2022-06-18
Macron e Scholz aprono al dialogo e BoJo va a Kiev per interromperlo
Boris Johnson e Volodymyr Zelensky (Ansa)
Parigi: «Se si vuol schiacciare Mosca non c’è pace». Il Cremlino applaude, Berlino si allinea. Londra invece dà man forte a Volodymyr Zelensky. Ursula von der Leyen: sì all’Ucraina nell’Ue. Ma Bruxelles dice: «Iter lungo e doloroso».Emmanuel Macron ha ribadito una linea conciliante nella crisi ucraina. «I commentatori o certi leader non dovrebbero spingersi oltre quel che intende la stessa Ucraina», ha detto ieri il presidente francese poco dopo essere tornato dal suo viaggio a Kiev in compagnia di Mario Draghi e di Olaf Scholz. «C’è chi dice che l’obiettivo di questa guerra sia schiacciare la Russia. Credo che qui si sbaglino. Così facendo non si otterrebbe mai una pace negoziata», ha proseguito l’inquilino dell’Eliseo. «Il ruolo della Francia è quello di avere possibili collegamenti per discutere con la Russia», ha aggiunto Macron, pur riconoscendo che, dopo la scoperta del massacro di Bucha, «non c’è disponibilità da parte russa o ucraina per vere discussioni». Parole che sono state ben accolte da Mosca. «Apprezziamo molto. Nonostante le differenze di fondo esistenti, Macron ha seguito coerentemente questa strada, che anche il presidente Putin approva», ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Quanto detto dal presidente francese conferma sostanzialmente la linea aperturista portata avanti congiuntamente da Parigi, Roma e Berlino: lo stesso Scholz ieri ha dichiarato alla Dpa che è «assolutamente necessario parlare con Putin». Una linea verso cui, negli scorsi giorni, Kiev si era mostrata piuttosto fredda, visto che - secondo Volodymyr Zelensky- l’unico vero intento di Mosca sarebbe quello di «rovinare l’Ucraina e l’Europa». Del resto, che il presidente ucraino non abbia molta intenzione di seguire la linea negoziale è testimoniato anche dal suo calorosissimo benvenuto di ieri a Boris Johnson, che si è recato a sorpresa a Kiev per la seconda volta dall’inizio dell’invasione, proponendo di avviare un’ambiziosa operazione di addestramento (10.000 soldati ucraini ogni 120 giorni). Un viaggio, quello di Johnson, dal profondo significato politico. Insieme a Polonia e Paesi baltici, il premier britannico è infatti da sempre favorevole a un approccio duro nei confronti della Russia (assai gradito al governo ucraino». Il fatto che questa visita a sorpresa sia avvenuta a neanche 24 ore dalla conclusione del viaggio di Macron, Draghi e Scholz la dice quindi lunga. Tanto più che ieri Johnson, rivolgendosi a Zelensky, ha dichiarato «Capisco perfettamente perché tu e il tuo popolo non potete scendere a compromessi con Putin». Una netta sconfessione della linea diplomatica promossa da Italia, Francia e Germania. Su questa complicata situazione aleggia intanto il ruolo ambiguo di Washington. Se da una parte la Casa Bianca sta continuando a inviare armi in sostegno di Kiev, non vanno d’altra parte trascurate le recenti tensioni tra Joe Biden e lo stesso Zelensky. Inoltre, l’altro ieri, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha riferito di trattative tra Usa e Ucraina per arrivare a un accordo negoziato con Mosca. Nel frattempo, la Commissione europea ha dato ieri parere favorevole a riconoscere all’Ucraina lo status di Paese candidato all’ingresso nell’Ue. «L’Ucraina dovrebbe essere accolta come Paese candidato: questo si basa sulla consapevolezza che è stato fatto un buon lavoro, ma resta anche un lavoro importante da fare», ha detto Ursula von der Leyen. L’annuncio è politicamente significativo ed è stato ben accolto da Kiev. Lo stesso Vladimir Putin, dal canto suo, si è mostrato aperturista. Tuttavia si profila all’orizzonte una tempistica non certo breve. Un alto funzionario europeo ha parlato ieri di «processo lungo e doloroso», mentre non è chiaro se si troverà l’unanimità dei 27 per dar seguito alla raccomandazione della Commissione. Appena tre giorni fa, Politico riferiva infatti dello scetticismo di Paesi come Portogallo e Danimarca. Inoltre, se anche dovesse arrivare l’ok sullo status di candidato, occorrerebbero probabilmente anni per completare il processo. È pur vero che c’è chi invoca una procedura accelerata. Tuttavia un simile scenario irriterebbe prevedibilmente quei Paesi in attesa, che hanno conseguito lo status di candidato già da diversi anni: la Serbia, ad esempio, potrebbero spostarsi sempre di più verso l’orbita sino-russa (anche perché Belgrado già intrattiene rapporti significativi con Mosca e Pechino). Senza poi trascurare il fatto che un eventuale allargamento rapido dell’Ue dovrebbe porre urgentemente sul tavolo anche l’annoso tema della governance del blocco europeo. Il rischio è quindi che, con una mossa azzardata, la Commissione alimenti solto l’illusione di Kiev, aumentando le divisioni interne (come già accaduto sul sesto pacchetto di sanzioni): uno scenario che comprometterebbe ulteriormente la capacità di deterrenza di Bruxelles nei confronti di Mosca e Pechino, le quali stanno già approfittando della situazione. Ieri, Putin ha pronunciato parole inquietanti al forum economico di San Pietroburgo, sostenendo che «il precedente ordine mondiale è finito, indipendentemente da tutti gli sforzi per preservarlo». Anche Xi Jinping è intervenuto al Forum in video, affermando che «la cooperazione tra Russia e Cina oggi sta aumentando». Insomma, Mosca e Pechino puntano a picconare l’ordine internazionale occidentale. E la crisi di deterrenza che investe l’Ue, oltre all’amministrazione Biden, non farà purtroppo che favorire le ambizioni di queste potenze revisioniste. Il trend è preoccupante e l’Occidente deve invertirlo. Non è facile, ma bisogna farlo prima che sia troppo tardi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)