
Il presidente al lavoro su un possibile rimpasto dopo le batoste su immigrazione e pensioni. «Sacrifica il governo per salvarsi».Anno nuovo, governo nuovo? È la domanda sempre più pressante che circola nei palazzi della politica parigini. Una domanda alla quale, certi segnali sembrano fornire una bozza di risposta. Il più importante è arrivato ieri dalla mancata riunione settimanale del Consiglio dei ministri stata rimandata ad altra data. Considerato il contesto nazionale e internazionale, sembra strano che Emmanuel Macron abbia deciso di non riunire i propri ministri anche solo per fare un punto della situazione dopo le feste.Va detto che già nel tradizionale messaggio di fine anno, trasmesso il 31 dicembre scorso a reti unificate, Macron ha assicurato ai suoi compatrioti che il 2024 sarà un anno nel quale continuerà ad «agire» con «determinazione». Nello stesso intervento a poche ore dalla mezzanotte dell’ultimo dell’anno, il leader francese ha tenuto a «ringraziare soprattutto [...] il primo ministro e il suo governo» per il lavoro svolto. Il termine ringraziamento doveva essere inteso come un benservito? Sembrerebbe probabile, come ha dichiarato una fonte governativa all’agenzia di stampa France Presse ipotizzando un rimpasto entro la prima metà di gennaio. Per il settimanale Jdd-Journal du Dimanche, invece, il rimpasto dovrebbe concretizzarsi molto prima. Una fonte ministeriale citata dalla testata lo ritiene probabile «prima del weekend».Una tempistica questa che rientrerebbe nel solco di un’altra misteriosa iniziativa annunciata dalle pagine di Le Monde, lo scorso 8 dicembre, dallo stesso Macron : quella di un «grande rendez-vous con la nazione», nel primo mese di questo nuovo anno. Quale sia l’obiettivo di questo grande incontro con la nazione non è chiaro. Ieri il portavoce del governo, Olivier Véran, ha fatto contorsioni ai microfoni di radio Rmc nel disperato tentativo di difendere l’iniziativa annunciata dall’inquilino dell’Eliseo. L’esponente governativo ha dichiarato che nel rendez-vous «ci sarà veramente della concretezza per i francesi» ma «non spetta a me dirvelo». L’opacità dell’iniziativa presidenziale comunque non sorprende. Questo perché, durante i quasi sette anni di «regno», Macron ha cercato più volte di offrire ai francesi dei numeri da prestigiatore con la giacca a paillette che, però, si sono puntualmente trasformati in inutili (e costosi) fenomeni da baraccone. Questo anche perché, ogni volta che Macron ha cercato di estrarre un coniglio dal cilindro, in realtà aveva già deciso tutto ma, da bravo illusionista, tentava di far sentire i suoi concittadini come attori del dibattito politico. Tra i vari coup de théatre del presidente francese vanno ricordati: il gran dibattito nazionale, voluto per uscire dalla crisi dei Gilet Gialli, i grandi discorsi durante i mesi del Covid, o la più recente Convenzione Civica sul fine vita.Non è una novità che a Macron piaccia avere sempre ragione e che ami apparire come il primo della classe. Ma, fino a quando aveva una maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale, il leader parigino poteva anche permettersi di gettare fumo negli occhi ai francesi, grazie anche alla complicità genuflessa di molti media mainstream, transalpini e non. Ma ora che dispone del sostegno traballante di una piccola maggioranza parlamentare, i trucchi di magia non bastano più.Ecco allora che, dopo un 2023 passato a porre delle questioni di fiducia sui voti parlamentari, a umiliare le opposizioni e a ignorare le esigenze dei francesi, il giocattolo-governo sembra essersi rotto. Giusto per rinfrescare la memoria, l’anno scorso l’esecutivo Borne ha approvato la riforma delle pensioni evitando il dibattito parlamentare, poi è apparso impotente di fronte alle violenze scatenate dalle orde venute dalle banlieue. Infine è andato in minoranza sul progetto di legge immigrazione che, in seguito, è stato approvato in una forma più dura voluta dai partiti di destra: i Républicains guidati da Eric Ciotti e il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Sul contenuto del rimpasto circolano varie ipotesi. La prima è quella di un cambiamento radicale di governo a cominciare dal premier. Al posto di Elisabeth Borne potrebbe arrivare l’attuale ministro della Difesa Sébastien Lecornu, oppure quello dell’Ecologia Christophe Béchu. Un’altra ipotesi vedrebbe il mantenimento di Borne a Palazzo Matignon, per dare un contentino all’ala sinistra del partito macronista, rimasta scornato dopo l’approvazione della legge immigrazione. Tra i ministri che potrebbero non mangiare la galette de rois (il dolce tradizionale francese consumato all’Epifania, ndr) ci sono quelli che non hanno particolarmente brillato negli ultimi mesi o che hanno minacciato strappi durante il dibattito sulla legge immigrazione. Tra questi ultimi figura il titolare dei Trasporti, Clément Beaune. Solo un mese fa questo ministro, annunciava disastri se fosse stata approvata la versione «di destra» della legge. Ieri, invece, ha concesso un’intervista a Le Parisien dicendo, tra l’altro, che il suo atto ribellione non puntava a lanciare «ricatti» o «minacce».
Il Tempio di Esculapio, all’interno del parco di Villa Borghese (IStock)
La capitale in versione insolita: in giro dal ghetto ebraico a Villa Borghese, tra tramonti, osterie e nuovi indirizzi.
John Lennon e la cover del libro di Daniel Rachel (Getty Images)
Un saggio riscrive la storia della musica: Lennon si ritraeva come il Führer e Clapton amava il superconservatore Powell.
L’ultimo è stato Fedez: dichiarando di preferire Mario Adinolfi ad Alessandro Zan e scaricando il mondo progressista che ne aveva fatto un opinion leader laburista, il rapper milanese ha dimostrato per l’ennesima volta quanto sia avventata la fiducia politica riposta in un artista. Una considerazione che vale anche retrospettivamente. Certo, la narrazione sul rock come palestra delle lotte per i diritti è consolidata. Non di meno, nasconde zone d’ombra interessanti.
Gianrico Carofiglio (Ansa)
Magistrato, politico in quota Pd per un breve periodo e romanziere. Si fa predicatore del «potere della gentilezza» a colpi di karate. Dai banchi del liceo insieme con Michele Emiliano, l’ex pm barese si è intrufolato nella cricca degli intellò scopiazzando Sciascia.
(IStock)
Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.






