2020-03-12
Ma quanto è generosa l’Ue: «Non vi lasceremo soli». Poi annuncia una mancetta
Ursula von der Leyen (Ansa)
Ipocrita messaggio di Ursula von der Leyen sulla solidarietà continentale, ma i soldi stanziati contro la crisi sono ridicoli: 25 miliardi da dividere con tutti gli altri...C'è qualcosa di surreale nel rapporto tra Roma e Bruxelles, e nel modo in cui la discussione pubblica - in Italia - protegge, attutisce e occulta un'autentica evidenza: ancora una volta, davanti a un'emergenza come quella del coronavirus, l'Ue si mostra come un luogo di non-azione e di non-decisione, un buco nero di non-politica, e di tutela efficace solo degli interessi dei soliti noti. Da un lato, pretende di centralizzare in modo pericoloso (gli eurolirici la chiamano «armonizzazione»), e dall'altro abbandona sistematicamente chi si trova nei guai. Primo esempio: l'arcinota questione della riforma del Mes, incredibilmente messa al primo punto dell'ordine del giorno dell'Eurogruppo di lunedì prossimo, con la crisi del coronavirus che compare solo al terzo punto. Secondo esempio: la titubanza italiana ad annunciare nuovi interventi. Ieri il governo ha aumentato la cubatura di risorse teoricamente disponibili (da 3,6 a 7,5 fino ai 25 miliardi teoricamente ipotizzati: ma domani, venerdì, un decreto ne utilizzerà appena 12). Va precisato - a scanso di equivoci - che l'Ue non ci sta regalando proprio niente: si tratta solo di usare denaro dell'Italia, non certo di un dono di Bruxelles. Ma c'è di più: come La Verità ha spiegato nei giorni scorsi, sull'asse Roma-Bruxelles erano già «spariti» circa 18 miliardi: da un lato il computo del deficit reale del 2019, che si è fermato all'1,6% contro il 2,04% inizialmente previsto, e dall'altro la clamorosa sottostima delle entrate fiscali - in sede di Nadef - per ben 11,7 miliardi. Insomma, nell'arco di due manovre (2019 e 2020) avremmo avuto circa 18 miliardi di margine in più per tagliare le tasse e per investire. Morale: l'Ue rischia di autorizzarci adesso a usare una somma non lontana da quella di cui avremmo già dovuto disporre. Una partita di giro. Tra l'altro, notoriamente, la Francia si è tenuta sopra il 3% di deficit in 9 degli ultimi 11 anni, la Spagna in 10 degli ultimi 11. E la vituperata Italia, presunta madre di tutti gli sforamenti, regina del buco, e via autoflagellandoci? Tenetevi forte: negli ultimi 10 anni, abbiamo superato il 3% solo tre volte (2009, 2010, 2011). Senza dire che siamo un Paese contribuente netto, visto che diamo ogni anno all'Ue molto più di quanto riceviamo (14 miliardi contro 11). Per fare un esempio, la Lettonia del cerbero Valdis Dombrovskis riceve ogni anno dall'Ue 500 milioni, pari al 2% del Pil lettone. Per capirci, se l'Italia ricevesse altrettanto, avremmo ogni anno da Bruxelles 32-33 miliardi. Fantascienza pura.E gli altri? Fanno un po' come gli pare. In un'intervista al quotidiano Handelsblatt, nella primavera del 2019, Jean-Claude Juncker (proprio lui) ha affermato: «I tedeschi hanno violato il patto di stabilità 18 volte, le ho contate».Veniamo al terzo esempio, e cioè lo stitico stanziamento annunciato dall'Ue dopo il vertice dei 27 in videoconferenza, al termine del quale Ursula von der Leyen ha parlato di un fondo (si badi bene: per tutta l'Ue) da 25 miliardi «a sostegno del sistema sanitario, delle Pmi, del mercato del lavoro e delle parti più vulnerabili dell'economia». Di che cosa stiamo parlando? A parte il fatto che per il momento è solo un annuncio (la prima tranche disponibile dovrebbe essere di 7,5 miliardi provenienti dai fondi strutturali, e sarà disponibile tra qualche settimana), va tenuto presente che 25 miliardi, rispetto a un bilancio pluriennale Ue che si aggira sui 1100 miliardi, è una goccia nel mare. Pensano davvero che si tratti di uno stimolo? Siamo lontanissimi da una parvenza di manovra complessiva (taglio di tasse e incremento di investimenti sul modello Trump) che abbia la minima chance di aiutare una qualche ripresa, dopo la botta del coronavirus, e in presenza di un trend che era già di crescita ultraflebile. Eppure perfino questa scelta limitatissima ha procurato discussioni e frenate, incredibilmente. Il Financial Times, citando una fonte diplomatica Ue, ha riferito che il dibattito non è andato oltre la contrapposizione tra «i Paesi meridionali che volevano una spesa maggiore e quelli nordici più riluttanti» (Germania in testa). Ammettendo implicitamente l'inadeguatezza delle scelte compiute, il presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, ha fatto sapere che nella riunione di fine marzo del Consiglio sarà possibile «prendere altre misure, se necessario». Insomma, ai media si cerca di dare in pasto qualche formula retorica: «all tools» («tutti gli attrezzi»), «whatever is necessary» («tutto ciò che sarà necessario»). Ma la sintesi migliore - sincera e impietosa - l'ha fatta il capo economista di IHS Markit Kenneth Wattret, interpellato sempre dal Financial Times: «Serviva il bazooka, ma stanno usando una cerbottana». L'ultimo sfregio - intanto - è di ieri, quando la von der Leyen ha avuto il coraggio di scrivere un messaggio agli italiani di questo tenore: «La Commissione Ue veicolerà parecchi miliardi di euro all'Italia per aiutare le pmi, il settore sanitario e le persone» «Voglio dirvi che non siete soli», ha aggiunto. Un mix di umiliazione e presa in giro.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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