - che a toccare l'Ilva si rischiava la morte, o per lo meno la morte in carcere. Risultato, Palazzo Chigi partorì quella che impropriamente è stata chiamata l'immunità per i manager dell'Ilva, ossia una tutela penale per chi si fosse avvicinato alla fabbrica allo scopo di ristrutturarla. La garanzia aveva indotto il gruppo indiano Arcelor Mittal a farsi avanti, sottoscrivendo un patto d'acquisto dei laminatoi per 1,8 miliardi (ma all'inizio affittandoli) e garantendo interventi di bonifica per 2,4. Sembrava la soluzione del problema, con il salvataggio di 15.000 posti di lavoro e di un pezzo di prodotto interno lordo italiano messo in sicurezza.E invece no, perché a un certo numero di ambientalisti la soluzione di una fabbrica ristrutturata e meno inquinata non piace e nonostante tutto la vorrebbero chiusa, per restituire a Taranto il litorale e una vocazione turistico-rurale. Questo numero di ambientalisti in città ha un certo ascolto, ma ce l'ha anche in alcuni settori, giudiziari e politici, con il risultato che i 5 stelle, un partito che dopo aver cavalcato i No Tav, i No Tap e i No No è stato costretto a un bagno di Sì per calcolo politico, alla fine ha sposato la causa della battaglia contro l'immunità penale ai manager dell'Ilva, sperando di recuperare i voti perduti. Che questa fosse alla base dell'accordo con il gruppo indiano e che fosse stata ribadita anche un anno fa non ha impietosito né la maggioranza né il governo, né i leader grillini, che hanno tirato diritto. Naturalmente nessuno si è preso la briga di leggere con attenzione il contratto sottoscritto fra l'esecutivo e i vertici di Arcelor Mittal, in cui era specificato che l'azienda avrebbe potuto risolvere il contratto d'acquisto nel caso vi fossero modifiche normative o fosse impossibile portare a conclusione la ristrutturazione. Dunque il 31 ottobre, con la complicità del Pd che pure l'aveva proposta, il Parlamento ha rimosso l'immunità penale precedentemente garantita agli amministratori del gruppo. Passata la festività dei morti, gli indiani hanno perciò dichiarato defunto il contratto d'acquisto dell'Ilva, con i conseguenti investimenti. Morale: da ieri abbiamo 15.000 lavoratori in meno, un pezzo di Pil in meno, un'azienda siderurgica in meno e un problema enorme in più, anche di credibilità internazionale. Per evitare tutto ciò servirebbe non una clausola di salvaguardia contro l'aumento dell'Iva e nemmeno una contro l'aumento delle polveri sottili. Ne basterebbe una contro l'aumento dei politici che con i loro danni provocano più tasse e meno Ilva.